E' mezzanotte e piango amaramente, mentre cammino sotto i fiori di ciliegio, che decorano abilmente i piedistalli dei lampioni. Lo fanno ovunque, per dare al quartiere l'aspetto di un perenne carnevale, ignorando qualsiasi fremito e disturbo della gente lieve e malinconica che, in un moto continuo e inarrestabile, affolla la rete di vicoli sotto un falso soffitto d'ombrelli.
Cerco tra la moltitudine di volti sconosciuti quella dell'uomo che voglio, mentre la pioggia fitta e pesante unge la superficie delle strade.
La folla mi rasenta come onde piene d'occhi, finché non credo di camminare in un oceano di uomini muti e gesticolanti.
Continuo a girovagare in questa prospettiva espressionista, infagottata nel mio cappottino nero, come artefice di tutto e di nulla.
Innamorata, piangente, vagante.
Sono venuta in questa città perché sospetto enormi risorse istrioniche.
Rovisto nella cabina del cuore in cerca di aspetti adeguati da dare all'esperienza e alla mia insoddisfazione.
Finché la città non mi consegni nelle mani di uno sconosciuto, che mi cammini a fianco, chiedendomi perché piango.
Non ho bisogno di scomodarmi in un'autoanalisi psicologica per capire, è palese nei suoi atteggiamenti sicuri ed espliciti.
Non è uno sconosciuto, è lui che cercavo.
- Dove andiamo? -
Mi trascina davanti ad un portone scuro, quasi consunto, di un palazzo tappezzato da ampie macchie d'intonaco scrostato.
Qui abbiamo fissato il punto. Qui è stato il nostro momento.
...Al diavolo la vita stanca, l'appassimento, i momenti del no, non lo devo fare, non me lo posso permettere, non posso essere io che faccio una cosa simile.
Le scale percorse adagio, con una lentezza quasi esasperata, come a rivedermi ancora in tempo; ecco l'ingresso accostato e tu che ti fermi, immobile.
Ti guardo per la prima volta, negli occhi.
Non una parola, ma un'espressione che non può essere che un trionfo di eloquenza.
"Taci o svanirò per sempre, dissolta nei tuoi pensieri. Vediamo se sei capace di dirmi quanto mi trovi bella -
Non esce che un sospiro e le tue mani cercano le mie...
...Ed io sono qui, avvinghiata alle tue mani.
Mi lascio andare alla beatitudine del corpo privo di peso.
Ti allungo le braccia e ritorno bambina, ti appoggio il mio viso e rimango in attesa. La leggerezza mi trascina sull'onda, nel petto orgoglioso la cedevolezza mi agguanta. Non conosco questa sensazione di pienezza, che mi fa alzare le braccia in segno di resa...
...Tu sei lì e respiri; lo so che hai ancora paura di entrare, ogni parte di te si rifiuta di farlo.
- Avresti più libertà - . Mi sussurri ed io vedo solo la crepa triste del tuo sorriso.
La parola libertà in quest'attimo suona solo come una sequenza di sillabe, pronunciate da una bocca dischiusa, le cui labbra lucide di rossetto formano un cuore di carne e di zucchero. Mentre pronunci il mio nome ho sentito la tua orma impressa sul mio viso, sul collo scoperto, lasciando un vivido marchio di colore rosso.
La vista mi propone il candore etereo delle tue nudità; il solo contrasto dei capelli, dei tuoi capezzoli e del pube, capisco e so dove andare.
L'olfatto mi riporta al tuo delicato profumo, quell'odore che ho concepito da lontano; il gusto, che mi riempie la bocca di lunghissimi baci, con le lingue che giocano una quintana di conquista e il tatto che, chiudendo gli occhi, palpita di carezze che esplorano il tuo velluto. All'apice, la voce che mi spinge, quasi ossessivamente, ai tuoi gemiti domati, del nostro essere indiviso...
... - Libertà - . Com'è rotonda questa parola, com'è umida e calda la tua bocca. Adesso capisco perché sei venuto, perché mi hai aspettato. In un attimo vedo la tua forza confondere il mio viso, con le dita allargate, per coprirmi tutta, per farmi soffocare. La stanza ondeggia, in una nenia senza tempo. La luce ci sfiora piano.
Sono convinta che è l'ultima volta.
Lavami, asciugami, proteggermi bene, parte per parte, con il sapone odoroso dei bimbi. Te lo dicono i miei capelli lucidi e rossi, le labbra vogliose e impazienti, lo vedo, nel modo in cui ti siedi, in cui mi guardi.
La vista che osserva, che tocca, che palpa, che vede tutto quello che affiora in superficie. Stai entrando dentro di me, nella mia pelle e riconosci un secondo te stesso, un piccolo/uomo/donna/grande destinati a soffrire... ad aspettare...immane martirio e logica sentenza.
Pensavamo di esser liberi da questi riti, di essere grandi, ma non è servito a nulla fuggire, inseguire la lontananza, perdersi nell'oblio.
...Le ultime parole che ti ho udito pronunciare sono state: "Non cercarmi più. Mi farò viva io, se e quando sarà possibile".
"Si". Ti ho risposto mentendo solo a me stesso. "Hai ragione, è giusto così".
Avrei dovuto dirti che non è possibile, che ti voglio sentire e risentire, vedere e rivedere, ma il mio orgoglio maturo vuole credere che presto deciderai, e capirai se sarai amica dolce d'infanzia o la mia amante segreta... e così nella mia mente, per tutto questo tempo, i miei sensi rimescolano le ore trascorse insieme, in quell'appartamento disadorno dove tutto sapeva di buono, dove ti ho stretto forte e non ti ho più lasciato.
- Perché hai staccato il telefono? - ...
...E' successo qualcosa, mi avvicino allo specchio e vedo la tua immagine riflessa, le parole non le hanno ancora inventate, le parole non sono nulla, si oppongono alla passione, lo sai. Eppure esisti, sei qui, fisico, presente, come un tampone che si dilata tra le gambe, come la bottiglietta vuota del mio profumo, come il portacipria d'argento che ho sbattuto per terra, come tutto quello che mi manca.
L'odore, il tuo odore senza macchie, la scatolina di aria fresca, lo spiraglio di sole, il sapore della sicurezza, il vigore dell'estasi legittima e vera... - Ecco perché ho staccato il telefono - ...
Adesso non piango più, in questa città sterile, chiusa in una bolla di plastica.
Rossogeranio/Gentleman