Brava ragazza. Questo dovevo essere.
Flagello, marchio, imposizione.
Di mio padre, di mia madre, di tutti.
Convinta di essere nata con un corredo genetico da Madonnina infilzata, mi sono sempre tenuta alla larga dai maschietti.
Ad un certo punto della mia vita iniziai persino a detestarli, come la volpe fa con l'uva che non riesce a raggiungere, definendola acerba.
Io ero più saggia, però. O autolesionista.
La colpa l'attribuii interamente a me stessa. Mi persuasi di essere lesbica. E l'ho scritto persino sulla grammatica greca, a pagina centotrenta, vicino alla coniugazione dell'aoristo.
Le donne mi facevano impazzire.
Sfogliavo Gioia e delle modelle guardavo solo le tette.
Ma erano troppo piccole per i miei gusti. Io le volevo giganti. E sode. Ritte ritte sotto la gola, con capezzoli di memore turgore.
Infilavo sempre mele di dimensioni equivoche sotto le maglie e mi guardavo allo specchio. Mi sentivo superfiga, anche quando uno dei due frutti cascava e sembrava, in paragone con quello rimasto nell'originaria posizione, il - prima - e il - dopo - l'intervento.
La mia amichetta delle elementari portava già la terza misura di reggiseno al quarto anno. Oggi sfoggia una quinta polposa. E la invidio.
Io parevo piallata, che neanche a regola d'arte mi avrebbero potuto modellare così bene.
Fra i due seni avevo un ossicino che spuntava fuori, era un accavallamento dello sterno.
Insomma di massa aggiuntiva avevo solo qualcosa di sbagliato, ma pur sempre di distintivo.
Alle superiori le tette mi erano cresciute. Tonde, sode e di dimensioni medie. Mi ritenevo fortunata, ma sentivo che non mi sarebbero servite a nulla.
Le mie amiche si facevano sverginare sui motorini, nei boschetti della provincia ed io rimanevo a casa a ripetere i paradigmi di latino.
I miei erano felici. Estasiati dall'aver messo al mondo una macchina a comando.
A scuola i professori si inchinavano durante i colloqui coi genitori, celebrando le mie capacità.
E poi c'era il disegno. Oh sì, una dote naturale che mi ha flagellato l'esistenza.
Persino i parenti mi commissionavano degli schizzi. Una vecchia prozia un giorno mi disse:
- Questo ritratto lo conservo, sia mai che diventi famosa ed io ricca! -
Se fossi stata in lei non l'avrei mai messo sottochiave. Era la testimonianza ultima di quanto fosse disarmonica.
Crescendo, capii che le donne mi eccitavano perché le ritenevo la rappresentazione ideale del bello, ma avvampavo al passaggio degli uomini e forse, tanto lesbica non ero.
Ho dato il mio primo bacio senza lingua. Me la facevo sotto a limonare, figuriamoci a praticare del sesso.
Poi ho deciso. Per me ci voleva un fidanzato. Uno di quelli che ti infilano la fedina in oro bianco all'anulare sinistro, che ti fanno conoscere mamma, papà e nonna. Quelli che decantano le tue doti culinarie e rassicurano i parenti che, in caso di matrimonio, non avrebbero corso il rischio di morire di fame.
E l'ho trovato.
Uno di quei paesanotti grezzi, senza titolo di studio, con la barba incolta e l'odore metallico del lavoro.
Faceva l'idraulico e vantava un parentado di delinquenti, spacciatori e mafiosi da entrambe le stirpi.
Un curriculum di tutto rispetto per i miei genitori.
Brave ragazze crescono.
Isterie, nevrosi, pianti e notti insonni. Questo ho provocato. La brava ragazza ha fatto a pezzetti l'aureola e l'ha scaricata nel cesso.
Lo sciacquone ha ingoiato di tutto in questa casa.
Mi sono fatta sverginare, beh sì, non posso dire di aver fatto l'amore. In macchina, nel parcheggio di un ristorante, nel mese di febbraio.
Non mi ha fatto male, non ho perso sangue, non mi sono accorta di nulla.
Ero contenta di essermi uniformata alla massa. Questo era l'essenziale.
Non più brava ragazza che si conserva illibata fino al matrimonio, che sogna abiti bianchi e vaporosi e che non si accoppia con - irregolari - .
Non ero felice. No! E questo mi faceva stare bene, anche il giorno dopo, quando al risveglio, mi sembrava di essermi fatta la pipì addosso.
Lui ha fatto parte della mia vita per tre anni.
Il sesso credevo non mi piacesse.
Pensavo non facesse per me.
Mi veniva la febbre al solo pensiero di srotolarmi gli slip lungo le cosce. Non mi depilavo neppure l'inguine.
Ero rozza, gretta e priva di femminilità.
E a lui piacevo, da impazzire.
Mi avevano alienata. Genitori e fidanzato. E la colpa era mia. Avevo permesso a tutti di decidere per me.
Poi la svolta.
Mia madre se n'è andata, mio padre ha perso la ragione, il mio fidanzato l'ho mollato.
Il paese dice, già perché se gli impiccioni non ci mettono il naso si sentono esautorati dell'unico potere in loro possesso, che l'ho fatto soffrire.
Beh se è così, mi dispiace. Ma so che si sposerà fra sei mesi e sono felice per lui, mentre io faccio i conti con la mia caparbia solitudine, che diciamocela tutta, mi fa anche una grande e sacrosanta compagnia.
Ora vi presento la brava ragazza che mi hanno fatto diventare.
Mi sono trasformata nella femmina del bombice, la farfalla dalle grandi ali che produce un feromone percepibile dal maschio a dieci chilometri di distanza.
Vesto in maniera sexy e mai volgare. Non devo far trapelare le mie voglie, perlomeno non da subito.
Mi piantono nei locali più giusti per operare nuove conquiste.
Ho studiato movenze seducenti e sguardi ammiccanti per attirare l'attenzione.
E arrivano, a frotte.
Mi è capitato di tutto fra le cosce. E sono tornati, sempre.
Anche oggi, facendo scoppiare il mio telefono e la mia casella di posta elettronica di stronzate.
Ex brava ragazza, studiosa, fidanzata, dolce e accomodante cercasi.
Ormai comunico solo col corpo e sempre meno con le parole.
- Scopami! Leccami! Fammi godere! -
Imperativi lanciati al vento in un impeto di grassa bramosia.
Nessun concetto.
Non parlo.
Ho male nel farlo.
Le amiche che consumavano la loro prima volta sui motorini, oggi mi vedono come un fenomeno ed io aggiungo, da baracconi. Mi lanciano sfide riguardo uomini che ritengono inarrivabili. Vinco sempre!
Il pene è una terra colonizzabile con facilità disarmante.
E in una notte ho incontrato l'amore.
Ma il suo cuore è inespugnabile.
Lui è come me: per una carezza barattiamo il corpo.
ElisaN