Narrano le storie, che alcune creature straordinarie sono dotate di doni e maledizioni, carismi e sensazioni del tutto particolari e che forse sopravvivono ancora tra noi, comuni mortali, dopo centinaia e centinaia di secoli.
Una di queste è lei, Cappuccetto Rosso.
Siamo in un paese del nord, con un inverno lungo, rigido e severo.
Il freddo, la tempesta, la neve provocano un sogno prolungato che sbanda, a volte, sino al delirio.
Gli uccelli sono emigrati verso sud, gli animali riparati nel recinto, le anime riunite al calduccio dell'intimo focolare.
E' la stagione più spietata dell'anno, quando i lupi non hanno più niente da mangiare...
Finito! Ho riordinato la casa: sul letto il nuovo piumino in alpaca, sul tavolo il vaso di ciclamini viola, l'aspirapolvere è al suo posto nella loggia, il bucato stirato e profumato nei cassetti.
E' il momento di uscire.
Il cappottino nasconde i jeans strusciati e il maglione variopinto, mi avvolgo in una morbida sciarpa di lana rossa e stendo un filo di rossetto lucido, sulle labbra. Inforco gli occhiali che proteggono dal sole e nascondono la mia voracità, quello sguardo curioso e predatore alla ricerca dell'anelata offerta.
Rovistando tra vicoli e negozi del centro lo scorgo al balcone, là in fondo, dove fanno bella mostra di sé confezioni di biscotti, pasticcini e dolciumi d'ogni tipo.
Il padrone della panetteria inspiegabilmente m'incute una leggera soggezione.
Assomiglia ad un lupo bigio: la camicia bianca, la cravatta nera e i capelli screziati e lividi, colore della pietra.
Un po' timidamente chiedo del pane di farro, che so benissimo non ha.
Prendo coraggio e domando quando sarà fornita la prossima partita.
Mi fissa un istante con occhi vitrei e gialli ed attraverso denti aguzzi sibila di non poterlo sapere con certezza.
Sto gustando quella sensazione tra paura e divertimento che provavo da bambina, quando stuzzicavo il cane alla catena facendolo ringhiare ed abbaiare in modo furioso.
Pago il bignè con una carta da 5 euro, sulla quale ho scritto il mio numero di telefono ed esco dal negozio, stringendo stretto il pacchettino all'incavo del braccio.
La mia piccola follia quotidiana, il nutrimento consistente ed essenziale che mi manca.
A quest'ora, il lupo viaggia nelle ore crepuscolari.
E' molto bello ed ha sopracciglia congiunte e pelose. Il ciuffo di capelli inonda la fronte, gli occhi sono incandescenti.
Non c'e' muro nè soffitto, in questa tana disadorna: solo lui di fronte a me, in una specie di ologramma.
Non parla ed ha lo sguardo fisso nel vuoto.
La sua immagine cambia in un processo di sviluppo sempre più veloce; in pochi secondi crescono i capelli, la barba e i villi ed assume fattezze bestiali.
- Permettimi - . Mi prende il fagottino sottobraccio: - Vieni dentro a scaldarti - .
In effetti un buon sherry è l'ideale in questa serata di gelo.
- Che occhi grandi che hai - , dice in contemplazione alla tanta pena che leggo nelle sue pupille.
Ho buttato la mia sciarpa vermiglia sul caminetto, per ravvivare le fiamme, in quel fuoco fatuo e tremolante di un nascondiglio di vecchie pietre.
Penso che per questa sera così speciale devo indossare solo la mia nuda pelle, perché io sono vestita, mentre il povero lupo è spoglio.
Butto il cappotto, i jeans, il maglione, le calze.
- Ecco, tutti i miei vestiti sono bruciati, adesso tocca a te - .
Il calore del fuoco mi è penetrato dentro, ma non riesce a riscaldarmi.
Il folklore mi sussurra un presagio di carestia, si acuisce l'ablazione dei centri inibitori, avverto smodata fame nei meandri spasmodici della mente.
I miei atroci antenati solevano rinchiudersi al riparo della fiaba, vittime della più tremenda tentazione, ma adesso esisto solo io, come unica della razza: la protagonista avida di pulsioni impellenti.
Scanniamo il pelo.
- Metti la testa sul mio grembo - . Sorrido.
- Che grandi braccia che hai - .
Mi cavalca addosso sulla mammella gonfia con il pene in erezione, la bocca avida e umida congiunta alla mia vena pulsante.
- Mangiami - .
Mi nutro della crema in un avviluppamento denso, assorbendo il latte albuminoso nel suo stato di detumescenza e mi sfamo del suo stesso bene.
Niente più ostacoli all'avidità delle impressioni: ci ringhiamo in strette condensate in una nostra fame protoplasmica ed inestinguibile.
Pian piano rinvigorisce la setola, la peluria, le cuticole.
Il nutrimento trionfa nell'antefatto divorante e il cerimoniale si compie.
La ghigliottina del sentimento, nei stravolti movimenti spastici dell'amplesso.
L'anima che si nasconde dietro un lupo risplende quanto quella di un'eroina reale, nell'apoteosi di un legame fisiologico di sopravvivenza ed espulsione di materia mortale.
Poi l'immagine oleografica svanisce.
La bufera si placa lasciando la selva chiazzata di neve, nessuna traccia di un osso rosicchiato, nè di un cespo di capelli.
Solo un incartamento sporco di dolce, abbandonato nella radura.
Silenzio, quiete, pace.
M'incammino avviluppata nella mia mantella rosso acceso.
C'è una vasta malinconia nei cantici dei lupi, illimitata oltre al bosco ed infinita come le lunghe notti d'inverno.
Eppure questa atroce tristezza non riesce a commuovere l'altrui coscienza.
Ogni bestia ha suo muso rivolto alla luna e ulula ogni volta, per spaccarti il cuore.
E per mangiarti, in un boccone.
Anche adesso, nell'anno 2007.
Rossogeranio