Il tuo nome ed il mio sono un innesto sradicato.
Siamo nati senza lasciare traccia e ci inoltriamo, giorno dopo giorno, in un moto intrinseco di aridi contenuti.
Io scrivo e ripeto un allontanamento vuoto e incandescente, complice la mia gran tentazione a punire ed annientare.
Tu taci, nel totale disarmo di coraggio e delle emozioni.
Lo testimoniamo i tuoi brividi di paura e la vertigine dei silenzi.
Stai zitto, perché la sincerità d'animo non è abbastanza clemente e fervida con te.
Riuscirai ad aprire bocca solo quando il non detto arriverà a scolpirti il cuore e farne lacerati brandelli.
Ciarliero del Foro, hai generato la sterile mutezza che umilia ogni distanza.
Questo nostro essere che ci separa dall'integrità di un incantamento fuori del tempo.
Poiché sai che per indole tendo all'inaudito, considero tutte le mie peripezie come una catena di eventi e vocaboli che, adesso, non riescono piu' ad associarsi.
Per progredire dovrò separarmi al più presto e lasciarti nella morsa del deserto anonimo dell'insoddisfazione.
Continuerai ad indietreggiare senza sosta, mentre il mio corpo se ne andrà altrove, in qualsiasi posto, ma sicuramente distante da te.
Come spiegarti senza nessuna condizione?
Abbiamo viaggiato freneticamente per le città, con il cuore sempre piu' precipitoso e le parole nascoste nei bigliettini di carta.
Ho la tracolla piena di questi tasselli che, tra una lacerazione e l'altra, sono saturi nei miei sconfinati stralci di scrittura.
Non c'e' piu' un Dio che ti abbellisce, in questa invisibilità impura che ti sei scelto.
Oramai ogni incontro è solo un processo di partenti.
A pensarci adesso, il nostro chiasmo ha sempre ignorato ogni possibile ribaltamento. Ci siamo riconosciuti subito sotto la spinta di un oscuro piacere e dovevamo solo portare l'incontro al centro della seduzione.
Ricordi quella mostra di pittura esplosiva e inquietante?
Il mio procedere davanti ad una sfilata di simboli e tele per poi trovarmi davanti il tuo disegno sfolgorante.
Non è stato un caso, nessuna fatalità.
In quello stesso simulacro, c'eravamo noi due, ignari nel cogliere le radici spente di un'opera frammentaria ed imprecisa.
Tutto è accaduto troppo presto o troppo tardi.
Tenevi la testa leggermente inclinata, con i capelli così lucidi e ondulati e quegli occhi così neri. Già presagio sinistro, di profonda oscurità.
La mente si era immediatamente annebbiata, la scenografia cambiata in un attimo.
Nessun quadro, né macchia di colore, solo un insieme di ramificazioni che dettavano la nostra impazienza a cercarci e prenderci ad ogni costo.
Forse quel cespuglio in stile giapponese che ci indicava con i suoi rami, là, da quella parte, dove stavamo noi.
Accesa dal tuo sguardo, ti ho parlato, anche se lei era poco distante.
Ti ho studiato a lungo in quei pochi attimi ed ora sono riconoscente al mio fervore e concordia aggredita.
Il momento è stato straordinario: ignorando totalmente la mostra e la gente, la nostra fuga all'esterno, risucchiati dalla spirale che girava, ruotava intorno al desiderabile.
Un simile vortice estenua soltanto chi non osa penetrare la grandezza del rischio, la maestosità dei sensi: quella devastazione lenta, rodente, che lima tutti i legami con la vita nuda e immediata, fatalmente sempre triste e appannata.
Subito ho compreso la nostra essenza di esteti ed amarsi in questa razza è come votarsi alla sterilità di una vita costruita a guisa di un'opera d'arte.
Poi ci siamo incamminati senza guardarci, come se quell'istante fosse già finito.
Forse abbiamo finto da subito di non cogliere quell'incontro e di andare, inconsciamente, verso la reciproca sparizione.
Questo annientamento iniziale ha richiesto che ci perdessimo, in seguito, oltre il senso e la memoria.
Tu hai giustamente sofferto il tuo godimento, io sono solo riuscita a sopravvivere al silenzio ed a togliere il velo alla mia gelosia, esplosa oltre ogni limite.
Mi hai arpionato in un sentimento fuori misura che non sei mai riuscito ad esprimere oltre il corpo. E quello non basta, mai.
Non a me.
Piano, con calma, ho gettato le fondamenta per un rituale strano di allontanamento.
La tua parola è ammutolita e la tangibilità dell'irreale è dirottata in assenza assoluta di scambio e di comunicazione.
Nel tempo mi sono addomesticata ad un dominio interiore ed ho iniziato a distinguere una minima percezione di follia.
Quella stessa alterazione che trama nell'interno di uno spirito affatturato.
L'orizzonte mi ha poi suggerito una fiaba.
Ti ho stretto tra le braccia e sul ventre, e alla fine ho divorato, per ingravidarti dentro di me.
Il Potere che tu non hai, senza nessuna voce.
Questo il mio compito primario: far fronte e assegnare un nome al rotolamento asimmetrico dell'assurda spirale di questo male, del quale avrei volentieri strappato la tendenza a scompaginarmi.
Se ci pensi, ci ha unito solo un ostetrico legame, pure questioni di parti intime, le cosiddette zone basse.
La parola non detta, adesso, vale poco o nulla.
Non è più il caso di continuare, tu non sei un pericolo e nel sommo movimento che mi agita, ho finito per dare via libera ai miei nuovi miraggi sotterranei.
Ti penetro in tutti i modi e galleggio nelle cavità sconvolte e scoperte.
Io comprendo tutto, oramai vedo il fondo nitido del complesso: lingue di pietra e di ruggine.
Non è rimasto nient'altro, se non l'idra del non concepito che mi piroetta davanti, oltre l'apparenza e le ciarle delle tue arringhe.
Non voglio cancellare più niente, quando hai parlato io ho fissato il momento e circoscritto il punto.
Mi arrendo alla separazione dai contorni incerti e la mia prostrazione è felicemente mitigata.
Conflitto inevitabile, dal quale non ho più bisogno di difendermi.
Tu lo devi fare, perché ne riceverai il richiamo.
Sei leggenda in questo e dovrai inventarti nuovi termini.
Metterai in fila una procedura senza intoppi nè perplessità, in un binario preciso e reale.
Dovrai usare la lingua solo per rinfrancare la tua parte debole e l'opaca clandestinità.
La mia versione ti stupirà invece, ancor una volta.
Io so sempre come aggirare un accecamento ed un giro vizioso ed alla fine, ti consegnerò il mio messaggio.
Quella dimensione che ho ricostruito in tutte le montagne di frasi frantumate che hai seminato negli anni e nei cuori teneri e muliebri, di chi non ha compreso.
Per ultimo, perderai il dibattimento e sarai finalmente libero e alleggerito dalla tua controversia ambigua e dilaniante.
Così potrai tornare a casa, nel tuo mondo di ruggine ed in tutto quello che ti sei ampiamente guadagnato: una vita incolore, insapore e inodore.
Memoria devastata, sillabe in urto, lacerazioni e dialoghi andati a pezzi.
Non servirà mediare se mancherà una lettera, la concisione del mio conio è oramai irreversibile.
La scena non sarà muta e quando sarai chiamato, racconterai tutta la parabola di rotture che ti hanno condotto qui, in un'estasi di un gorgo senza fondo.
Scomporremo insieme la sentenza e dovrai pronunciare, come un bacio all'aria che vibra nella laringe, con soffio regolare nella frattura della voce, quel termine troppo spesso nelle aule, inafferrabile e vincibile.
Aspetto solo quella vibrazione, di cui pregusto già il battito, una parola precisa, sicura, netta: PERDONO.
Non per me.
Per tutte le altre. Per l'umana avversione a dimenticare.
Non voglio abusare oltre di altre parole; le custodirò per me, come una soave e intensa violenza a nessuno dedicata.
Fino a placare, con dolci espressioni, la mia potenza emotiva e il tuo ricordo.
Nel mio lessico scomposto, la seduzione è omografia di guerra: la passione magnanima che canta gli assenti del deserto ed i cari ignoti.
Questa forza nella mia scrittura, per esprimere, in una lettera, il circuito muto di un Amore appena nato e subito finito.
Rossogeranio