Il letto è in ferro battuto. Al centro della testata c'è un rosone dipinto, vi è rappresentato - il rapimento di Psiche - . Il copriletto è di raso rosa, con le balze che sfiorano il pavimento.
Lei è stesa sul letto, nuda. La pelle è opalescente, i lunghi capelli scomposti le incorniciano il viso, le guance sono soffuse da un lieve rossore, negli occhi un fuoco di lussuria che si stempera nell'inquietudine. Nastri di seta legati ai polsi e alle caviglie, nodi resistenti che la imprigionano agli angoli del letto, lasciandola aperta e indifesa. Sul suo corpo brilla una scia di una sostanza ambrata. Parte dalle labbra, scende a circondare i seni, una linea diritta prosegue sul suo ventre, indugia nell'ombelico, giunge sul pube completamente rasato e prosegue sulle cosce, sulle ginocchia fino alle caviglie. Miele. Cento candele illuminano la stanza, creando zone di luce e altre d'ombra, la musica soffusa fa da sottofondo al battito impazzito del suo cuore.
Lei è una donna indomita, l'orgoglio è il suo credo, mai ha permesso a nessuno di sottometterla, di domarla, di usarla. Anche nel letto ha sempre condotto il gioco, è lei che cavalca selvaggia sul suo uomo, è lei che lo fa impazzire con le mani, con le labbra, con la lingua, fino a portarlo all'irrazionale parossismo dei sensi.
Lui è nell'ombra. Silenzioso l'ammira. Vede i fremiti del suo corpo, il seno muoversi al suo respiro affrettato, i capezzoli turgidi, irrigiditi dall'eccitazione dell'attesa.
Sono amanti da un mese, un rapporto appagante, una complicità sessuale e cerebrale particolare e un sentimento che sta nascendo non ancora ben definito.
- Se hai ragione tu, pagherò pegno. - Una scommessa su una cosa futile, una battuta di lei senza pensarci.
- Mantieni la promessa ora, voglio amarti come voglio io, una notte in cui tu mi lasci condurre il gioco, schiava sottomessa al mio volere. – Non si è piegata subito, ha discusso, alzato la voce, ma alla fine lui ha vinto; troppo orgogliosa per non mantenere la parola.
E' una sfida, vuole farle provare l'emozione di essere per una volta la preda, il cavallo e non il cavaliere, vuole farla impazzire di piacere fino alla follia inebriante dei sensi.
L'ampolla contenente il miele si è scaldata sulla fiamma della candela. Lentamente lui le ha fatto colare il fluido tiepido e viscoso sulla pelle, godendo alla vista dei piccoli fremiti provocati. Il seno ha risposto al contatto, si è innalzato come per congiungersi alla dolce cascata, i capezzoli da rosa sono diventati scuri e duri, il ventre ha tremato, il suo fiore si è dischiuso per inghiottirlo.
Si è spogliato ed è rimasto a lungo a contemplarla, a vedere la sua impazienza aumentare.
Non ha risposto alle sue domande, non l'ha raggiunta subito, ha lasciato che si sentisse sola, completamente in suo potere. Infine si è accostato al letto, con un dito ha spalmato il miele sulla sue labbra, ha forzato la sua bocca e si è immerso alla ricerca della sua lingua. Il morso lo ha colto di sorpresa, ha ritirato il dito e chinatosi le ha morsicato un capezzolo. Non troppo forte, solo quel tanto da strapparle un gemito di dolore e di rabbia. Poi l'ha baciata a lungo, con veemenza, mangiandole le labbra e asportando con la lingua tutto il miele. Si è alzato per guardarla, le labbra tumide e leggermente aperte, il respiro veloce e negli occhi ancora quella luce di sfida beffarda. E' bellissima: lo sguardo da guerriera, i verdi occhi che lo fulminano mentre dalle sue raffinate labbra escono oscenità contro di lui. Non è facile trattenersi, l'istinto è quello di prenderla subito, ma resiste e prosegue tenace nella lenta conquista della sua resa. Con le dita segue la scia di miele, lo spalma sui suoi seni, scende sul ventre fino a intingere le dita nel suo caldo nido. Indugia a lungo nel suo calore, le sue dita giocano dentro di lei strappandole gemiti di piacere. Ripete il percorso con le labbra, non tralascia un centimetro di pelle, la assapora con goloso trasporto scendendo con estenuante indolenza fino a giungere al suo sesso bollente, immergervi la lingua e succhiare il suo nettare fino a quando non la sente urlare. Un grido di rabbia e di gioia, un epiteto contro di lui – bastardo - urlato con violenza, ma che a lui suona come il migliore dei complimenti mentre la vede tremare, mentre lo prega di prenderla, cercando di liberare le braccia contorcendosi selvatica, ed infine lasciandosi andare all'orgasmo con gli occhi chiusi e il corpo percorso da brividi violenti.
Si alza e rimane ad osservare ammaliato le perle di rugiada che scendono fra le sue cosce. Il suo membro è ora duro come il marmo. Non può aspettare ancora. Le si stende sopra, si strofina sul suo corpo, le mani scendono sotto a sollevarle i glutei , con la bocca beve i suoi sospiri e con una spinta decisa e spietata s'immerge in lei. Sempre più in profondità, sempre più veloce, sempre più selvaggio fino a possedere non solo il suo corpo, ma tutta la sua essenza. Lei muove i fianchi rapita, segue il suo ritmo, urla il suo nome, la sua sottomissione: – Amami come vuoi, sono tua. –
Le parole le escono con un gemito rauco mentre assieme raggiungono l'estasi, quando finalmente lui gode e la inonda col suo sperma. E lei lo assorbe ingorda nel vortice impazzito fra le sue gambe.
Matilde S.