Sono una donna dal libero pensiero, pro democrazia, pro altre razze, pro altre estrazioni sociali, pro istruzioni non propriamente scolastiche. Pro a tutto ciò che è altro, laddove altro rimane sinonimo di essere umano e quindi di identico a me.
Ma vivo in un mondo occidental-globalizzato, dove ciò che conta non è essere, ma apparire.
La mia cerchia di amici è costituita da classici prototipi standardizzati, maniaci di un perfezionismo tutto loro.
Nessuno ci crede più, ma abbandonare i vecchi cliché richiede, per molti, uno sforzo inaccettabile. In fondo è più semplice giudicare le persone per come si vestono e da quale famiglia provengono. Se sei figlia della cassa integrazione, beh è necessario che ti rimbocchi le maniche per poterti intrufolare fra la gente - giusta - . Ben inteso, rimani sempre quella che eri, ma hai il diritto di lanciare sorrisi a tutti e il piacere di essere contraccambiata.
L'ipocrisia ci ha rinchiusi in una gabbia e le chiavi sono state gettate da tempo nel tanto agognato dimenticatoio. Il burattinaio delle nostre esistenze è diventato il sudiciume morale e noi seguitiamo nel rimpolpare la feccia imbellettata.
In una simile concezione di vita, il reietto rimane l'essere umano che si fa un culo quadro otto ore al giorno per sbarcare il lunario. In sostanza il comune mortale, la persona normale.
Per i miei amici le cose non stanno così. Fingere di studiare, procrastinando la data della laurea oltre il terzo decennio di vita e grattarsi la pancia il resto della giornata è la vera e unica filosofia di vita. Ad anestetizzare la noia ci pensano le carte di credito per lo shopping, i pass per le feste più cool, le partite di tennis e il golf.
Con un giro così, il racconto della tua serata col Bronzo di Riace della catena di montaggio in un motel, beh credo proprio sia d'uopo ometterlo.
Il Bronzo ed io ci siamo conosciuti al mare.
Premessa: non sopporto gli uomini troppo avvenenti e soprattutto quelli che hanno la stolta certezza di esserlo. Sono fermamente convinta che l'uomo sia incapace di gestire la bellezza. La donna è in grado di utilizzarla furbamente come strumento di seduzione e ricatto, l'uomo ne diventa vittima, annegando come Narciso nella sua idolatria e diventando una broda di ridicolezza.
La donna è Venere, l'uomo è Marte.
Ma le vacanze, il relax, la distanza geografica dalla propria città, il distacco sociale dall'etichetta, fan sì che il libero arbitrio che è dentro di noi possa ruggire violento la sua collera, sopita ormai da tempo e lui, montagna di muscoli abbronzati scolpiti nel marmo, cranio rasato, sguardo penetrante alla Yul Brynner, significava l'evasione dai luoghi comuni che puntualmente e perentoriamente scandiscono le mie giornate, le mie ore, i miei minuti di ogni anno.
Sotto un sole violento e una canicola severa, lucida di olio abbronzante e con un costumino minimalista bianco trasparente dai bordini ricoperti di paillettes, che faceva tanto Regina del Celebrità degli 883, ammicco spudorata alla mia nuova preda.
E il Bronzo risponde.
Dopotutto per il genere umano le cose funzionano come nel mondo animale. La femmina riempie l'aria dei suoi odori pregni d'urgenza e il maschio ne asseconda le esigenze.
Per i sentimenti non è tutto così immediato, ma se parliamo schiettamente di accoppiamento, le mosse sono limitate e lo scacco matto è vittoria sicura.
Voglio convenevoli spicci, lapidari. Voglio sesso, non corteggiamenti. Voglio il tuo corpo così diverso dai segaligni che mi hanno posseduta finora. Voglio essere schiacciata contro la tua tartaruga addominale. Voglio che le mie ossa si frantumino nella morsa bellica dei tuoi deltoidi.
Voglio e pretendo.
Pretendo e ottengo.
Appuntamento al motel.
Seconda premessa: io detesto i motel, puzzano di piscio e di sesso da sfigati, ma il Bronzo li adora e lo assecondo. In fondo chi se ne frega, chi lo rivedrà mai più, chi saprà mai del nostro incontro. E poi anche il luogo rappresenta una novità. Questa serata è la mia novità, è la mia rivincita sullo standard.
Lui si è già curato di tutto, dei documenti, della camera e di tutte le stronzate burocratiche che a me non devono competere. Mi addentro nell'edificio che mi ricorda tanto un alberghetto di Francoforte. Mi sento avviluppata dall'inconsistenza di un déjà vu e mi tranquillizzo, se non fosse per una rincoglionita donna delle pulizie che rovescia ad un centimetro di distanza dai miei stivali nuovi chili di immondizia. Scavalco, noncurante delle scuse della donna e già potenzialmente furibonda.
237, 237, 237 ripeto sottovoce. È il numero della stanza. È il numero della caverna di un orso sconosciuto. È il numero di una scopata furiosa.
Spalanco la porta, sono un fremito bollente. Il Bronzo è sdraiato sul letto. Indossa tutto ciò che il mio uomo ideale non dovrebbe mai indossare e per questo lo bramo ancora di più. Jeans attillati, alias - baby sposta il tuo sguardo sul mio pacco - e magliettina aderente verde militare.
Mi sorride e a me scoppia da ridere, ma mi contengo. Ha esageratamente assottigliato e imbiondito le sopracciglia, si è spalmato un olio del cazzo sull'epidermide che fa brillare il cranio ed è quasi misticamente in grado di riflettere le luci al neon della stanza. È ridicolo, ma così alieno dal mio mondo che sento di voler essere sua, per questa sera, solo per questa sera, ma sua.
Mi guardo attorno: specchi ovunque. Sul soffitto, sulle pareti laterali e su quella frontale al letto e persino sulle ante degli armadi. Questo è il castello degli specchi e vacillo pensando alla mia cellulite riflessa, ma so, per certo, che gli uomini la notano molto meno di noi donne e delle nostre dolcissime amiche.
All'improvviso un dubbio assale il mio cervello: il Bronzo è il fautore per eccellenza del corpo e la sua Edoné nasce proprio dalla visione di un fisico scolpito ad arte, ma io sono la Signora Maternità. I miei fianchi sono generosi, soprattutto da quando la compagna Anoressia ha mollato gli ormeggi nel mare della mia esistenza per dragarne di nuovi.
Ma poi mi risveglio dall'incanto e mi insulto da sola. Ho studiato un'eternità per nutrire la mia materia grigia e adesso mi preoccupo dei pensieri di uno che imballa cartoni dalla mattina alla sera e va in palestra sfogando il suo stress con bilancieri e parallelini?
Assolutamente no! Io sono meravigliosa dentro e per tanti anche fuori. Non sarà la sua mania estetica a far crollare le mie certezze raggiunte a fatica con sedute di psicoterapia e centoni d'euro che prendevano il volo dal mio portafoglio.
Lo guardo dritto negli occhi. Lo penetro con uno sguardo inquisitore. Sento il tanga incollarsi all'imbocco della mia vagina. Sono troppo eccitata e avverto il mio sesso contrarsi di libido e risucchiare il mio intimo color glicine.
Lo voglio animale come Marlon Brando, per ballare il mio ultimo tango... al motel.
Lo voglio e basta!
Abbandono le mie schiavitù cogitanti e mi avvicino a lui. Non fa una mossa. Penso per soggezione o almeno spero. Se fosse per non contagiarsi con l'imperfezione del mio corpo sarebbe veramente ridicolo. Non proferisce parola e continua a sorridere. Mi domando: - ma che cazzo avrà da sorridere ‘sto scemo? -
Inizio a baciargli il collo. Nulla. Li mordicchio le labbra. Stato comatoso. Mi chiedo se sia svenuto. Poi penso: - sarà uno del tutto e subito! - Coccole bandite.
Passiamo al sesso orale. Cazzo a quello non potrà resistermi. Nella mia vita ho conosciuto solo un uomo che non se lo faceva succhiare, non sarà capitato l'unico secondo sulla terra ancora a me!
Scendo sinuosa e screziata come una gatta lungo il suo corpo, sbottono i jeans, li calo leggermente e incomincio a baciare l'intera superficie che circonda il triangolo dello slip. Nessuna reazione, mutismo e ancor peggio, nessun accenno di erezione.
Basta! Al sodo e con violenza. Calo gli slip e trovo un pene minuscolo, retrattile, bavoso, che fa quasi tenerezza, come intirizzito, ma - don't worry baby, ci penso io! -
Allargo la mia bocca, notoriamente gigante, e stantuffo su e giù, succhio, lappo, lecco, bacio, ma niente! Nella mia bocca c'è un affarino molliccio che sputa una sorta di gelatina collosa. Ho un conato di vomito e lo respingo.
Mi alzo e non dico nulla, non ho voglia di consolare un tale che neppure conosco.
Mi ha voluta raggiungere lui nella mia città, mi ha catapultata lui in un motel, chi diavolo se ne frega della sua ansia da prestazione?
Prendo la mia borsetta, faccio per andarmene e il silenzio della stanza viene finalmente rotto, ma non da me e neppure da lui, bensì da una troia che sta urlando al mondo tutta la sua gioia orgasmica al di là della parete. La invidio, sì, tremendamente, ma poi mi domando se sia come me e come il novanta per cento delle donne che frequento: una simulatrice. Allora non la invidio più.
Saluto il Bronzo di Riace, diventato ormai Mastro Lindo, col cenno della mano. Anche in questo caso assenza di risposta.
Esco da quel cazzo di motel, questa volta mi tocca scavalcare i secchi dell'impedita donna delle pulizie e mi fumo la salute accendendomi una Marlboro. Salto in macchina e sento la vibrazione del cellulare dimenarsi nel posacenere:
-Pronto?-
-Demente dove sei?- È la mia migliore amica.
-A casa.-
-E come mai non rispondevi al cellulare?- L'avevo dimenticato in macchina.
-Ero sotto la doccia.- Invento la prima palla che mi viene in mente.
-Vestiti in fretta e furia. Sono al Sushi Bar e qui c'è solo grasso che cola!- Ovvero uomini - giusti - .
-Arrivo!-
-Sì ma fai in fretta, il Buba freme per conoscerti!- Il Buba è il nostro nome in codice per un rampollo di primario da fantasmilioni di euro.
-Sono subito da te!-
Mi fingo entusiasta e ritorno ad arrancare verso il successo.
ElisaN