Racconti Erotici - RossoScarlatto Community
RossoScarlatto Community
.: :.
Racconto n° 2569
Autore: Alisa Mittler Altri racconti di Alisa Mittler
Aggiungi preferito Aggiungi come Racconto preferito
Contatto autore: Scrivi all'Autore
 
 
Lettori OnLine
 
Romanzi online
 
Manniquin
Brehat
Rebel
Friends
Orchid Club
Menage a trois
Remember
The best
Destiny
My Story
 
 
Preziosa
Vivo da sempre in questa stanza dove non entra la luce del sole. Le finestre hanno imposte chiuse e solo verso mezzogiorno filtra a fatica qualche raggio.
È sempre notte qui, e l'unica luce viene dai bagliori della fornace che getta riflessi rossi sul tavolo, sulla sedia sugli armadi. E sulle pinze e tenaglie di ferro.
Sì, lavoro i metalli, fabbrico gioielli. Da un grumo di materia inerte e nera, traggo la bellezza per le donne.
Le donne... non ne ho mai toccata una. Loro fuggono, temono il mio piede sciancato e l'occhio storto, ed hanno paura ad entrare in quest'antro troppo buio, dove le ombre ti azzannano alle spalle. Allora me ne resto solo, a sognare un corpo liscio, pelle serica, dei capelli lunghi fino alle natiche dalla curva perfetta, che posso sfiorare con un dito. Ma questo avviene solo nella mia mente, quando mi appoggio con un gomito sul tavolo di ferro che sembra un tavolo operatorio, sudato e sfinito per essere stato troppo tempo accanto al fuoco.

Mia madre mi diceva che erano pericolose le donne e che sarei morto se solo ne avessi toccata una. Fu lei che mi insegnò l'arte di plasmare i metalli, di fare la bellezza, e quando morì, iniziai a costruire automi. Creature di ferro, oro e bronzo, passate nella fornace e rifinite su questo tavolo, simulacri di donne perfette, che mi guardano notte e giorno con gli occhi sempre aperti.
Solo loro posso toccare, frutto dalle mie mani e dalla mia fantasia, non mi faranno male.
Non ti sei spaventata quando, non sai nemmeno tu come, sei capitata nel laboratorio. Ma ti muovevi con interesse tra i ferri del mio lavoro, passando le dita lunghe sui bracciali e le collane e sugli strumenti che possono tranciare o plasmare.
- Prendo questa - hai detto indicando una collana di rubini incastonati che subito ho sigillato attorno al tuo collo, facendo ben attenzione a non sfiorare con le dita la tua pelle.
E quella notte, quando ritornasti nei miei sogni, mi alzai di soprassalto a sedere sul letto e, in una stanza in penombra, trovai a fissarmi soltanto gli occhi vuoti degli automi.
Sei tornata altre volte. Non sapevi nemmeno tu perché. Sempre con una scusa, con una sfida.
- Guardami! -

E un giorno sei rimasta nuda, accanto alla fornace che proiettava bagliori rossi sul tuo corpo. Indossavi solo la collana con i rubini. Io restavo a fissare il tuo seno, un po' pesante, non perfetto come quello degli automi, ma morbido che, se non avessi avuto non so quale timore, avrei allungato una mano a coglierlo e passato un dito attorno all'areola scura. E poi il mio sguardo proseguiva verso il tuo ventre che terminava con un cespuglio di peli, diverso da quello delle donne di mia creazione, che è liscio, infantile, con una sottile spaccatura al centro. Tu ridevi mentre abbassavo lo sguardo e ammiccavi, invitandomi a toccarti. Hai teso la mano verso di me e mi sono scostato, come scottasse, ancora prima che riuscisse a sfiorarmi.

Sono passati alcuni giorni, lavoro poco, la notte accarezzo frenetico i corpi dei miei automi. Sento il freddo del metallo sotto la mano, e mi accontento di occhi senza espressione e della mia fantasia che non ha limiti. Nelle poche ore in cui sono all'opera, ho costruito un paio di manette, dopo essermi perso in calcoli per trovare la misura adatta ai tuoi polsi e alle tue caviglie.
Quando sei tornata ti ho fatto stendere nuda sul tavolo da lavoro che sembra un tavolo operatorio, stretto le manette attorno ai tuoi polsi e alle caviglie. Stavo in piedi davanti a te. Mi fissavi con occhi languidi e trattenevi un sorriso che non riuscivo a sostenere.

Era un invito, dal tuo sguardo e da tutto il tuo corpo costretto fermo mentre avrebbe voluto abbracciarmi. Sentivo i tuoi occhi dietro la schiena mentre ero intento a forgiare un anello di bronzo. Avevo voglia di toccarti e di prenderti, ma non potevo. Mi voltai e ti vidi piangere. E la voglia cambiava in rabbia, contro il tuo corpo non così perfetto, ma proprio per questo attraente, che sentivo mi sarebbe sfuggito. Ho preso il frustino ed ora il cuoio accarezza l'aria con fare cattivo. E sibila poi sempre più vicino fino a lasciare segni sulla tua pelle. E intanto mi accorgevo che sbagliavo tutto.
Ti ho sciolta e tu, raccolti i vestiti, sei fuggita, mentre voltato di spalle mi asciugavo le lacrime. Pensavo non saresti più tornata, anche se mi illudevo del contrario e avevo preparato qualcosa per te.

Quando sei entrata nel laboratorio, ti ho dato il mio regalo in una scatoletta rossa. Ho usato oro massiccio: un cilindro un po' più ampio ad un'estremità, levigato come una scultura di Brancusi. Ti guardo, stando appoggiato ad una mensola, mentre tu nuda, seduta sul bordo della sedia, apri le gambe e lo fai entrare piano nel tuo sesso. Non so cosa si provi a fare l'amore ma il mio piacere si gonfia mentre fai scivolare il cilindro avanti e indietro. Percepisco il freddo del metallo e la sensazione di pienezza. Avanti e indietro lentamente, come ad assaporare. Vedo i muscoli delle tue cosce tesi nel piacere, ed io non posso muovermi. Guardo i tuoi capezzoli eretti e ascolto il tuo respiro che si fa pesante. Mi sembra di essere dentro di te mentre aumenti il ritmo e gemi e ti lasci andare in un orgasmo che mi squassa. Adesso so che tornerai, perché nessun uomo alla luce del sole saprà accenderti come faccio io con il mio sguardo o saprà possederti come me con la mia arte. Si dice che così lo storpio vulcano abbia conquistato Venere.



Alisa Mittler

Biblioteca
 
Community
Redazione RS
Biblioteca

Biblioteca

 
.: RossoScarlatto Community :.