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Racconto n° 278
Autore: Liviana Altri racconti di Liviana
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Il solito cliente
...ho assoluto bisogno di rinfrescarmi il volto.
Entro nel bagno di destra, mi tolgo l'orologio e lo poso sul tavolino, appena di fianco al vaso con le rose fresche. Apro il rubinetto dell'acqua fredda e la faccio scorrere sui polsi.
Non so cosa mi sia preso: agitazione, rabbia, tensione. L'acqua sta iniziando a fare il suo effetto, rivoletti mi scendono sulle guance.
Sento un rumore più forte della musica jazz di sottofondo: qualcun altro è entrato nell'antibagno. Non ho chiuso a chiave.
Sfilo due fazzolettini di carta dal contenitore di fianco al lavandino e mi asciugo sommariamente il viso. La porta si apre e me lo ritrovo davanti contro ogni logica.
Riesco a guardarlo negli occhi solo per un attimo mentre richiude la porta alle sue spalle, eppure capisco al volo le sue intenzioni.
Mi alza la gonna stretch e me la arrotola in vita, mi abbassa le mutandine e tuffa la lingua fra le mie grandi labbra.
Sono tentata di urlare ma di là c'è una stanza piena di gente, invece sospiro di piacere perché mi sta facendo morire. Siamo un po' stretti fra lavandino, water e tavolino, nelle orecchie mi rimbomba il rumore del fruscio dei vestiti e di quello della sua lingua che fruga fra i miei peli. La sua saliva, il mio umidore, non so cosa mi cola fra le cosce, è un liquido caldo e lento.
Mi tremano le gambe e mi appoggio all'indietro contro il lavandino, le nocche bianche da quanto ne stringo il bordo.
Si rialza e si stacca da me, la mia mente impreca, ma la sua mano torna fra le mie cosce e mi infila dentro un dito facendolo ruotare per cercare di affondarlo il più possibile. Con la mano libera sta facendo posto sul tavolino, sposta il mio orologio, il vaso di fiori e il centrino all'uncinetto, poi mi ci fa stendere sopra e si piega di nuovo fra le mie gambe a leccare avidamente.
Sento il suo respiro caldo e affannato sul clitoride che è gonfio al parossismo, non so se venire o aspettare di modo che lui continui a farmi godere a quella maniera.
E' una sensazione talmente inaspettata, desiderata, e meravigliosa che mi lascia completamente in sua balia, non mi passa nemmeno per la testa di fare qualcosa per dare piacere anche a lui. Me ne sto lì a gambe aperte a guardare il suo capo muoversi sulla mia passera. Mi penetra con la lingua, mi succhia il clitoride, con una mano mi massaggia il ventre, con l'altra mi allarga le grandi labbra. Ci sa fare, anche se le donne non sono tutte uguali, capisce alla perfezione dove soffermarsi in base all'intensità dei miei gemiti.
Lecca, lecca, lecca e mi fa godere. Sento il piacere arrivare, penetrarmi dallo stomaco, riempirmi il ventre e poi sfociare dal mio clitoride. Non posso urlare, lo so, allora stringo tutto ciò che posso con le mani, con le cosce, con ogni muscolo che riesco a comandare. Mi ha svuotata.
Lo guardo mettersi in piedi e fissarmi negli occhi, lo vedo attraverso una leggera nebbia di piacere: si sfila la cintura, si sgancia il bottone dei pantaloni e si abbassa la cerniera, armeggia con l'apertura dei boxer e tira fuori il suo uccello già duro.
Si volta un attimo verso il lavandino per prendere un po' di sapone liquido e se lo spalma sulla punta, afferra le mie gambe e mi fa appoggiare le caviglie sulle sue spalle: ho ancora indosso i sandali.
Si prende il sesso in mano e con un unico colpo deciso me lo infila nel culo.
Non me lo aspettavo per questo lancio un piccolo gridolino di dolore: lui mi mette una mano sulla bocca e mi guarda con rimprovero, poi inizia a spingere sempre più forte dentro al mio retto, sento le sue palle che sbattono contro il mio sedere.
Provo un dolore intenso, una lacrima mi sta scendendo dall'occhio destro, eppure non sono mai stata eccitata come in questo momento.
Vorrei che mi scopasse anche davanti ma non posso dirgli niente, non posso per la mano sulla mia bocca, ma non voglio nemmeno. Non un bacio, neanche una parola, questo momento è solo un puro atto di sesso. Voluto da entrambi.
Il tavolo cigola ad ogni spinta e la mia testa sbatte un poco contro il muro, il culo mi brucia a più non posso anche se il sapone ha fatto da lubrificante, sono indolenzita ovunque ma non sono mai stata così eccitata tanto che al suo primo tocco al mio clitoride, ho un altro orgasmo.
Il mio utero si dimena e le contrazioni stringono il suo uccello ancora di più fino a farlo godere dentro di me. Riprende fiato in pochi secondi si rimette a posto i pantaloni, si lava le mani, poi esce dal bagno.
Mi ha guardata negli occhi, non si pente di ciò che ha fatto anche se non ne è del tutto compiaciuto. Torna sui suoi passi, mi fa una carezza su una guancia per levare quell'unica lacrima dal mio viso. Poi se ne va.

Il cibo è erotismo puro, almeno io la penso così. Del piacere del mangiare ne ho fatto la mia professione. Nel mio ristorante non si trova la solita bistecca ma solo piatti creati con ingredienti che fanno l'amore con il cliente. Così come il carpaccio in salamoia, olio del Garda e Aceto Balsamico tradizionale di Modena, dà il via ai preliminari, i panzarotti di ricotta, parmigiano ed erbette in letto di besciamella scaldano i sensi; se il petto d'oca marinato al tartufo con radicchi di Castelfranco è un massaggio intenso, il plateau di formaggi italiani con pane all'uvetta e marmellata di cipolle rosse di Tropea è il piacere dell'amplesso; infine il semifreddo al croccante e caramello è un vero e proprio orgasmo di sapori.

All'inizio è stato difficile far comprendere ai clienti l'accuratezza dei piatti, la ricerca di ingredienti genuini, di prodotti di nicchia, la riscoperta di piatti antichi eppure perfetti nella loro semplicità.

Il mio locale si chiama La locanda dei sapori e io ne sono la proprietaria unica. In cucina mia madre è la cuoca e mia sorella la coadiuva, poi ci sono due lavapiatti e un garzone che riordina magazzino e cantina. In sala ci siamo io e mio cugino, d'altronde il locale è piccolo, solo ventisei posti divisi in due tavoli da due persone, due tavoli da quattro, uno da sei e uno da otto.
Il ristorante è proprio nella periferia di una cittadina termale parecchio frequentata, in un piccolo casale che ho ereditato alla morte di mio padre e che, con calma, sto ristrutturando per creare il mio locale ideale. Per ora c'è un ingresso con pavimento in cotto con un leggio in ferro battuto sul quale ho posato il librone delle prenotazioni, una credenza settecentesca con l'esposizione delle grappe e degli infusi di nostra produzione, la sala da pranzo ricavata nell'antica stalla delimitata da due archi in pietra sulla quale si affacciano la vetrata di accesso alla veranda d'estate, la cucina e la camera da bagno.

Mi vesto sempre alla perfezione, mi trucco e mi pettino in modo che nessun capello possa svolazzare in giro, tuttavia non voglio dare l'impressione di essere fredda nella mia perfezione, tutt'altro. Cerco di apparire morbida come una vellutata di ceci e cannellini, sinuosa come un Cabernet Sauvignon dei colli piacentini, semplice come uno zabaione al Passito di Salina.
E i clienti tornano, fanno i complimenti, comprendono, chiacchierano volentieri.
Una cara amica mi ha bonariamente accusato di tessere una rete più pericolosa di quella dei ragni: i clienti una volta entrati alla Locanda non riescono più a staccarsi.

Per i miei affari è una vera manna ma chi fa il mio lavoro per passione non si accontenta solo di avere il locale sempre pieno: la soddisfazione sta nell' avere un rapporto coi clienti, nel lasciare che facciano domande, che si interessino, che parlino di loro, tutto serve a comprendere meglio l'evolversi del mestiere.

Solo un cliente sembra non volermi fare contenta.
Capita a pranzo mediamente una volta al mese, non prenota ma ha sempre la fortuna di trovare posto. Veste in giacca di alta sartoria, camicia carta da zucchero, cravatta firmata e ha sempre lo stesso profumo: un aroma lieve che solletica le narici senza insinuarsi prepotentemente ma che rimane a lungo in mente.
Nonostante questo non è per nulla abitudinario nella scelta del menù.
Il solito cliente attinge spesso ai piatti del giorno, ordina una buona bottiglia di rosso morbido e fermo, come un Cannonau, un Nebbiolo o un Merlot, poi non ne beve più di un bicchiere. Si gusta ogni portata, lo capisco da come si concentra sulla pietanza, e per niente su ciò che lo circonda: non ha nessuna fretta di andarsene, sorseggia con calma il suo caffè fatto con la napoletana e sfoglia le riviste o i libri che metto a disposizione degli avventori. Tutte le pubblicazioni riguardano le peculiarità del territorio, dalla gastronomia, alle tradizioni, dagli usi, al patrimonio artistico.
Il solito cliente arriva, consuma, legge, paga e se ne va senza dire una sola parola in più di quella richiesta dalla normale, semplice e fredda cortesia.
Ho provato in mille modi ad attaccar briga: nulla. Risponde con un sorriso di circostanza e non c'è verso di farlo parlare. Mai un complimento, mai un apprezzamento, se proprio proprio deve dire qualcosa, mi andrebbe bene pure una critica, ma lui continua a mantenere quell'irritante distacco.
Dimenticavo di raccontare che il solito cliente è anche un bell'uomo, no non proprio bello, ma affascinante lo è davvero molto: cammina sicuro ma non si dà affatto arie da super uomo, ha le mani sempre ben curate, un Movado al polso e una voce calma e profonda da brivido. Non porta la fede ma non sono del tutto sicura che sia scapolo: un uomo così avrà donne che gli cadono addosso da ogni dove. E' brizzolato, occhi castano scuri, un paio di occhiali da vista con montatura blu elettrico di Moschino. Ha circa quarantacinque anni che a volte mi sembrano di più perché, capita di frequente, ha delle rughe di tensione sulla fronte.

Non so perché ma oggi sentivo che sarebbe arrivato.
Eccolo che entra, posa l'ombrello nel contenitore apposito ricavato da un bidone per il latte, scuote la testa per eliminare le poche gocce di pioggia che ha preso e mi guarda.
Mi piacerebbe dirgli che non c'è posto ma il primo tavolo vicino all'ingresso, a differenza degli altri, non porta la targhetta con scritto riservato.
Lo faccio accomodare e aspetto che venga il momento per prendere l'ordinazione.
Nel frattempo gli porto il frullato di sedano che offriamo come aperitivo ai nostri clienti. Opta per una zuppa di cipolle con crostini e pasta di salame al vino bianco.
Mi guarda intensamente mentre gli servo il Teroldego che ha scelto dall'ampia carta dei vini.
Servo la zuppa di cipolle in una terrina di coccio e gli sfioro casualmente il braccio nel porgergli il cucchiaio. Quando gli tolgo il piatto vuoto, nell'allungarmi sul tavolo per recuperare il pezzo di Parmigiano e la grattugina, il mio seno struscia ancor più casualmente la sua spalla. Mentre assapora la pasta di salame riapparecchio il tavolo di fronte al suo e vedo di piegarmi per bene nello stendere la tovaglia pulita. Ho una gonna corta, è estate, i collant non servono, peccato non indossare un paio di autoreggenti. Quando penso che sia trascorso tempo sufficiente a fargli avvistare il pizzo delle mutandine, vado al suo tavolo a chiedergli se vuole il caffè.
Mi guarda per un attimo solo, un'occhiata che mi mette a disagio e che mi fa venire caldo, un gran caldo addosso. Disprezzo, eccitazione, rimprovero. Ho assoluto bisogno di rinfrescarmi il volto.

Liviana

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