Ho trascorso tutti i mesi di agosto della mia vita in un piccolo paese della provincia di Lecce, a dieci minuti dal mare, a dieci minuti dai turisti, a dieci minuti dai topless, dalle discoteche, dagli omosessuali del Bellini di Gallipoli.
Ma per me, ormai, la mia casa delle vacanze è diventata solo un punto d'appoggio per cibarsi, riposarsi, lavarsi.
Le mie fughe dal paese sono numerose, continue, affannate. Temo la prigionia dei pregiudizi, i foulard a guisa di copricapo, l'annaspante canicola e gli occhi inquisitori.
I miei jeans strappati, le mie minigonne, i miei top scollati, il mio modo di parlare e di atteggiarmi, fan sì che io sia lo scandalo del vicinato e la vergogna di mio padre, il quale, essendo originario del luogo e volendo - salvare la faccia - , prima di ogni partenza ispeziona con cura la mia valigia, e più lui la disapprova, più io la infarcisco di volgarità.
La sera del sedici di agosto viene organizzata una sagra locale dedicata alla - Taranta - , un ballo tipicamente salentino dove giovani uomini e fanciulle, morsi, come richiede il folklore regionale, da una tarantola fittizia, si dimenano ardimentosamente in uno spietato corteggiamento. Impatto assai suggestivo: menadi di Bacco in costumi tradizionali, drappi rosso scarlatto agitati nell'aria, piedi battuti al suolo, scontri di corpi, delirante e febbricitante suono di tamburelli.
L'intero quartiere scende in piazza. Il paese rimane deserto ed io mi rifugio in un sacro silenzio.
Mi sdraio al chiaro di luna, sul tetto terrazzato di casa mia, riempio le miei narici dell'aria secca del Meridione, sono tranquilla e rilassata.
All'improvviso avverto un rumore sordo seguito da un imprecare maschile. Mi alzo di scatto, guardo oltre la balaustra e vedo una persona risollevarsi da terra, sgattaiolare da un tetto all'altro e scendere freneticamente le scale che portano al balcone di Marilena, per tutti Lena, la mia dirimpettaia. Penso immediatamente ad un ladro, scendo anch'io le scale che mi addentreranno nella mia abitazione e che mi permetteranno di avere un'ampia visuale dell'edificio di Lena, attraverso la mia finestra.
Ma subito capisco che quell'uomo non era un ladro, ma Giuseppe, un giovane soldato del paese in licenza. Erano più di quindici giorni che bramava Lena senza requie. Se la mangiava con gli occhi ogni volta che lei attraversava la piazza, usciva dalla Chiesa, andava a prendere l'acqua alla fontana dietro casa. Ardeva di lussuria. Le gote vermiglie tradivano ogni suo più recondito desiderio.
Lena era alta, snella, con gambe da gazzella, seni piccoli e rotondi, pelle carbonizzata dal sole della campagna, capelli mossi, neri, lunghi fino alle spalle, labbra polpose, color sangue e due occhi a mandorla, scuri come gli scogli di Otranto.
Sul suo volto non si apriva mai un sorriso, era seria, riservata, schiva. Ma si vedeva che Giuseppe non le era indifferente; in presenza del giovane, il suo ancheggiare si faceva lascivo, le gonne in lino a tre quarti si insinuavano fra le cosce, i suoi graziosi seni facevano lievitare capezzoli di dimensioni quasi vergognose.
Lena questa sera è rimasta sola, anche i suoi erano stati morsi dalla foga del paese in festa, e così ha organizzato tutto: la corsa folle sui tetti delle case e la portafinestra del balcone spalancata per permettere a Giuseppe di entrare nella sua abitazione.
La mia finestra comunica direttamente con quella di Marilena, entrambe sono aperte ed io rimango immobile a guardare dietro le mie tende. Non so se lo faccio per curiosità, per noia o per l'eccitazione che mi sento addosso di ritrovarmi una voyeuse per caso. Ho infatti un'ottima prospettiva: il letto di Lena resta di fronte ad un gigantesco armadio le cui porte sono fatte a specchio e l'armadio guarda impertinente nella mia direzione.
Ciò che vedo sono immagini riflesse di due che si sdraiano su un letto, che si fondono in un tenero abbraccio, che si regalano un lungo bacio. Mi accorgo che entrambi sono impacciati e alle prime armi. Lei gli rimane abbarbicata al collo, quasi impaurita e ignara di quello che realmente desidera, lui le infila maldestramente le mani sotto la gonna, si dimena agitato.
Poi le strappa le mutandine con rabbia, lei irrompe con un -No!- che fa tenerezza e tristezza.
Deve essere decisamente la sua prima volta e mi metto a mugugnare fra me e me: - Marilena non ti preoccupare, la prima volta ha deluso la maggior parte di noi donne. Il vero dramma è quando il sesso ti piacerà così spasmodicamente che lo cercherai ovunque e con chiunque. Sarà lì che soffrirai ancora di più! -
Ritorno al mio spettacolo. Entrambi sono ormai nudi, perdo la concatenazione degli avvenimenti perché il vento ha deciso di far danzare a suo piacimento le tende della mia vicina, impedendomi, così, di avere una visuale completa di questo film hard e per di più inedito.
Giuseppe nudo è orrendo, grasso, senza un pelo, con due tette più grandi di Lena, flaccido e bianco come un lenzuolo. Ha poi dei modi bruschi, da caserma. Sento di detestarlo ed ho schifo per lei.
La ragazza è sdraiata a gambe larghe, lui le si getta addosso senza neppure considerare la differenza di stazza e le costole che le potrebbe fratturare. Si avverte un tonfo, ma Lena sta zitta: - Cazzo non l'avrà mica uccisa - , penso.
Chiudo le tende, non voglio guardare quell'immagine stagliata e oblungata da specchi antichi e irregolari. So, conosco a memoria il proseguo e prego un - Lena no, non così, non adesso! -
Mi volto e mi accascio sul pavimento. Dalla strada una donna comunica a gran voce ad un'altra: -Ete finitu tuttu, nu'n c'ede cchiù nenzi alla chiazza, sta bau cu me corcu!- E il monito si accavalla con un grido disperato di dolore: -Aaahhh!-
Si preannuncia una catastrofe!
Riconosco quella voce, è Luciana, la madre di Lena e quel grido sofferto era della sua giovane figlia.
Apro le tende.
Giuseppe, col cazzo insanguinato si è quasi interamente rivestito, Lena è esanime, sul letto e giù, sul selciato della via, i genitori della ragazza stanno per fare ingresso nella propria casa.
-Signora Luciana- grido con tutto il fiato che ho in gola.
-Ciao Elisa. Non sei venuta in piazza?-
-No sono stanca, oggi sono rimasta al mare fino a tardi. Ho sentito che lo spettacolo è finito e che ora andrà a dormire- Cielo, mi avranno presa per una pazza, io a questi non ho quasi mai rivolto la parola.
-Eh già, nu suntu mica ggiovine cumu tie, fija mea-
-Grazie!- mi sincero che Giuseppe abbia abbandonato la camera da letto fuggendo di tetto in tetto.
-Buonanotte!-
-Buonanotte signorina!-
Alle otto del giorno dopo il sole è già alto nel cielo, inforco i miei D&G per riparare gli occhi dai raggi e carico il baule della macchina di borse e borsettine, per un'intera giornata di mare, alias fuga da Alcatraz.
Lena esce di casa, stranita, sciupata.
-Grazie!-
-Ma di che?-
-Di aver distratto i miei!-
Faccio finta di niente.
-Ho peccato. L'ho fatto prima del matrimonio, mia nonna dice che non è una cosa giusta, che si finisce all'Inferno!-
-Nessuno può sapere dove si finirà dopo la morte e nessuno può decidere per noi quando sia giusto o meno fare l'amore. È una cosa che si sente dentro.-
-Non mi è piaciuto, mi ha fatto male ed ho perso molto sangue. Ho inzuppato il materasso!-
-Scegli il ragazzo giusto e la prossima volta andrà meglio, vedrai. D'ora in poi non ti farà più male, né perderai altro sangue. Ma per la pozzanghera, come l'hai messa coi tuoi?-
-Ho detto che mi è arrivato il ciclo in anticipo. Ho detto una bugia grave?-
-No, stai solo diventando furba!- Sorrido.
La saluto con un bacio sulla guancia.
Salgo in macchina, accendo lo stereo a palla, abbasso il finestrino, corro a gran velocità verso Baia Verde, già il nome del luogo mi conferisce pace e tranquillità per lo spirito.
Non me la sono sentita di dirle che ora inizierà a sanguinarle il cuore.
ElisaN