Ho deciso di scriverti. Non so nemmeno io perché. Del resto la scrittura è sempre stata una sorta di urgenza pressante per me. Una chiamata a cui non si può non rispondere. Vita. In fondo. E dunque eccomi qui. Vorrei ci fosse un inizio per quello che devo dirti. O forse meglio, vorrei ci fosse una fine. Una traccia. Un canovaccio. Anche già usato. Non mi dispiacerebbe. E invece andrò così, a braccio. Affastellando emozioni e visioni come sono solita fare.
Ho paura. Detesto doverlo ammettere. Ma ce l'ho. E nascondermi è cosa che non sono abituata a fare. Non di te. Tu sei esattamente come dovresti essere. Anzi tu sei proprio come volevo che fosse il mio slave. Esattamente come ho desiderato, progettato e fatto in modo di trovarti. Tu sei Tu. A tuo modo sadico. Probabilmente più di me. Il che è tutto dire. In fondo o in superficie. Non so più bene nemmeno questo. Ma, in realtà, sembra che io non sappia più niente. Non è proprio così. So un sacco di cose. Su tutte so di temere me stessa. Erano anni che non mi capitava più una cosa del genere. Conosco le oscurità magmatiche che ruotano in fondo al mio animo, lì, proprio lì, tra lo stomaco e il culo. Le conosco così bene che riesco a distinguerle. Basta un accenno. E zac a colpo sicuro. Voglia di ferire. Fame di lacrime. Sete di sangue e sperma. Distinte. Evidenti. Persino facili da controllare. Posso lasciarmi sprofondare nel vortice. Sicura. Sin serena direi. Il ciclone si scatena e io dall'interno, proprio lì sdraiata nel suo occhio di velluto cremisi. Sorrido. L'ho fatto un numero così elevato di volte. E non certamente solo per sesso. Da non essere più in grado di ricordare quante. E' un automatismo quasi. Sono lì nel gorgo, ma nello stesso tempo sono fuori. Mi osservo. Sguardo beffardo dell'entomologo sulle ali infilzate del piccolo insetto raro.
Border-line già. Definizione di tipo psicologico, al fine di inquadrare un certo tipo di personalità. Infantile. O adolescenziale. La tendenza è quella. L'equilibrista sul filo teso sull'abisso. Senza rete. Altrimenti, che gusto ci sarebbe. La differenza è in quello sguardo. Io sono l'equilibrista e il pubblico sul ciglio del burrone che osserva cinico in cerca del trucco. Che non c'è.
Perché ti dico questo? Ti vedo sai? Cancellati immediatamente quel mezzo sorriso strafottente dalla faccia. Lo so. Mi conosci. Lo sai. L'hai saputo dalla prima volta. Intuito di slave. Mi hai letto dentro. Del resto io ho letto in te. Persino attraverso le stramaledette righe pulsanti su uno schermo: ci siamo letti. Precisi al millimetro. E nemmeno questo mi ha spaventato. Sono come i vetri fumè delle berline di ordinanza. Trasparente completamente. Ma solo dall'interno.
Ma adesso la sento serpeggiare lungo la spina dorsale la paura. Forse cinicamente l'alimento un filo. Sono stronza. Persino con me stessa. Mi riesce una meraviglia esserlo. Mi spavento. Da sola. Le tue parole sono solo pretesto. Strumento. Piccolo grimaldello di dittonghi rauchi e bestiali. Non sono loro a generare la paura. Sono io.
Io che ho voglia di lasciarmi andare. Sciogliere gli ormeggi. Veleggiare in mare aperto. Incontro alla tempesta. Io che ho la tentazione di rinunciare al controllo. No. Non è nemmeno questo in realtà. L'assenza di controllo non mi spaventa. Scegliere di non avere controllo è di fatto controllarsi. Paradossale, ma vero. E per altro già fatto. No. Ho paura che mi piaccia. Troppo. Abolire la razionalità. Spegnere il cervello. Puro sentire. Bestiale. Istinto animale. Niente regole. Nessun limite. Ho paura di non voler tornare. Dopo. E ho paura dell'esatto contrario. Di non saperlo fare. Di continuare a sentirmi incollato addosso quello sguardo beffardo. Il mio. Di scoprirmi a ridere nel vortice del gorgo. Ad ironizzare nel sangue. Ad argomentare nel flusso delle lacrime. Non so, davvero, cosa sarebbe peggio. Non lo so. E non sapere. Non capire. Comprendere. Alla fine. E' la sola unica cosa che mi terrorizza. Davvero.
Mayadesnuda