- È un gioco - mi sussurrano all'orecchio. Senza regole, con l'alcool come deterrente, con la noia come trappola, con il sesso come droga, con la trasgressione come obiettivo.
È il gioco delle compulsioni isteriche che ci lancia funamboli della vita. Stretti dal patto di sangue delle amicizie sbagliate e conniventi, la letalità ubriaca, le nostre vene fino a saturazione.
Stemperiamo la razionalità umana e solletichiamo le fiamme dell'Inferno. Serrati nella morsa complice del branco, inchiodiamo al muro le intime irrequietudini.
Dannati, brancoliamo nell'ultraterreno con l'anima sezionata in innumerevoli gironi. Peccatori d'insania fluttuiamo fra gli infedeli, i lussuriosi, gli iracondi, i sodomiti, gli omicidi, i suicidi, gli ipocriti. Capitoliamo tra Caina, Antenora, Tolomea e Giudecca, sprofondando nella Burella, perché Lucifero ci accolga, figli sciagurati, fra le sue braccia.
Le speranze le abbiamo già abbandonate all'entrata.
Le corde che bloccano polsi e caviglie, mi frizionano la pelle. Sono prigioniera di un letto e di tre uomini. La mia bocca è stata occlusa al lamento con del nastro adesivo. Non mi ribello all'unica regola del gioco: io vittima espiatoria, io agnello sacrificale per la redenzione dal peccato.
Mi è data facoltà di respirare e saggio la rarefazione dell'aria con nari avvezze a fiata selvatica.
Mi è data facoltà di ascoltare e vibro dell'esaltazione gaudente che mi impazza attorno.
La macchina da presa indugia con un primo piano sui miei occhi, ripresa obbligata del soldato morente nelle pellicole di guerra degli anni Trenta. Vedo filmata la mia dipartita. E sono condannata ad imperituro sonno.
I tre dannati traboccano di un'allegria fatale, rosseggiando di sordido ardore. Ombre allampano nelle mie pupille dilatate, mentre carne umana sconosciuta si fa spazio nella mia.
Peni turgidi giocano col tourbillon dei miei sensi. Li avverto litigiosi nella conquista del mio desiderio.
Uno si erge indemoniato nello sfrigolamento amanuense del suo padrone. Riecheggia, nella stanza ingravidata dalla perversione, un orgasmo sadico che fiotta cellule peccatrici sul mio corpo.
Il secondo pene mi tormenta, come scudiscio, i seni inzaccherati dal compagno di bagordi.
Il terzo divora famelico l'alito che ancora rinfrancava la mia vagina.
Scotimento indefesso e irrefrenabile piaga il mio corpo immobilizzato. Le corde allentano la presa, ma avverto un dolore invasivo scorrermi nel plasma e una costrizione caparbia anchilosarmi la muscolatura: la liberazione mi è interdetta.
I tre peccatori si alternano nella penetrazione del mio sesso, come giovinetti impetuosi di cavalcare il ludo della giostra paesana.
Posseduti ridono, gridano, esultano.
Chiudo gli occhi e li riconosco ugualmente, dalla presa, dalle dimensioni, dall'odore.
Le speranze le avevo già abbandonate all'entrata.
Cera rossa arroventata si fa rivolo sanguigno e cola dalle pieghe dei miei seni fino alle grinze del mio ventre, ristagnando indolente nell'impercettibile pozza ombelicale.
La vittima sacrificale è stata immolata.
Ciascuno si è piegato alle volontà diaboliche.
Il gioco era regolato dal Lucifero che latita nelle nostre solinghe esistenze.
Scivola veloce questo treno, sferragliando e stridendo su binari lucidati dall'usura e dal tempo. Raggiungerà a ritmo singhiozzato la meta prestabilita, riversando, dalle piccole porte fuligginose, sciami di umani erranti.
Mi rannicchio, come un cucciolo ferito, sulla minuscola porzione di sedile che la signora al mio fianco mi ha gentilmente concesso e lotto contro l'irrazionale moto di stanchezza che mi pesa sulle palpebre per non sprofondare nel mesto oblio.
Beatrice mi è di fronte, convulsionata dall'eccitamento di trascorrere un pomeriggio a Milano, piroettando fra gli scaffali dei negozi in mia compagnia. E mentre lei si tuffa in nugoli di profumo alla vaniglia spruzzati all'altezza del candido collo, io mi scuso della sua così amabile naiveté coi passeggeri circostanti, indispettiti dall'olezzo eccessivamente dolce e dai suoi gridolini festosi.
È così lei, una bambina ingabbiata nel corpo di una donna, felice e perversamente ignara che il suo stile di vita stride con una società assai prodiga nel banchettare con le proprie interiora.
Il caldo artificiale divampa nell'intero vagone, colorando di vermiglio i volti dei viaggiatori. Ciascuno si libera dei propri fagotti con movimenti isterici e spazientiti, sciorinando proteste e lanciando filippiche.
In un giorno temperato e sempre più prossimo al solstizio primaverile, i riscaldamenti sbuffano ventate d'aria secca e soffocante. La concitazione si mescola all'affanno e gocce di sudore imperlano le prime fronti.
Non mi libero di alcun indumento. Non pretendo dal mio corpo alcuno sforzo.
Reduce dall'Inferno, non mi sono risparmiata agli eccessi.
Anche Beatrice si sente annaspare, mescolandosi alla frustrazione termica dei viandanti di un treno infuocato.
Li osservo in uno short movie di corpi arrostiti e lamentosi, in una ricreazione cosmica degli Inferi, nell'inquietudine umana della puntigliosa disapprovazione.
I miei occhi assistono al travaglio di anime rassegnate ad un laconico traghettamento.
E non mi sento più sola.
Alcuni si gettano verso i finestrini, aggrappandosi alle impugnature in acciaio e tirando giù barriere per una salvezza sperata.
Aria, greve di freddo e polveri, lacera il guscio incandescente e i traghettati respirano profondamente l'illusoria ventata.
Ciascuno, soddisfatto, riprende il passatempo interrotto e Beatrice stessa sembra rigenerarsi, pronta a stillare miele dalla bocca immacolata.
Gli occhi serafici le si illuminano di gioia nel raccontare le prodezze del suo amore platonico, per il quale conserva illibato il frutto segreto.
Fra i dannati rinvigoriti si fa strada il controllore.
Fatico a frugare nella borsa alla ricerca del biglietto: i polsi mi dolgono e fanno riaffiorare pungente il ricordo della mia discesa agli Inferi.
Mi guardo attorno e rapisco la requie ritrovata dei miei compagni di viaggio. Scandaglio la figura di Beatrice e mi scopro invidiosa e irata.
Vorrei strapparle il muso incontaminato, lo sguardo fanciullo, la verginità candida, il cuore pulito e puro.
Vorrei, ma non posso.
Allungo a Caronte il mio biglietto.
È di sola andata, per l'Inferno.
ElisaN