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Racconto n° 2728
Autore: Rossogeranio Altri racconti di Rossogeranio
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Sciarada
Il tipo dev'essere stato un giocoliere in un'altra vita.
Mi ha svegliato così in fretta, che non ho avuto il tempo nemmeno di finire il sogno.
Non che fosse importante.
Non c'è bisogno affatto di un sogno per sapere, quando uno ti acchiappa la Mente.
Mi si drizzano i capelli.
Beh, in effetti, era un bel miraggio. Stavo confabulando con un Giovane alato, dal cazzo lungo 23 centimetri.
- La prossima volta non svegliarmi - . Sbadiglio.

- Dov'è il mio Angelo? - Mi guardo attorno, ma non vedo nessuno nella stanza.
Siamo solo noi due, che amiamo ascoltare il Rock già nell'aria tremula del primo mattino.

- Rossa, c'è un problema qui. Arresto per associazione a delinquere - .
Mi tuona in un orecchio.
Sta aspettando la mia capitolazione, la resa definitiva.
- Non fare lo scemo. Qual'è il reato? - sbatto gli occhi nell'alba violetta, stupefatta dalla stranezza della sua isteria.
- Lo sapete bene tu e quell'Altra. Trafiggerò i vostri due fogli di pelle con una matita appuntita sul tavolo del giudice, questa mattina - .
Agile come un'antilope, mi alzo dal letto e con voce vispa da soldatessa della salvezza, squillo: - Allora andremo sulle prime pagine dei giornali? - .

Lo guardo, nudo come un verme, la quintessenza cacciata dal Paradiso Terrestre.
Difficile immaginarlo in giacca e cravatta o ancor meglio in toga, che cospira subdole punizioni per noi due, povere serve della gleba.
Se ne sta diritto alla finestra, il condottiero, con le spalle tese, in atteggiamento militare.
I peli del pube vaporosi e composti, le unghie ben limate, i muscoli sfregati con sapone di Marsiglia, il prepuzio accuratamente passato in rassegna, con la pelle dello scroto sistemata a regola d'arte.
Le ascelle spruzzate di Elite di Floris e la muscolatura tesa ed elastica, dopo la solita corsetta mattutina di jogging.
Questa la sua ratio fisica, la tutela prodromica ed anticipata rispetto la commissione che l'attende.

L'Altra che Lui nomina, invece, è candida come un giglio: una Madonnina con gli occhi azzurri ed il focolare incorporato in grembo. Una Santa.
La vera Carogna sono io, senza amanti né padroni.
Un mulo duro che fissando la lancetta del tempo, realizza che nel minuto appena trascorso, ha sperperato al vento 135.000 spermatozoi circolanti nei testicoli.
Standosene lì, rigido nella sua valutazione.
Lo incito: - Avrai successo, con questi due bei coglioni che ti ritrovi.
Non sottovalutare mai che la pelle pensa, percepisce, ascolta e trasuda umori e congetture - .

La mia parola è forse insufficiente e traboccante, perché il suo sguardo prorompe tra le sopracciglia folte simili a fuliggine e le labbra color sangue di rospo.
I capelli scuri e lucenti sono come un cespo di rovo falciato sbieco e imperlato di gocce di rugiada.

Il detentore dello scettro si muove fulmineo verso di me e con tutta la sua possanza mi trascina ad una sedia.
Io accetto passivamente.
Se mi soffermo a pesare ogni parola, sulla stanza svanirebbe la mia musica.
Se reagisco, il proliferare di gameti nel suo profondo, si bloccherebbe di nuovo.
- Adesso tocca a te, poi più tardi, penserò a quell'Altra - .
Mi fissa diritto negli occhi come un lanciafiamme puntato sul sole.
Vuole la cenere della pelle e delle ossa.
Sono stata io a cominciare, lui pretende di finire.

E' un uomo di sani principi, un buon padre di famiglia. Predica.
In realtà è solo uno scapolo figlio dell'oniromanzia, che accumula e impreziosisce ogni giorno lo schema enigmistico del suo corredo.
La sua vena safena è affascinata dai richiami selvaggi che si svolgono perpetuamente, senza scarti, cavalcando il forte roano, su tutte le gonne di finissima organza.
Ma stavolta nel rodeo ci sono io e sotto la sottana, da vero Demone, ho un aspide tentacolare e nostrano, l'ofide più pericoloso, sempre in procinto di cambiare pelle.

Mi guarda con occhi freddi e inumani.
Sono agganciata alla sedia e nuda, con i polsi legati da una sciarpa di seta.
Un'altra bandana stretta a forza tra i denti, per impedirmi di urlare.
Lui, ansimante, rimane seduto su una vecchia poltrona logora, l'unica che ha lasciato integra.
Gli altri mobili, distrutti, spaccati, sventrati.
La chitarra, sbattuta in un angolo, il pianoforte a coda ridotto a lamelle di legno, come una bara segata in più pezzi; i tasti bianchi e neri seminati sul tappeto, come pedine di domino abbandonate.

Le gambe delle sedie metalliche rivoltate in alto sembrano giganteschi cavaturaccioli, gli arazzi amerindi ridotti a brandelli, le tende a stracci scorticati.
Le porcellane sono frantumate, il cestino rovesciato per terra.
L'intonaco alle pareti è sgretolato e cade a scaglie ed i sanitari sembrano cumuli di schegge impazzite.
L'acqua sta sgorgando ininterrottamente dai rubinetti, i nostri abiti fatti a pezzi e sparpagliati.
Fuori infuria la tempesta, si avverte solo la sonorità del vento, che sbatte contro le superfici lignee scuotendole; la stanza è una cassa di risonanza trasformata in uno xilofono eolico.

Ecco che spalanca gli occhi come un caimano.
Lo sguardo si va a posare su di una credenza, dove c'e' l'unico vaso capiente integro e un barattolo di miele.
Nel recipiente, migliaia di formiche rosse che cercano imperterrite di districarsi dalla massa e riemergere.
- Vuoi sapere qual è il mio obiettivo? - dice Lui compiacendosi della sua azione predatoria.
Si alza dalla sedia e si avvicina con il barattolo di miele in mano.
Lo posa a terra.
Io schiudo le palpebre e scorgo appena il brulichio di quell'universo d'imenotteri che popolano il vetro.
Lui svita il coperchio.
- Ora ti spalmerò di miele, dalle dita dei piedi alla fronte e sui capelli. Avanti e indietro. Dappertutto. La punizione conveniente.
Questi aggraziati animaletti si faranno il bagno nella tua dolcezza - . Esplode concitato, consumando la sua follia.
Quindi infila un dito nel recipiente, lo intinge di nettare e lo spalma sull'indice del mio piede destro.
Continua a strisciare, sulla caviglia, la gamba, sempre più in alto, tracciando un circuito incatenato, un gioco umido ad incastro, senza logica né combinazione.
Poi torna a sedersi di fronte a me e si accende una sigaretta.
Il profumo dolciastro della miscela mi appesantisce i sensi. Sto contemplando il cinturino di formichine vischiose e impregnate che si aggrovigliano lunga la coscia, avventurandosi con mille barocchi intrecci fino ai miei fiori cavernosi.
Dipingono piccole e grandi ruote rosse, come avevo visto nelle litografie, sulle teste dei Santi Martiri.
Io vorrei perdere i sensi e cadere in avanti, invece un turbinio di scene mi si smagliano davanti agli occhi, in un'immaginazione che slabbra nelle fantasmagorie dell'enigma.

In effetti, il segreto è qualcosa di abilmente dissimulato d'apparire qualcosa d'altro.
Nella perfetta superficie della realtà, il giudizio muta completamente d'aspetto.
Nel rumore ininterrotto delle parole e delle cose, emerge un particolare colore che ne altera completamente lo spartito.
E risillabo la Storia come un non concepito.
Il rapporto è una moneta fasulla che mistifica in nome dell'Amore e ammanta la sua perversione di un pericoloso splendore di cartapesta.
O di pelle di Diavolo.
Ecco zampillare in me la carne che vivifica, che scolpisce i miei silenzi, le collere e le riflessioni.
Una consacrazione perché la ragione mi riprenda da sé, come frammento del suo spirito, dinnanzi alla totalità del visibile qui, ora, gioco d'Amore.

Adesso dovrei svenire, davvero.
- Sei il mio trionfo - . Le sue labbra si deformano e piegano in un ghigno perverso.

- Svegliati dormigliona! - spiffera all'orecchio.
Apro gli occhi e l'Angelo ha ricomposto con le sue ali tutto ciò che andato distrutto.
I tasti del pianoforte suonano dolcemente, la chitarra intona un motivo live.
Le porcellane sono integre e impilate al loro posto.
I tubi risucchiano l'acqua dispersa e la tappezzeria segue senza sforzo la ricostituzione dell'intonaco.
Il vaso pieno di formiche rosse e il barattolo di miele, scomparsi.

Mi abbandono ad un irrefrenabile risata.
Il segreto di Pandora.
E' stato lui a consegnarmi il vaso ed io mi sono prestata ad ogni mossa della partita, pilotata da un destino dominante e lucido, che mi ha battuta.
Ho perso la sciarada d'innocenza e vizio nella quale mi ha coinvolto, l'epilogo scontato dove la vittima sconfitta è destinata a diventare carnefice.

- Chiamami un taxi per il tribunale - . Mi urla fischiettando dall'altra stanza.
Si è già rivestito, beato lui.
Mi siedo per la colazione.
Caffè e croissant per coccolarmi un poco, con un pezzo di favo pieno di miele, servito sul piattino di cristallo.
La mia compartecipazione golosa nell'ipotesi di reato.

Rossogeranio

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