Amo la pioggia per quel suo suono così vario che culla le ansie e distrae dai pensieri, amo questo cielo plumbeo che mi sovrasta e che mi lascia intravedere delle scie di chiarore, amo quest'aria umida che mi avvolge, scivolando sul giubbotto di pelle e sulle mie ciocche ribelli. Non so bene dove andare, so solo che voglio lasciarmi molto alle spalle e fuggo il silenzio; vago così fino alla stazione, siedo su una panchina e ascolto i gridolini gioiosi di un bambino che vorrebbe inseguire ogni treno sotto gli occhi indulgenti e vigili del nonno.
Guardo quella piccola mano che stringe fiduciosa quella più grande, intagliata dagli anni e mi si stringe qualcosa nel petto. Fiducia, ecco cosa vorrei.
Mi guardo in una pozzanghera; è dunque così difficile aver fiducia in me?
I miei occhi sono gli stessi da anni, come possono aver mentito dinanzi a quelli dell'uomo che per primo mi ha amata? Come può aver immaginato questo di me?
Se gli avessi taciuto qualcosa nel passato, avrebbe potuto cercare la bugia sulle mie labbra o in fondo al mio sguardo, ma così non è stato. Volevo solo ritrovare la sua complicità, gli ho chiesto di trovarci in albergo e di fare l'amore, fingendo di essere due estranei. Ha rifiutato furiosamente.
- Che razza di donna sei? Dove le trovi queste idee? -
Mi ha fissata come se non sapesse chi ero, una donna cui ha posto mille domande, senza aspettare, né volere davvero una risposta.
Ho freddo adesso, scende la sera e il nonno parla di una lontana nevicata alla trottola dall'energia inesauribile che gli saltella al fianco, il visetto rivolto all'insù.
Mi ritrovo davanti al caffè dell'albergo ed entro nel calore fumoso della stube, raggiungendo il fondo attraverso le paratie di legno che isolano coppie e gruppetti nei loro discorsi; ho voglia di un cappuccino che mi schiarisca le idee e mi conforti con la sua liquida energia, mentre siedo qui sulla panchetta imbottita e resto immobile a lasciar fluire i pensieri. Forse nevicherà.
La pioggia riga i vetri e distorce in modo strano la luce dei lampioncini.
- Signorina, scusi. posso fare qualcosa? Non vorrei disturbarla, ma l'ho vista piangere, vuole che chiami qualcuno?-
Parla proprio con me e in qualche modo mi riscuoto per ringraziarlo e ritrovare la mia solitudine, ma lui aspetta, seduto accanto a me sulla panca.
Non so come, ma non mi infastidisce questo suo indugiare, è assurdamente facile raccontargli ciò che è accaduto. Forse sono davvero cambiata, non mi riconosco più nemmeno io.
Sa ascoltare quest'uomo e non si lascia sfuggire facili difese, non prende posizioni ovvie.
Vedo per la prima volta i suoi occhi scuri, il viso serio, i capelli un po' spettinati, una giacca di fustagno, le sue braccia conserte, mi fa pensare ad un confessore.
Glielo dico e mi ritrovo a ricambiare il sorriso scettico che gli piega la bocca. Mi sento abbastanza ridicola, parlare così ad un estraneo e sentirmi capita in modo totale.
Non so quando, ma ha ordinato da bere del grog. Non sono abituata agli alcolici, ma pare sia la specialità del locale e lo assaggio, una miscela che sa di agrumi, di ceppi nel camino, di stelle sulla neve, mi piace, scivola in gola come un balsamo.
Parliamo, ancora e ancora di cose, luoghi, ricordi e sensazioni, lui ha viaggiato così tanto e io avrei voluto farlo fin da bambina, anche se amo le mie montagne. Voglia d'avventura e concretezza si sono sempre spartite il mio cuore. Mi sembra che lui possa capire.
Dovrei tornare a casa, ma non ho voglia di discutere, di sentirmi coprire di sospetti e accuse implicite. Credo che quest'uomo lo sappia; si fermerà qui per pochi giorni per curare un contratto e mi offre una stanza nella suite che i suoi clienti gli hanno messo a disposizione.
Me lo dice con un tono tranquillo, privo di sottointesi, mi ispira fiducia e continua ad ispirarmela per tutta la cena, con ogni parola ed ogni gesto pacato.
Il cellulare squilla con una nota stridula nella mia borsa e rispondo senza pensarci, aprendo le porte all'umiliante sfuriata telefonica che mi si riversa nell'orecchio e mi gela il cuore.
Accuse dure, accuse rinnovate cui posso mettere fine solo spegnendo il telefono, senza parlare.
Non riesco a guardarlo in viso, mi pungono gli occhi, voglio solo andarmene, ma una mano ferma si posa sul mio braccio. Mi mette in mano le chiavi e trova il mio sguardo per un istante interminabile.
- Cerca di riposare, d'accordo e non pensare a niente.-
Fiducia, dare e ricevere fiducia.
Prendo le chiavi e salgo le scale ricoperte di un soffice tappeto, in mezzo a piccole cassapanche scolpite e fiori secchi. La mia montagna mi guarda da vecchi dipinti appesi lungo le pareti bianche, fino alla porta intagliata della suite.
Nevica ora ed è così bella la notte da questo balcone, riesco a vedere la sua casa alla fine del paese. E' tutto spento. Non so cosa fare, mi aggiro per la stanza che mi pare familiare ed accogliente un istante e così sconosciuta quello dopo. Non ci sono tracce dell'uomo che mi ha ascoltata per quasi tre ore. Lo sento muoversi nella camera accanto, finché scompare anche la scia di luce lungo lo stipite.
Entra nella doccia per scaldarmi e annuso le saponette fatte con il miele, mi ritrovo a giocare con la schiuma sul corpo, il movimento delle dita sulla pelle è quasi ipnotico, il vapore sale lungo il marmo chiaro delle pareti, l'acqua avvolge il corpo come pioggia, sciogliendo muscoli e tensioni. Vorrei che nulla fosse accaduto, ma non posso mentire a me stessa, così come non ho mentito sui miei desideri o sulla mia fedeltà a quello che è stato il mio uomo.
Il gelo che ho visto nei suoi occhi e che udito nella sua voce ritorna e a nulla vale il pensiero dei momenti belli. Anche lui mi è apparso estraneo, come non sapevo potesse essere quando immaginavo di trovarmi con lui e di giocare con passione rinnovata.
I ricordi scorrono con l'acqua e con la schiuma ed è difficile fermare le sensazioni quando invadono il corpo e la mente insieme.
Non mi accorgo del tempo che passa, di una porta aperta, di occhi che mi sorprendono nella mia torre di vetro e marmo. Mi abbandono al mio essere per ritrovare me stessa a dispetto di tutto. Il mio piacere e il mio dolore si mescolano, confondendo le sensazioni fisiche sulla punta delle dita con le emozioni nel mio cuore.
Esco dal bagno e mi asciugo in fretta, le braci nel caminetto dardeggiano come stelle rosse e mi mostrano la strada per il letto. Nuda e più calma, m'infilo sotto il piumino e seguo il filo degli ultimi pensieri. Non ho nulla da rimproverarmi, se non il fatto di non aver capito prima la differenza tra l'amore ed il senso di possesso. Il gelo non sarebbe mai arrivato se ci fossimo scaldati insieme allo stesso fuoco.
Mi chiedo cosa ho fatto per farlo dubitare così... se mi vedesse ora... se sapesse che sono qui, in un albergo, a pochi metri da un vero sconosciuto, che mi sto chiedendo come dorme, come sarebbe stato se lui non fosse stato tanto disinteressato con me.
M'aggrappo al cuscino come ad un'ancora, sono pensieri strani, che s'insinuano aiutati dal grog, dalla stanchezza, dalle sensazioni che mi tremano ancora dentro.
Penso al suo corpo magro, alle sue mani, ai suoi occhi, alla comprensione ed alla vicinanza che mi hanno fatto sentire e sento ribollire in me un senso di ribellione per ciò che è accaduto, aldilà del mio volere, contro ogni evidenza, contro ogni sentimento.
Dovrei essere diffidente, ma gelo per gelo, sconosciuto per sconosciuto, voglio rivendicare la mia libertà di donna, compiendo l'unica scelta di questa giornata d'inverno.
Non voglio niente altro, mi ripeto, mentre mi alzo dal letto e cammino silenziosamente verso la porta di comunicazione.
La mia mano si abbassa lentamente sul pomolo, senza riuscire a toccarlo; un senso di calore mi avvolge la schiena e senza girarmi so che lui è dietro di me, immobile.
Vorrei che parlasse, che mi sostenesse in questa sfida, ma so che non lo farà. Lascia a me la scelta finale. Potrei voltarmi, ma la meta è questa porta che devo varcare per prima.
Il pomolo gira, sento il suo respiro farsi più profondo mentre mi segue nella sua stanza.
Mi volto e lo guardo alla luce fioca del camino, ha solo i pantaloni del pigiama e il suo torso nudo mi sta davanti come un porto; non mi ero accorta fosse così alto.
Si muove verso di me e chiudo gli occhi, combattuta, in attesa.
Quasi sobbalzo quando mi tocca, ma è solo per avvolgermi nella sua vestaglia, coprendo la mia nudità, i miei capelli che iniziano ad asciugarsi.
- Ti desidero, ma non voglio che tu ti senta obbligata.-
Ha la voce tesa. Non vuol ferirmi dopo avermi consolata, è ovvio. Non mi ha neppure stretta...
- Apprezzo la tua delicatezza.-
Le parole non hanno ancora lasciato la mia bocca che lui mi afferra quasi con rabbia e mi scuote.
- Non sto mentendo, non voglio approfittare di te, ma decidi in fretta. A me la tua doccia non ha fatto bene, sai?-
Mi stringe ora, contro un corpo più eccitato del mio. E' così irreale questa fantasia che prende vita contro la mia pelle, accesa dalla consapevolezza della sua voglia, del suo dito che scivola lungo le mie spalle inseguendo una goccia d'acqua, per fermarsi appena sopra il mio seno.
Il fiato mi esce strozzato in un sì e mi sento sollevare contro il suo petto mentre mi bacia con lentezza, concentrandosi sulla mia bocca come un'ape farebbe su un fiore.
Si ferma e a me manca l'aria, così gli cerco le labbra, incredula; lascio che la mia lingua trovi la sua. Restiamo così a baciarci per un tempo senza minuti, finché la vestaglia cade dalle mie spalle e la sua bocca disegna sentieri impensabili lungo tutto il mio corpo, le sue mani che mi trattengono contro l'anta dell'armadio, le mie dita che arruffano i suoi capelli.
Non riesco a pensare, non voglio pensare e lui lo sa.
Sento le sue dita che sfiorano la pelle più tenera delle cosce, risalendo piano verso quella più nascosta e ribelle, giocandoci finché gli umori più ardenti del mio corpo non scorrono sul suo palmo. Non riesco a trattenere un gemito quando mi si preme contro, schiudendomi con la pressione dura del suo desiderio, un istante prima di sollevarmi. Le mie gambe lo avvolgono intorno ai fianchi, la mia schiena s'inarca per sentire affondare la sua durezza, le mie mani intrecciate dietro la sua nuca, le mie labbra socchiuse contro le sue.
Mormora cose che mai ho pensato di udire da uno sconosciuto che intuisce ogni mia scoperta mentre me la fa compiere. Me la racconta all'orecchio, colmandomi i sensi, mentre si immobilizza, sdraiato sul letto senza aver lasciato il mio corpo.
Mi sollevo e mi calo su di lui, cercando di vedere oltre le sue palpebre chiuse, accarezzando il petto che lascia uscire respiri trattenuti, sfiorando le sue labbra con le mie.
Il calore che sale dai nostri corpi uniti esplode di colpo, cogliendomi di sorpresa, privandomi di ogni forza; il mio amante mi rovescia sul piumino, per andare ad adorare con la bocca il centro del mio piacere finché devo mordermi una mano per non urlare e con l'altra cerco il suo corpo ancora teso perché voglio scaldarlo come lui ha scaldato me.
Non ho mai fatto questo prima, non sapevo nemmeno di desiderarlo tanto, ma è così e quando le geometrie dei nostri corpi si annullano in una sola, guardo la neve sul davanzale.
Domattina sarà ghiaccio, ma non importa. Resto tra le braccia di questo sconosciuto che mi ha mostrato chi sono e, prima di addormentarmi con lui, so che il gelo è scomparso nel camino.
Madkitten