Erano gli uomini a tornare di solito. Non che si lamentasse, in questo caso. Ma era un'anomalia. E lui, il libraio, non credeva nelle anomalie. Non erano mai gratuite. L'anomalia nel comportamento di una Signora. Poi. E di una, come quella. Impossibile. C'era una ragione per quella comparsa. Lui ancora non la conosceva, ma presto avrebbe capito. Presto. Gli sarebbe bastato osservare la luce obliqua di quegli occhi d'indaco e la piega orgogliosa e seducente delle labbra. L'avrebbe letta. Era il suo carisma. Il suo potere. Il passare degli anni non lo aveva minimamente appannato. Era ancora uno schiavo perfetto. Solo che non poteva più appartenere. Non ad una come lei. Comunque. Lo sentiva. Quella donna stregava. Incantava come un cobra e poi colpiva. Lasciando storditi e svuotati. Annientava e Innalzava contemporaneamente. Si era Roba sua. Con buona pace di quel noioso di Verga, che mai aveva così poco amato come nel Mastro don Gesualdo... Quella donna era una Lupa invece. Ma con una scintilla di divino conficcata lì tra il buco del culo e il cuore. Era quello che la rendeva speciale.
Il libraio la osservava seminascosta da un pila di preziosi incunaboli trecenteschi, che lui avrebbe dovuto pulire e controllare pagina per pagina prima di consegnare al collezionista che li aveva ordinati.
La donna si muoveva elegante. Lo spazio si apriva. Si animava intorno a lei. Le mani che sfogliavano le pagine di pergamena erano reverenti. Quella donna conosceva il valore delle cose. Molto bene. Si era seduta. Dio come era regale. Istintivamente regale. Stagliata contro lo sfondo di cuoio rosso dell'alto schienale della poltrona, posta accanto alla trifora decorata che illuminava il lato destro della libreria. Sorrideva di qualcosa che stava leggendo o di un suo pensiero segreto. Rilassata. Le gambe inguainate in calze di seta nera, velate, impalpabili.
Ricordi. Dannati. Maledetti ricordi. Non gli lasciavano requie. Non lo sapeva più quanti anni erano passati dall'ultima volta che una calza come quella gli aveva chiuso la bocca. Mentre l'arco di un piede, simile in tutto e per tutto a quello che ora ondeggiava languido davanti ai suoi occhi ornato da un tacco a spillo di acciaio, gli schiacciava inesorabile il cazzo. Basta. Doveva smetterla. Ora aveva una missione. Doveva capire. Poteva ancora servire. Qualsiasi cosa desiderasse. Lui l'avrebbe aiutata ad averla. Era nato per quello. Soddisfare i capricci di una Signora...
Si sentiva osservata. In modo benevolo. Uno sguardo adorante. Saggiamente adorante. Era sicuramente il libraio. Era certa di averlo stupito. Non si aspettava il suo ritorno. Ma si sentiva a casa lì. Il profumo del cuoio, la fragile e perfetta bellezza delle incisioni, le spirali aggraziate delle lettere miniate, i segreti che alcuni dei preziosi incunaboli, che il libraio custodiva, celavano. Era avvolta dalla voluttà di quel luogo. Dal mistero e dalla perversione che si celavano nei suoi angoli più nascosti. Nelle sue sale segrete. Per quello aveva dato appuntamento lì ad entrambi. Avrebbero obbedito ne era certa. Non aveva ancora deciso però. Chi avrebbe servito. Chi avrebbe offerto. Per entrambi il dolore sarebbe stato lacerante. Il piacere stordente. Bloccò con un lieve dondolio del piede destro lo sguardo del libraio su di lei. Lo ancorò in modo repentino e totale. Adorava quel vecchio uomo pieno di grazia e dignità e con una scintilla di ironica malizia nello sguardo che le faceva capire quanto dovesse essere stato abile nel servire la Signora che lo aveva scelto a suo tempo.
Il campanello della porta suonò rompendo il sensuale silenzio della stanza. Se lo aspettava. Era in anticipo. Così tipico di lui. Teneva gli occhi bassi. Era soggiogato, conquistato quanto l'altro scalpitava come il giovane puledro a cui assomigliava.
L'uomo la adorava. Aveva preso posto sullo sgabello ai suoi piedi non appena lei aveva inarcato un sopracciglio. Non era un uomo facile. Era un purosangue. Un cavallo di razza. Ma il potere di lei. La seduzione violenta e ammaliante di quelle labbra piene. La crudele dolcezza di quelle mani, che incidevano con sapiente maestria decori di sangue sulla sua pelle. Lo avevano vinto. Era suo. Appartenerle gli dava un senso e uno scopo. Illuminava il suo mondo. Colmava la sua anima. Come ora sedere ai suoi piedi. Sfiorato dalla punta gelida del suo tacco a spillo.
La donna sorrideva mentre affondava lenta ma inesorabile il tacco tra le gambe aperte dell'uomo. Lo sguardo che vagava fuori dalla finestra. In attesa. Il triangolo doveva chiudersi. E lei doveva mettersi alla prova. Capire. Già. Stava ancora sorridendo all'immagine che la sua mente andava formando quando colse lo sguardo del libraio nel riflesso dei vetri molati della bifora. Ammiccava divertito. Si voltò lentamente e lo vide. Era fermo all'ingresso della libreria. La guardava. Fiero, sfrontato, volutamente provocante. L'elasticità del suo passo la intrigava. Lo percorse con lo sguardo. Incatenando i suoi occhi. Forzandolo a guardarla mentre si faceva servire. Da un altro. Avanzava lento. Non aveva abbassato lo sguardo. I suoi occhi erano colmi di rabbia appassionata e di qualcosa d'altro, di più profondo. Il baluginio di un'emozione dolce. Si fermo alle spalle dell'uomo seduto. Un giovane lupo. Il potere vibrava dentro di lei inebriandola. Inarcò un sottile sopracciglio, che sembrava disegnato con la china, all'indirizzo del libraio che aprì una porta incisa con rune celtiche che dava su una saletta circolare, illuminata solo da candele fissate alle bianche pareti con morsi di ferro brunito. Nella sala c'era una piattaforma circolare d'ebano su cui era posto un morbido futon rosso lacca. Non guardò nessuno. Ne il maturo purosangue. Ne il giovane Lupo. Si alzò e si avviò nella sala. Certa che l'avrebbero seguita. Come del resto lo era il libraio. Anche se, le ragioni di quell'obbedienza erano limpide negli occhi del purosangue, mentre erano ancora torbide in quelle del lupo. Ma erano lì per quello. Lui lo sapeva. Loro. Beh. Loro avrebbero scoperto presto le intenzioni della Signora. E dopo indietro non sarebbe più stato possibile andare. Per nessuno. Nemmeno volendo. Ma il libraio era certo che nessuno dei due uomini avrebbe voluto. Avevano il dono. Conoscevano il valore. L'assoluta perfezione di servirLa. La porta si chiuse. La Signora era protettiva. Del resto, non sapeva che il libraio li avrebbe osservati lo stesso dallo specchio celato dietro il quadro di Tamara De Lempika, che lei adorava e che occupava la parete di destra della stanza.
Ecco aveva definito il campo. Ora li avrebbe fatti scegliere. E, se avessero assunto naturalmente il ruolo che Lei aveva stabilito per loro, avrebbero capito. Dolorosamente. Come era giusto. Dandole piacere. Infinito. Torbido. Perverso. Piacere. E negandoselo pur provandolo loro stessi. Non aveva dubbi sull'esito. Ma era curiosa. Si sfilò lentamente la gonna di seta e la giacca di pelle che indossava. La goupiere verde bottiglia riluceva alla fiamma delle candele. La sua pelle era del color dell'oro contro il verde del reggicalze che scivolava verso il bordo sottile della calza nera. C'erano degli anelli di ferro fissati alla parete di fronte al letto da cui pendevano delle corde nere. Li fissò. Seducente. Inesorabile. Dura. Una pantera. Selvaggia. Indomabile. Il loro posto. Quanto avrebbero impiegato a capire quale era. Passarono i minuti. Inesorabili e lentissimi. Scanditi dall'ipnotica nenia celtica, che il libraio aveva scelto come sottofondo. Alla parete a cui la piattaforma era appoggiata erano fissate due polsiere di cuoio nero. La donna le accarezzava languida. Scattarono all'unisono. Strappandole un sorriso. Il purosangue andò deciso verso la parete. Stringendosi le corde intorno ai polsi. Bloccandosi al muro. E il giovane lupo. Le porse con furia i polsi. Il cuoio morbido sembrava aspettare solo lui. Si adattò come un guanto alla sua pelle. Ecco. Ora il rito poteva essere celebrato... Spogliò rapida il giovane uomo mentre gli occhi dell'altro non la lasciavano un'istante. Il suo corpo era teso. Il suo cazzo svettava. La voleva. Al di là di tutto. Com'era giusto fosse. Mancava una cosa. Si alzò. Raggiunse l'uomo alla parete. Lo fece piegare in modo che la sua lingua affondasse nel calore rovente tra le cosce di lei. La sentì guizzare a fondo. Una. Due. Tre volte. Poteva bastare. Con uno strattone ai capelli lo respinse contro la parete e con un unico fluido movimento montò a cavalcioni sul giovane uomo. Accolse il suo cazzo rigido dentro il suo liquido calore. Fu una violenza. Una sofisticata. Crudele. Elegante. Violenza. Calpestò le loro anime. Ancora e ancora. Mentre cavalcava selvaggiamente uno e guardava intensamente l'altro. Il libraio era in estasi. Ammutolito. Immobile. Come era simile all'altra. A lei. Quella che gli aveva lasciato solo quel quadro. Il ritratto di Lui. Dipinto da Lei.
Il piacere travolse tutti nello stesso momento. Quello deciso da Lei. Godettero come mai prima. Loro malgrado. Entrambi. Come li invidiava. E come li capiva. Distrutti, ma mai così intensamente vivi. La signora intanto si era rivestita. Aveva loro sorriso. E parlato, per la prima volta da quando erano arrivati alla libreria: - Per qualsiasi cosa potete rivolgervi al Libraio. Lui sa. E vi capirà... A revoir... - .
Quando il tintinnio della campanella aveva annunciato la chiusura della porta. Quella da cui lei era uscita. Il libraio aveva avuto un brivido. Faceva freddo adesso. Molto freddo. Lì. Come nella stanza delle rune. Aveva afferrato il vassoio con il whisky invecchiato e i bicchieri di cristallo baccarat ed era entrato nella stanza: - Beviamo e poi risponderò alle vostre domande. A Tutte le vostre domande! -
Mayadesnuda