Le mani in tasca, il bavero del giubbottino alzato attorno al collo scoperto, i capelli tagliati corti, accidenti, un capriccio di una mattina afosa di mezza estate. Avevo così freddo fuori, quel giorno e tanto calore dentro, sgranato messaggio dopo messaggio da perle ardite di colore e di passione.
Ed adesso ero lì, ad incontrarti, un'ora di attesa, appostata in un punto per me qualsiasi della città, dove tutto era nuovo e tutto distante. Solo tu dovevi esserci: l'attrazione artistica letteraria naturalistica culinaria del luogo, avevo già scritto fiumi di parole per te, disegnato paesaggi variopinti, cucinato specialità di tuo gusto, non mio.
E ti vidi, improvvisamente, già in fondo alle scale, a due metri da me, mentre il grande sommo orologio segnava le 17:48.
Ah, forse non eri tu quello che cercavo, poi non ti avevo mai visto tranne che in due vecchie foto torbide e vaghe. No, proprio non eri tu: smilzo, allampanato, terreo in viso, stretto in un minuscolo gilet blu notte e... mi hai anche sorriso! Denti imperfetti, sovrapposti, sporgenti di mille sfumature: occhi neri, accigliati, cupi, sopracciglia grottesche come l'orco delle favole di Barbablù, lo sguardo indagatore di un ladro che si aggira per capire dove deve colpire. Il sangue mi si fermò nelle vene ed io mi fermai con lui.
-Come mi trovi?- mi uscì dalla bocca non so come, -Come ti avevo immaginato-. – Io no!- Risposi mentre ti accendevi una sigaretta che non avresti dovuto fumare.
Mi volsi a guardare intorno a me; in lontananza si alzavano strani rumore di chiasso di città, scorrere di automobili veloci e voci del passeggio della gente, infreddolita, indifferente.
Mentre l'orologio segnava le 17:50.
Possibile che in due minuti alla dolce quiete dell'attesa sia subentrata l'oppressione della tempesta imminente? Di solito è il contrario: perché questa mia avversione alla normalità? Alla frenesia subentrò il dubbio di aver sbagliato uomo e comunque di aver smarrito il percorso. -Dove andiamo?- Hai chiesto con fare sdegno e sprezzante a indicarmi sollecitudine e celerità. –Da nessuna parte- ho risposto prontamente mentre il mostro stava saltellando dentro di me da capo a piedi in attesa di esplodere. In mezzo secondo ho realizzato che io non avrei mai potuto sfiorarti con un dito, lì, sotto quella palla di orologio preistorico. Toccarti? Baciarti? Scoparti? Dentro la roccia ci metti una spada e affondi, non ci coltivi un fiore. Quanta ingratitudine scortese di chi non sa e non capisce com'è veramente una donna... -Bravo, continua così, complimenti-, mentre giravo i tacchi fradici di pioggia delle pozzanghere dopo un'ultimo sguardo altero al tuo essere immondo e impuro.
Risalendo le scale nessun pensiero, ma una sola certezza: non avevo sbagliato il percorso, nessun inganno e nessuna trasfigurazione della realtà. Ma io lo sapevo già, avevo compreso tanto tempo prima l'incedere devastante di una serenata ad altissima frequenza. Tic tac 17:52. Tutto in 4 minuti. Tempo tempo non ti fermare. Tutto accadrà domani, perché l'Amore, si sa, non si arrende mai.
Rossogeranio