La notte è tornata, più forte di prima.
Una cascata metallica lacera i miei sogni, si placa in singulti fiochi, mentre il risveglio comincia a rincorrersi nella stanza piena d'echi sordi.
Sono le due del mattino.
Le stelle ammiccano compatte dove il muggito lucido della notte domina ancora il silenzio.
La marea d'ombra gonfia lentamente sulla pianura, s'infiltra nei valloni e sommerge uno dopo l'altro i contrafforti dei vecchi edifici dimenticati.
Regna l'oscuro, uno di quei mutismi terrestri nei quali ancora bisbiglia la vita, come qualcosa di totale e inflessibile.
Senza incrinature, senza peso, senza speranza, compiuto da sé.
Un oblio etereo, precedente al mio primo giorno, per fare urlare a brandelli l'angoscia.
L'architettura di una vita, dove spazio ed epoca non sono altro che parole beffarde svanite nell'implacabile nulla.
Così per un tempo incommensurabile, rimango immersa nell'integrale e puro silenzio, un inconcepibile parossismo di mortale immobilità.
Un nugolo di frammenti si getta nella profondità dei ricordi, travagliati da rombi furiosi che si spengono nel mio sincrono respiro.
Di nuovo, un soffio invisibile percorre lo spazio con vibrazioni d'onde sempre più ravvicinate, sempre più ardite.
La reale corrente di un legame tumido, come lievito di pasta amorfa.
Cera duttile, non modellata.
Di nuovo, la notte.
Greggi di stelle fuggono dinnanzi al lento schiarire della mia ellisse.
Lo sbocciare di disaccordi che di volta in volta appassiscono per rifiorire, le ondulazioni marine, le arpe di luce infinitamente alte, che dondolano nelle voragini azzurre.
Per un solo istante, fragile e misterioso, rileggo l'appello dei tuoi occhi.
Nella profondità dei globi scivolano brillanti uncini d'oro.
Tra noi si snodano confusi ammaraggi: siamo simili a pesci meravigliosi che si tuffano nel vuoto, rapido e glaciale, aguzzando il filo delle alte creste e staccando al volo lampi vetrificati che precipitano nel dirupo, tintinnando.
Le porpore delicate della metamorfosi colorano i nostri animi.
Nubi d'inchiostro si aprono a ventaglio, clamori di lupanare, il vento ubriaco schiocca la frusta.
Uno due, tre, mille tracce di un ghirigoro fantastico sulla pelliccia d'ombra.
Poi, di colpo, una macchia indecisa sul cuore.
Di nuovo, la notte.
Tutto è miraggio, menzogna, illusione?
La nostra indole che s'invola negli aridi deserti scarnificati e non riflette più le sfumature effimere della coscienza.
La cerchia delle grandi emozioni gira a branco intorno alla fragile carovana dei nostri geni amichevoli.
Quaggiù i demoni tacciono, si sono aggirati in bande crudeli, sghignazzando ad ogni nostro sussulto e gesto liberatorio.
Una delle debolezze è il terrore spalmato attraverso il labirinto delle incomprensioni, quei colatoi sonori che accendono le pareti riarse del desiderio disatteso.
Non ci siamo legati per l'essenza, ma solo per pura apparenza.
Appollaiati a novanta gradi d'inclinazione e guardare sotto, sulla nicchia del cuore.
Massa fluida, insapore.
Di nuovo, la notte.
Gli occhi percorrono senza ostacoli il paesaggio, si legano ad intimi particolari, superano gli abissi e volano in alto, lassù, liberati dalle contingenze.
Dimenticare corpo e pensieri in contemplazione di una bellezza angelicale.
L'alba ha l'incedere di un'aria cantante, fluida e alleggerita da effluvi dinamici.
Soffia dalle grandi alture roride di rugiada, dai torrenti audaci, dalle rocce lavate dai venti notturni, dai mari pieni di saggezza e da tutte le cose semplici che a testa alta, con orgoglio, seguono il loro destino.
Una brezza leggera mi accarezza il viso, l'universo si frammenta all'infinito e risveglia l'interesse per mille particolari nuovi e inattesi.
Oggi tornerò a barattare la luce con l'asfalto, i cieli alati con il fango delle strade, il puro cristallo del silenzio con la confusione incoerente della città e mi riempirò le tasche di monete false d'abitudini ed opinioni da reinventare.
Ma tornerà di nuovo, la notte.
Per cavalcare ancora, senza sgomento, sulla cuspide del mio nuovo sospiro.
Rossogeranio