Alberto ed io ci conoscevamo dalle medie.
Abitavamo a pochi palazzi di distanza.
Eravamo amici da molto più di quanto ricordassimo, non so se dalla prima volta che mi difese dai soliti bulletti o dalla prima volta che lo aiutai ad uscire da una delusione sentimentale.
La nostra amicizia si era rafforzata negli anni dell'adolescenza, frequentando lo stesso liceo, gli stessi amici. E mai come io ragazza e lui ragazzo, ma come confidenti, spalle. Molti, quasi tutti, non credevano fossimo solo amici. Ed in fondo era quasi vero: eravamo qualcosa di diverso.
Eravamo due ragazze ed eravamo due ragazzi. Lui mi aiutava a truccarmi ed io lo vincevo a calcio Balilla, io gli insegnavo a cucinare e lui a giocare a biliardo, io lo iniziavo ai cocktails e lui mi iniziava alla varietà del fumo. E parlavamo di tutto quanto ci riguardasse, dalla famiglia ai particolari più intimi della nostra sessualità, senza reticenze, bugie, pudore.
Ricordo ancora perfettamente la sua voce entusiasta quando, alle 2 di notte, mi telefonò per informarmi di averlo fatto la prima volta, di come mi descrisse tutto quello che lei aveva fatto, e di come mi chiese se quel che aveva fatto lui era giusto.
E ricordo che ogni prima volta con qualcuna era lo stesso.
Ed io non ero da meno. Io che gli chiedevo come i ragazzi preferissero fosse fatto il sesso orale, io che gli chiedevo se secondo lui era normale che usassero il mio clitoride come un radiocomando, io che innamorata non riuscivo a raggiungere l'orgasmo e volevo che lui mi dicesse che era colpa loro, di quei ragazzi che amavo, che erano piccoli, veloci, frettolosi, imbranati...
E ricordo tutte le volte che ci accarezzavamo il viso le mani, le caviglie, le dita, i colli... i polsi... alla ricerca di nuove magie da sperimentare a fondo con altri.
Un pomeriggio d'autunno, il 19 ottobre, in una giornata assolata e fresca, eravamo a casa mia a guardare "Allie McBeal", un telefilm, ed in quella puntata parlavano di un punto, proprio dietro il ginocchio, verso l'interno, che era una centralina del piacere.
- Prova - gli dissi.
E non dovetti ripeterlo.
Ma non funzionò.
- Aspetta, ora provo io.
Ma non funzionò di nuovo.
- In fondo sappiamo che non siamo tutti uguali. Tu, per esempio, impazzisci se faccio così.
E le sue dita premettero dietro il mio collo, appena sotto l'attaccatura dei capelli, fin quasi a farmi male. Ed io reclinai la testa in un gemito di piacere.
- Sssìiii..., come tu adori questo. - e l'unghia del mio indice lo graffiò dal ginocchio fino a metà coscia, facendolo sussultare dai brividi. E per la prima volta mi accorsi anche della sua erezione. Mortificata e martoriata dai jeans, ma forse per questo più rabbiosa, prepotente.
Distolsi lo sguardo per non farlo sentire in imbarazzo, forse per non arrossire io. Ed incrociai i suoi occhi, fermi, penetranti, su di me.
Mi accarezzò la guancia dolce e deciso, mentre la mia mano gli graffiava lentamente il collo.
Sentivo le sue mani che si facevano strada tra i miei capelli e lungo la mia coscia, ma non potevo smettere di fissarlo negli occhi, di artigliare le sue spalle, il suo collo.
Mi sfiorò un seno risalendo al mio viso ed io sentì il calore invadermi il bacino, le mie mani si arresero scivolando sul suo petto, i miei occhi si chiusero. Ed al calore delle sue mani si mischiò quello del suo fiato, così vicino... troppo vicino...
E riaprì gli occhi. E mi staccai.
Mi alzai, andando verso la cucina.
- Io... noi... Ma cosa...
E non mi accorsi che mi aveva seguito. Mi girai ed era lì, con lo stesso sguardo. E mi tirò giù la maglia. Non ero riuscita a vedere le sue mani, né so come, seppur elasticizzata, quella maglia non si sia strappata, come abbia fatto, in un sol gesto, ad arrotolarmela sui jeans.
Sentì l'aria fredda avvolgermi in un attimo, mentre le sue caldi labbra si poggiarono sul mio capezzolo, imprigionandolo, pizzicandolo coi denti. L'altro seno era preda della sua mano, che lo carezzava col palmo. Era come mi piaceva di più, come gli avevo detto che mi piaceva di più.
E poi l'altra mano: bollente, forte, a stringermi il sesso sopra i jeans.
Mi sentì vinta, conquistata. Eccitata oltre misura. Bagnata.
All'improvviso capì: lui sapeva esattamente cosa fare, negli anni aveva perfettamente imparato, io dovevo solo lasciare che il rapporto dei miei sogni si realizzasse.
E così lasciai che lì, all'ingresso della cucina, la sua bocca, le sue mani, la sua lingua, i suoi denti, mi baciassero, stringessero, leccassero, mordessero, senza mai scendere sotto la cintura, afferrando i miei seni, premendoli l'uno contro l'altro mentre il mio ombelico era invaso dai suoi baci, bloccandomi le mani sopra la testa mentre la sua lingua si feriva sugli orecchini, e così girandomi e facendo sentire il freddo muro ai miei capezzoli turgidi, caldi, ma mai caldi come la sua erezione che il mio culo conobbe in quel momento, jeans contro jeans, spingendomi, quasi volesse passarmi attraverso, e mi addentò una spalla.
E seppi cosa fare, sapevo che lo volevo dentro di me, e sapevo come averlo.
Ed il mio bacino lo respinse, le mie mani si liberarono, e lo spinsi su una sedia. Affondai le mie unghie nelle sue cosce e lui gridò di piacere. Mi inginocchiai tra le sue gambe aperte e lo guardai solo per sorridergli, poi i miei occhi furono solo per il suo corpo. Alzai il suo maglione e la sua camicia e cominciai a baciargli gli addominali ben disegnati, tonici, frutto di anni di tennis, mentre le mie mani non smettevano di consumare le mie unghie sui suoi jeans, sui suoi pettorali.
E mi mise le mani sulle spalle.
Era il momento.
E mi fermai. Mi raccolsi.
Avvertì la tensione in lui diminuire, ed in me concentrarsi.
E dalle caviglie cominciai una lunga carezza, su, su, fino alla lampo. Gli sorrisi di nuovo, e lui mi guardava come una Dea. E poggiai le mie mani sulla sua erezione. Pulsante, incandescente. E la carezzai, le diedi dei morsetti, ci appoggiai il viso per sentire tutta quella furia e quell'energia rimbombarmi nelle orecchie.
E poi la liberai dai jeans. E divenne un incredibile pene. Un pene che meritava di essere chiamato CAZZO! Stavolta sorrisi a me. E lo afferrai con una mano, mentre l'altra si occupava di sbarazzarsi dei jeans miei e suoi. E mentre la mia bocca pensava a non fargli prendere freddo, a dimostrargli il mio affetto, la mia ammirazione. A mostrare ad Alberto che avevo ascoltato con attenzione tutto quello che mi aveva raccontato sulla morbidezza delle labbra, sulla loro umidità, sul movimento della lingua, di come staccarsi da "lui" e passare ai testicoli, di come occuparsi di tutto insieme, e di come eccitare ancor di più il proprio compagno toccandosi, masturbandosi, penetrandosi mentre la tua bocca è piena di lui...
E mentre mi cominciava a girare la testa, Alberto mi fermò.
- Ora tocca a me.
Afferrandomi delicatamente le mani mi fece alzare, e senza lasciarle mi fece sollevare le braccia. Non sapevo cosa volesse fare, ma ero come ipnotizzata: dal suo corpo asciutto, allenato, dal suo calore che si avvicinava, dalla leggera pressione che il suo pene fece sui miei peli sfiorandoli, dalle sue mani che lentamente mi percorrevano dalla punta delle dita, giù, lungo le braccia, nell'incavo delle ascelle, sul fianco dei seni, sfiorando appena la vita e poi... e poi afferrarono la maglia che ancora avevo in vita, ed in un percorso inverso, ancora più lento, ancora più caldo, attento, la sfilarono, e le mie braccia caddero stremate.
Afferrandomi le spalle con le sue mani delicate e forti mi baciò la fronte. Poi lo zigomo. L'angolo della bocca. Il mento. E poi l'altro angolo della bocca e l'altro zigomo, quasi a disegnare un cerchio di baci sul mio viso, che concluse con gli occhi, uno alla volta, delicatamente, solleticandomi le ciglia... E la sua mano li sfiorò per dirmi di tenerli chiusi.
In quel buio colorato di piacere Alberto era scomparso. Non riuscivo a capire dove fosse, e sentivo l'eccitazione crescere in me, il desiderio di lui spaventarmi per la sua ferocia, dentro me pregavo che quell'attimo eterno che mi separava dal suo corpo terminasse.
E la sua lingua si mosse tra i peli del mio sesso: gemetti.
Piccoli colpi di lingua mi colpivano l'inguine, l'ombelico, tutto il basso ventre. E le sue mani si insinuarono tra le mie cosce per aprirle. Giusto il necessario. E sentì il ruvido grattare delle sue guance non rasate risalirle, su, fino a sfiorarmi col naso il clitoride, fino a toccarlo, stimolarlo... le mie ginocchia vacillarono, ma lui mi sostenne afferrandomi i glutei, prepotentemente, incontestabilmente, ordinando al mio corpo di non cedere, di rimanere lì fermo e dritto a sua disposizione.
E sussurrai - sìiii...
E la sua lingua si complimentò con le altre mie labbra, una alla volta, millimetro per millimetro, mentre il mio clitoride era sempre alle prese con il suo naso.
All'improvviso affondò la faccia, e stavo cadendo sul serio, ma lui non mollò la presa, mi sostenne, e mi penetrò con la lingua più viva che io ricordi: mi sentì invasa, carezzata, maltrattata, sembrava che la mia vagina fosse un luogo da esplorare e sfruttare. Lo volevo, mamma quanto lo volevo!, ma lui non smetteva di leccarmela, baciarla, mordicchiarla, coinvolgendola in un folle ballo, in un cancan infernale.
Che finì solo quando in una lunga, lenta, piena leccata arrivò a succhiarmi il clitoride. Volevo venire, merda quanto volevo venire! Volevo che il mio orgasmo gli esplodesse in faccia e lo rigettasse a terra gridandogli "Stronzo!, potevi avermi e ti sei limitato a questo!", ma di più ancora volevo venire con lui dentro, e non so come, né perché, mi trattenni, quasi distrutta dallo sforzo.
E mi penetrò con le dita. All'improvviso, senza avvicinarsi piano, ma direttamente, come una coltellata, come la coltellata di piacere che dalla pancia mi trapassò fino al cervello, infuocandolo.
Persi l'equilibrio, ma la sua presa salda non mi fece cadere, mi aiutò a stendermi a terra.
E la deliziosa tortura continuò.
Non so per quanto tempo il mio corpo steso fu un luogo di culto per la sua bocca e le sue mani, il suo petto, le sue spalle, gomiti ginocchia: non riuscivo a capire come, ma sentivo che usava ogni parte del suo corpo per toccare, stimolare, eccitare ogni parte del mio...No, non fu proprio così. I miei occhi non potevano guardarlo, ancora mi chiedeva di tenerli chiusi. Ed il suo pene era sparito. Non che non ci fosse, solo che riuscivo a sentirlo solo quando Alberto mi sfiorava come aria nel muoversi attorno e sopra di me, come quando col naso percorse tutto il mio corpo, dai piedi al collo, segnando le curve, gli spigoli, le profondità... ed in questa carezza sentì prima il suo petto teso, scattante, sfiorare i miei capezzoli duri, taglienti e in allerta, e poi sentì il suo pene sfiorarmi un ginocchio, piano su, lungo la coscia ed era quasi lì... sparito!
Durante questa "celebrazione" devo aver cominciato a perdere il senso della realtà, perché ricordo solo che ad un certo punto ero in piedi. Bendata. Aspettando che lui continuasse a giocare con il mio corpo.
Stavolta l'attesa non sembrò altrettanto lunga, ormai avevo del tutto perso il senso del tempo. E dalle mie spalle mi afferrò i seni, cattivo, rapace, e mi attirò contro il suo petto duro: fu come un incidente d'auto nel mio cuore e nella mia testa. E nelle mie viscere quando i nostri corpi si unirono dai piedi alla testa, ed il suo pene me la colpì senza entrarvi, infilandosi tra le mie cosce, mentre il mio culo era stretto tra "lui" sotto e Alberto dietro.
Alberto che divenne più rude. Restando così uniti i suoi morsi ed i suoi baci si concentrarono sulle mie spalle e sul mio collo, proprio lì dove mi aveva toccato quando tutto questo era cominciato, le sue mani mi percorrevano come orde feroci senza la minima esitazione, senza nessuna pietà: non ce la facevo più, lo volevo LO VOLEVO! E le mie mani si mossero ad afferrare il suo Cazzo, solo che fui lenta, e lui le fermò, se ne impossessò, e cominciò a toccarmi con le mie mani. Tutto quello che finora avevano fatto le sue, ora lo facevano le mie, marionette unghiate nelle mani del mio uomo, che mi fece torturare i miei seni, me le fece infilare dentro, mi fece arrivare ad un passo dall'orgasmo usando il mio indice sul mio clitoride Ed allora mi ribellai, e stringendo le cosce cominciai ad scivolare avanti e indietro sul suo Cazzo, e ripresi il controllo. Per un attimo.
L'attimo dopo ero stata spinta sul tavolo, prona.
E lui già era tra le mie gambe a leccare, succhiare, mordere, mentre le sue mani stringevano il mio culo inchiodandomi sul tavolo. E quel maledetto santissimo naso si piazzò sul mio ano, spingendo, penetrando. E credo di aver urlato. Di piacere.
E lui allentò la presa, ma solo per permettere alla sua lingua di scendere come un avvoltoio nel mio culo, mentre con una mano continuava a penetrarmi, masturbarmi. Per poi cambiare le posizioni, e piantare un altro coltello nel mio cervello, stavolta attraverso il didietro.
Gli gridai - TI VOGLIO!!!
Ma lui non mi ascoltò, continuava questo suo gioco sadico in cui le sue dita e la sua lingua cambiavano di dama come in un gran ballo, e mentre tutto questo mi struggeva di piacere, mi distruggeva di frustrazione, perché era attento a non farmi valicare mai la linea dell'orgasmo, e non faceva quello che gli dicevo, che volevo.
Un gemito gutturale esplose dalla mia pancia quando mi accontentò in pieno, quando mi entrò dentro col suo Cazzo davanti e con almeno un dito dietro. Ed allora i miei sensi vacillarono del tutto.
So che continuò così per molto tempo, riempiendomi di lui senza altri giochetti snervanti, tenendomi il busto piantato sul tavolo mentre fondeva tutto il mio bacino, ma non so come ci ritrovammo seduti su una sedia, con lui che mi mangiava i seni e mi strappava la schiena, o come mi trovassi a testa in giù, con lui sopra di me che mi attanagliava le caviglie, o qualunque delle altre immagini che mi affollano la mente, ma che non riesco a focalizzare per colpa di quella benda... So, però, che non uscì mai in quei momenti. Lo so perché non potevo non accorgermi che quel Cazzo mi era dentro, e quando uscì stavo per imprecare.
Invece urlai ancora più forte, sentendo quella virilità affamata e da soddisfare entrarmi su per il culo, con la violenza ed il piacere di un colpo di cannone. Ero di nuovo prona sul tavolo, mi sembrava. Ormai avevo perso anche la concezione dello spazio, ed artigliai il suo culetto sodo come fosse l'unica realtà esterna a me. Ed anche l'unica realtà esterna che mi permettesse di non farlo uscire. Ma non era sua intenzione. Nessuno dei due era certo alla prima esperienza del genere, ma stavolta... stavolta era speciale, almeno per me. Di solito non mi andava in modo particolare, e comunque sapevo perfettamente cosa stava succedendo, invece con Alberto... Anche Alberto era scomparso, c'era solo il suo bel culetto d'acciaio ed il suo Signor Cazzo di marmo, che ormai sembrava aver messo radici e preso il controllo del mio corpo. E poi c'era il mio piacere, ormai anche lui del tutto impazzito.
Alberto ricomparve levandomi la benda. Ficcando una mano tra le mie cosce. Penetrandomi con le sue dita. Afferrandomi per dietro il collo. E portandomi contro il suo petto di granito. Non feci in tempo a riaprire gli occhi che i suoi movimenti me li fecero richiudere.
Eravamo in piedi, lui dietro di me. Era dentro il mio culo e non accennava ad uscirne, ed io non volevo lo facesse, le sue dita mi penetravano davanti e stimolavano il mio clitoride e lo ringraziavo di questo perché le mie mani erano libere e potevano toccarmi i seni e stringergli il culo mentre nella mia bocca c'era l'altra sua mano e nella sua bocca c'era il mio collo come due animali feroci che si mangiano contro l'estinzione due pazzi che combattono fino alla morte due amanti nella loro ultima notte e lo sentì sentì che stava per venire e gli dissi - Sì, dentro! - e nel momento in cui dentro di me scoppiò un'atomica liquida la sua onda d'urto si scontrò con il napalm che mi bruciò fino agli occhi, facendomi svenire...
Rinvenni trovandomi sul pavimento, ed Alberto era sdraiato accanto a me. Entrambi ancora nudi e sporchi. Ci guardammo e sorridemmo, feci per alzarmi, ma quel che mi sporcava fece rumore, e scoppiammo a ridere a crepapelle.
Ed il cucù suonò.
- Merda!, sono già le sei! Tra poco tornano i miei!
Ci sistemammo e riordinammo la casa, e ce n'era da riordinare!, nella massima fretta, e neanche 10 minuti dopo tutto sembrava normale, se escludiamo la luce nei nostri occhi e la mollezza dei nostri gesti.
- Forse è meglio se vado. Se i tuoi capiscono qualcosa vedendoci così...
- Ok, ti accompagno alla porta.
Ciao tesoro, è stato unico! - e lo baciai sulle labbra, veloce e leggera, con tutto l'affetto e la gratitudine che provavo.
E lui non rispose, lì, con gli occhi fissi, senza meta.
Poi mi guardò. Gli occhi più pieni d'amore e tristezza che abbia mai visto, uno sguardo carico di disillusione e rimpianti.
Abbozzò un piccolo sorriso, mi baciò sulla fronte.
- Addio.
- addio... - sussurrai.
Tiziana Cimmino