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Racconto n° 2636
Autore: Rossogeranio Altri racconti di Rossogeranio
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La Fata ignorante
Tremo a volte, e mi pare di essere riparata da una casa costruita con le carte da gioco.
In fondo è sempre così, le femmine sane e robuste sono contro natura, le vere creature angeliche si presentano deboli, fragili, indifese, disarmate, quasi ammalate.
Io chiaramente sono una di queste.

Alla fine decido: devo andare.
Non posso continuare in questo modo: non so vivere senza fiamme, senza scintille.
Alla scipitezza preferisco il digiuno, anche se so, che di anoressia nervosa alla fine, si muore.

Lampi, scrosci, un cielo nero, tizzo e malvagio, il temporale che si scatena sul raccordo provinciale non mi spaventa. È la stizza che mi lima: l'inquietudine sorda, macerante, i pensieri rodenti, le
decine di sigarette e tutto il resto...
Oramai sono pelle e ossa e quello che mi vuole sposare.
Oddio, accasarmi! Una situazione così concreta e definitiva: matrimonio, documenti, decisioni in comune, traslochi.
- Finché morte non ci separi - : frase subdola che unisce l'istante e confonde tutto il resto.
Poi solo dopo un anno di frequentazione, dove io ho capito tutto di lui e lui niente di me.

Mi sento sbalzata dalla fiaba, mentre voglio sognare ancora, a lungo: percorrere chilometri di rughe, oceani d'incognite, continenti di paesaggi infuocati e varcare tutti i confini che mi sono stati ancora preclusi.
Ma cosa vuole da me adesso? Una Fata ignorante che sgambetta per casa e nel suo letto, da circuire e istruire, così in un passivo e come dice lui, - Elegante stato di Conoscenza - .
Un peso inverosimile per le mie spalle magre.
Sono agitata e furiosa, mentre procedo tetra sotto il diluvio. Il mio umore peggiora a vista d'occhio.
Urbino non è lontana, è stupido allarmarsi proprio adesso, non devo che procedere imperterrita, sono pochi i chilometri che mi separano dalla libertà.
Lo dirò tutto d'un fiato, ho già imbastito il discorso:
- Ti sgancio professore. Mi hai stordito con due poesie, ma è stato un lampo.
Non sai forse, che gli incanti durano poco, da svegli? - .
Proprio mentre infilo questi acidi pensieri, un'auto sportiva imbocca lanciata la mia corsia, è di colore rosso, è l'ultima cosa che ricordo...


Non posso vedere proprio nulla: c'è una tenda di seta bianca che cade dal soffitto fino a lambire il mio corpo e poi prosegue, lì al pavimento.
Di cosciente ho solo il desiderio di risvegliare le mie carni sotto il velo, l'ombra della mia scollatura inerte, le braccia inguantate da tentacoli trasparenti e freddi.
Sono lì mezza nuda, un manichino concentrato su se stesso, piena della promessa che qualcosa è accaduto.
Ed ecco le presenze, l'odore forte e penetrante di maschi in attesa, ansimanti e dalla pelle scoperta, nudi. Sono lì a servirmi; lavorano come schiavi su una galea, senza luci eleganti nè musica di sottofondo. Si sente solo lo scroccare della frusta, mentre la presunta sorvegliante cammina su e giù a grandi passi per assicurarsi che gli addetti non perdano il colpo.
Gli operatori che si occupano di me sono virili e potenti, e lavorano in un loro modo duro e personale; non possono nemmeno vedermi, sono coperta dal telo, per loro rimango solo una fica, una fenditura da operare.
Per quel che ne so possono essere scemi e questo non aumenta nè diminuisce il mio piacere che avanza. È una sensazione frizzante: questo è il loro lavoro, il loro impiego, e sono lì in
questo servizio offerto nel laboratorio asettico, come adeguati educatori sanitari.
Uno si accovaccia tra le mie gambe con una straordinaria esperienza e mi soffia aria calda sulla vulva per farmi rinvenire. L'altro con le mani unte di crema balsamica mi strofina il collo, scendendo alle spalle, al petto, a rinvigorire tutti i pori.
Questo è il momento più eccitante: sono lì, sdraiata, aperta e non vedo quando mi si avvicina con la punta della lingua bagnata, non so fino a che punto è vicino e all'improvviso mi colpisce.
Immagino che i loro uccelli pendano piccoli come un pollice tra le gambe, mentre loro continuano a mordicchiarmi il collo; deve funzionare così, normalmente non se ne cavano niente per loro.
L'altro prediletto mi manovra gli incavi delle cosce facendo scivolare le dita lungo il compendio dalla vagina, e ficcandoci un fallo enorme, poroso, caldo, accelerato in liquefazione come cera incandescente.
All'improvviso il mio ventre inizia a comunicare poderoso anche con le altre fauci, forse avverte i battiti e quando io mi espando, mi apro in stato di forte conoscenza.
Ad un tratto la megera sorvegliante si accorge che gli operatori sono in ritardo con il lavoro e mi stanno dedicando troppo tempo.
Gli infierisce colpi di frusta, ma loro non si voltano nemmeno, continuano la loro corsa ed io la mia, nei corpi oramai liquefatti.
I miei prediletti stanno gemendo, pigiati alla mia passera e si sbattono gli uccelli, diventati enormi con la loro stessa mano, per arrivare al culmine insieme.
La vigilante gli infligge un altro colpo di verga, ma loro non sentono altro che la nostra gloria oramai in prossimità di traguardo.
Allora, furibonda, li afferra al collo con lo scudiscio e il mio cuore comincia a battere in maniera scoordinata.
Una specie di campanello d'allarme mi suona dentro il grembo, ma non voglio ascoltarlo.
Il monitor lampeggia e le sonde fischiano alle maglie delle mie braccia, sento come se avessi aperto la mia capsula del tempo. Spalanco gli occhi.
Sono tornata indietro, ancora una volta, sconvolta, affastellata e nemmeno a dirlo, bagnata.

...Ad Urbino ci arrivo il mese dopo, senza sigarette in tasca e fortunatamente ben tonificata.
Al mio ingresso trionfante all'ateneo, in tacchi a spillo, una ciurma di studiosi obbedienti si chinano al mio passaggio ed infondo c'è lui, alla presidenza.
Il mio sorriso a denti di sega non confessa niente.
Raccolgo i miei disordini, appiccico la gomma sotto qualcosa e me ne vado.

E' stato il finale più Rosa che potevo.

...Naturalmente adesso non mi deprimo troppo...
Ignorante lo accetto, zitella pure.
Ma rimango pur sempre una Fata!
Volete mettere?

Rossogeranio

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