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Racconto n° 2713
Autore: Alisa Mittler Altri racconti di Alisa Mittler
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Cos'è successo nella Stanza Rossa?
Lei è Gabriella, mia moglie. È una ragazza, anzi una donna tranquilla e un pò timida: vestiti casual, capelli neri che arrivano alle spalle, poco trucco. La vita scandita dal suo lavoro di maestra d'asilo, dalla palestra, da uscite con gli amici.
Siamo sposati da sette anni, la crisi direte voi, no, beh non proprio, i nostri rapporti sono sempre stati tranquilli. Soddisfacenti anche, ma prevedibili, con poche varianti. Insomma, al di là delle posizioni tradizionali siamo andati poche volte, dopo mie insistenze e con conseguenti imbarazzi di lei.


Da qualche tempo invece, si è fatta più audace. Insomma, non che viviamo amplessi travolgenti, anzi, sul lato pratico, per dirla così, le cose sono rimaste pressoché uguali; è cambiata nel modo di muoversi, nel tono della voce, ed ha una luce nuova negli occhi.
Ci conosciamo fin da ragazzini. Ci siamo fidanzati durante l'ultimo anno delle superiori, poi, dopo che mi sono laureato e ho frequentato un master a Londra, ci siamo sposati. Sono stato il suo primo uomo e, probabilmente, anche l'unico. Almeno fino a qualche tempo fa, da quando è iniziato questo comportamento "strano": dalla sera della Stanza Rossa.


Ma, per andare con ordine, dobbiamo risalire un po' indietro nel tempo.
Sono un giocatore fin dall'adolescenza. Ho iniziato con qualche piccola scommessa ai cavalli, poi man mano che aumentavano le mie disponibilità economiche, sono passato ai casinò, e a puntate sempre più alte. Ho rischiato parecchio, anche se, data la mia posizione economica, me lo posso permettere. Alcune volte ho vinto, altre perso. Ma, con il passare del tempo, mi rendo conto che, ad attrarmi, non è tanto la speranza della vincita, quanto il rischio, la paura di perdere. Ho letto da qualche parte che le vertigini non sono terrore del vuoto, ma piuttosto desiderio di buttarsi.
Ecco, io sono attratto dall'abisso, dalla posta che diventa sempre più alta.
Un brivido mi è corso lungo la schiena quando ho rischiato di perdere il mio Suv, durante una serata in una bisca clandestina.


Anche mister Smith gioca, ed è per questo che siamo diventati, se non amici, almeno assidui. Mister Smith è il responsabile di filiale della multinazionale dove lavoro da qualche anno. Un inglese che si è trasferito qui da noi ed abita, con la moglie e la sorella di lei, in un casale nella campagna circostante. È un uomo bizzarro, un esteta raffinato. Pochi hanno visto la sua casa. In paese di parla di feste particolari con sconosciuti, di un via vai di gente venuta da chissà dove. Ma soprattutto si vocifera della Stanza Rossa, che, a quanto ho capito, è una camera arredata per ogni tipo di gioco.


Fu lui, dopo aver conosciuto Gabriella ad una cena aziendale, a farmi la proposta. Ed io confesso che, in un certo senso, me lo aspettavo. Mi propose una partita a poker, e la posta in palio sarebbe stata una notte con Gabriella, nella Stanza Rossa.
- Ed io cosa vinco? -
balbettai come un pesce lesso
- Ma é chiaro – fa lui – Tua moglie -
poi, continuando a fissarmi con un mezzo sorriso
"Una notte con lei, nel caso vincessi io. Starà a mia disposizione, secondo l'estro del momento"
"..L'estro del momento...
Mi ha sempre fatto ridere questo Mister Smith che parla come un libro stampato.
"E sarebbe?"
Ma intanto sapevo che, qualunque cosa mi avesse risposto, avrei trovato il modo di convincere mia moglie
"Dipende, si vedrà, potrei anche non fare nulla, oppure..."
"Oppure?"
"Non preoccuparti, mi piace far star bene le donne!"
Ha accettato. E mi sono stupito di non aver faticato molto a convincerla.


Si è preparata come una scolaretta per il ballo delle debuttanti. Minigonna appena sopra il ginocchio, giacca nera e top bianco. L'unica cosa provocante erano un paio di stivali in pelle nera con tacco a spillo e cerniera. Li aveva comprati qualche mese prima, ma, fino a quella sera, aveva osato indossarli solo con i jeans.
Quando il cancello automatico si è chiuso dietro di noi senza fare rumore, siamo scesi dalla macchina. Con nostra sorpresa ci ha aperto una donna di mezza età in grembiule, piccoletta, i capelli raccolti a crocchia.


"Il signore vi aspetta in sala da pranzo" ha detto con accento toscano "date a me i cappotti"
Ricordo che sono rimasto stupito nel trovarmi in una lussuosa casa di campagna, con soffitti alti, pareti in pietra viva e un armadio settecento alla parete. Ma che mi aspettavo!
Mister Smith ci attendeva seduto a tavola.
"Accomodatevi! Clara ci servirà la cena"
Fece sedere mia moglie a capo tavola. Lei tenne gli occhi bassi per tutto il tempo, mentre Smith la fissava, a volte insistente, versandole l'acqua.
Sinceramente non capisco tuttora cosa ci trovino le donne in quest'uomo non molto alto, biondiccio, con gli occhi slavati e la pelle chiara. Malgrado tutto, non rivolse mai la parola a Gabriella, come fosse stata un oggetto.
Io cercavo di capire se ci fossero altre persone in casa, oltre alla domestica che entrava a portare via i piatti. Non sentivo rumori, se non il tic tac della grande pendola appoggiata alla parete. La casa sembrava disabitata.
Dalle finestre non riuscivo a scorgere l'esterno tanto era buio ed i vetri un po' appannati.


La pendola segnava le dieci quando siamo passati nella stanza a fianco, per sederci al tavolo da gioco, coperto da un panno verde
Gabriella fece per prendere una sedia e accomodarsi accanto a noi, ma Smith le fece segno di no, sarebbe rimasta in piedi vicino al tavolo. Ha dettato le regole: sei mani sei indumenti a scelta, più una finale, la decisiva che sarebbe toccato a me scegliere se disputare o no.


Vince la prima, Gabriella si toglie la giacca.
La seconda vinco io e non le faccio levare nulla.
Ho il sospetto che mi abbia fatto vincere apposta. Gabriella sembra un po'piu' rilassata, cerca di sorridere, si mordicchia le labbra.
Tocca a me, ora, ho buone carte. Gioco il top. L'inglese rilancia: top e gonna.
Vince lui.
Mia moglie si lascia sfilare il top. Smith le gira intorno, da dietro è alto quasi come lei. Le sfila la gonna.
Oh cavoli! ma si è messa l'intimo chiaro e i collant. Cioè non che stia male, ma con coulottes e reggiseno accollato di pizzo bianco, sembra una sedicenne.
Smith ha un sorriso a mezza bocca. Si accende un sigaro, mi offre da bere. Gabriella evidentemente in imbarazzo, con addosso gli occhiali, non sa dove mettere le mani. Si strofina le cosce nervosamente. Non riesce a stare ferma. Si appoggia prima su un piede, poi su un altro. Il mio avversario non la degna di uno sguardo e inizia a parlarmi degli ultimi investimenti dell'azienda.
Riprendiamo.
Vinco io, può tenere il reggiseno.


La quinta mano è pesante.
Perdo.
Smith fissa Gabriella che non sa cosa fare. Lui fa un cenno con la testa. Mia moglie armeggia con la chiusura del reggiseno, evidentemente le tremano un po' le mani, perché fatica a slacciarlo. Smith continua a sorridere, con le labbra sottili chiuse, quasi uno sfregio sul suo viso, ma non abbassa lo sguardo.
Finalmente riesce a levarsi il reggiseno, lei che mai in spiaggia ha osato un topless. Continua a tenere l'indumento in mano, quasi non sapesse dove appoggiarlo.
Smith schiocca la lingua, osservando il suo seno piccolo, un po' allungato, con il capezzolo roseo eretto, poi versa a me e a lui del gin.
Gabriella ha freddo, noto la pelle d'oca su tutte e due le braccia, che adesso si strofina.
Continuo a domandarmi se siamo soli in casa. Oltre la porta a vetri in fondo al corridoio, dietro la quale filtra una luce rosata, mi è parso di scorgere delle ombre.
C'è silenzio assoluto


Ho carte discrete, provo a cambiarne due. Lei sembra un po' più rilassata. Smith mi guarda con i suoi occhi slavati. Ha le dita lunghe, bianche e sottili. È imperturbabile, io arrischio un rilancio, oltre i collant, che tra l'altro sono orribili, anche gli slip. Lui tace, poi chiede di vedere le carte.
E vince
Scoppia a ridere mister Smith quando vede mia moglie armeggiare con la lampo degli stivali. Le fa cenno che si può sedere per sfilare i collant. Lei, le guance sudate, li toglie impacciata.
E resta nuda.
L'inglese non parla. Le indica gli stivali e le dice di infilarseli, poi con l'indice le fa cenno di alzarsi in piedi.
Mia moglie obbedisce.
Sempre con la mano le ordina di girare su se stessa; lei fa un po' fatica a reggersi sui tacchi, ma ha acquistato sicurezza: ci volta la schiena, vuole sembrare civettuola. Sculetta.
Adesso è la volta della mano decisiva. Mi sono capitati tre re e due sette.
Mia moglie sta lì, nuda in piedi davanti a noi. Potrei, lasciare, farla rivestire e riportarla a casa. Mi affaccio sull'abisso. La vertigine? Ricordate? È il desiderio di cadere...
Cambio due carte... vince lui.


Ricordo gli occhi di mia moglie tra lo stupito e lo spaventato quando si è voltata, mentre, per mano, veniva condotta verso la Stanza Rossa.
Sono rimasto solo nella saletta da gioco, a specchiarmi nel vetro della grande libreria, avvolto nell'odore del sigaro di Smith.
Clara, la domestica, mi ha accompagnato attraverso il corridoio fino all'armadio con gli stucchi dorati per prendere il cappotto. Ho visto quello di Gabriella appeso a fianco al mio.


Sono passati alcuni mesi, ora è primavera e le giornate sono più lunghe. Non ho mai fatto parola a Gabriella della serata, quasi un patto tacito fra noi. Lei sembra aver dimenticato, la sua vita ha ripreso i normali ritmi di sempre. Sono io che, non mi do pace. Quando cerco di fissarla negli occhi per capire da dove viene quella strana luce, lei distoglie lo sguardo .


Alisa Mittler

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