Salgo la scalinata della chiesa con le gambe tremanti ché quasi non mi reggo in piedi per l'emozione. Ma emozione per cosa? In fondo sono lì per chiedere perdono, non per confessare a Don Pietro i miei peccati. Se solo immaginasse, Don Pietro, quello che ho fatto, mi toglierebbe il saluto, così quelli del paese si accorgerebbero che ho combinato qualcosa di brutto.
Se il prete ti ignora, qualcosa di peccaminoso devi aver fatto. E io non voglio che gli altri sappiano. Non voglio aver peccato.
La porta della chiesa è aperta, lo è sempre perché il nostro parroco crede nell'Uomo e, come dice sempre, - un ladro cosa potrebbe mai portarsi via da questa povera Chiesa? - .
Entro nel quatriportico e appena oltrepasso l'uscio, mi sembra di oltrepassare la soglia del mistero, della vita e della morte; infilo la mano nell'acqua benedetta perché non riesco a misurare la distanza e metto troppa foga nel gesto. Mi segno e così facendo mi accorgo del gesto ampio e lento, come ad iniziare a chiedere perdono, come ad aprire la mia anima all'Onnipresente.
Perché anche Lui c'era ed avrà visto, no? Quello che ho fatto due giorni fa...
Alle cinque del pomeriggio si dice messa qui da noi. E le beghine accorrono tutte per ciarlare tra loro, gettando gli occhi tra le fila degli inginocchiatoi e le statue dei santi poste ai lati della chiesa.
C'ero anch'io, due giorni fa. Spinta più che altro dal desiderio di vedere il nuovo assistente del parroco, Don Paolo, che non era ancora prete, ma intanto assisteva il vecchio Don Pietro che era avanti con gli anni e gli stava insegnando il - mestiere - . Le beghine e le donne del paese ne avevano parlato di questo nuovo assistente dopo la messa della domenica precedente e tutte concordavano che era troppo bello per fare il prete.
- Tant'è - mi sono detta - meglio verificare di persona, tanto non mi costa nulla - .
Ed ero andata in chiesa. Però ero rimasta in fondo, quasi vicina all'uscita, accanto alla statua di San Benedetto, protettore del paese, perché non volevo mi vedessero (di solito non vado in chiesa a sentir messa).
E da quella posizione l'ho visto...
Alto più del parroco, avrà avuto sì e no una trentina di anni (un po' tardi per farsi prete eh?), i capelli scuri tagliati corti ad incorniciare due occhi di un verde che si vedeva anche dalla mia posizione.
Durante la messa non sono stata in grado di pronunciare parola, ma i miei occhi erano sempre attenti a non farsi sfuggire nulla.
Finita la messa. Amen, andiamo in pace.
Sono rimasta lì, mentre la gente usciva e mi lasciava, finalmente, lo spazio per avvicinarmi all'altare dove ormai non c'era più né il parroco né Don Paolo e il tempo se ne stava andando per conto suo. Chi si era accorta di quanto ne fosse passato dalla fine della messa? Sono stata col naso all'insu ammirando le immagini dipinte anche sul soffitto, girando su me stessa per raggiungere ogni angolo della chiesa come fanno i bambini quando gli sfugge di mano il palloncino e non vogliono lasciarlo fino a che non si vede più neanche il puntino.
E poi mi è balenata l'idea di rivederlo. Chissà cosa mi ha spinto ad entrare in sacrestia.
Lui, Don Paolo, era lì, intento a riporre i vestimenti del parroco nell'apposito armadio dalle ante cigolanti.
Ho sussultato appena mi ha vista, perché lì per lì non mi ero accorta ci fosse qualcuno e lui ha notato il rossore che imporporava il mio viso.
- Ciao, mi fa lui
- Ciao - rispondo io - sei il nuovo Parroco?
- Ahah, ma no, sono solo una specie di assistente – fa lui.
- Scusami, non volevo disturbarti – gli dico, mentre il rossore si fa più evidente.
Mi invita ad accomodarmi ed io, più che seguire l'invito, sento di obbedire.
- Come ti chiami? – fa lui.
- Maddalena – rispondo meccanicamente.
- Bel nome... io mi chiamo Paolo.
(sì, lo so che ti chiami Paolo, bastardo che non sei altro. Ma perché d'un tratto non mi frega niente del tuo nome e penso solo al tuo cazzo?)
- Senti, devo andare, scusami per averti disturbato. –
L'impeto che c'è nella mia voce tradisce un'emozione troppo forte perché non si intuisca che qualcosa di strano, in me, c'è davvero.
- Ma dove vai... rimani qui; non mi sembra di averti vista molto in chiesa ultimamente.
- Non amo i preti, mi dispiace.
- E allora, perché sei qui, oggi?
- Perché volevo... avrei voluto... ohhhh insomma! Ecco, mi hanno parlato di te.
- Di me? E cosa ti hanno raccontato?
- Ma nulla, niente... che sei nuovo e che sei... (sei tremendamente eccitante, accidenti a te!)
- Cosa sono... - dice lui e dicendo questo stringe la sua mano intorno al mio braccio, come a volermi lì.
Non so come sia successo, ma è bastato quel suo tocco a far scattare la molla o forse il desiderio inconscio di farmi rimanere, o forse il suo desiderio.
Sì, ecco, è stata la sua volontà a trattenermi, è stata la sua volontà a farmi dire: - guardami - , a farmi avvicinare alle sue labbra per sentirle mordere le mie in modo delicato e prepotente allo stesso tempo.
La sua volontà o la mia? A piazzargli una mano sul cazzo e sentirlo già duro, imponente nel suo vigore e a volerlo a tutti i costi dentro, dentro all'infinito mentre con le mani poggiate all'armadio mi apriva, mentre i suoi colpi affondavano nella mia carne e la mia mano accarezzava la corolla scarlatta che accoglieva il guerriero imponente. Non esisteva più il - dove eravamo - perché i sensi erano debordati oltre i marosi, perché in quel momento volevo solo lui dentro di me, attorno a me con tutto il suo corpo.
Mi è scoppiato dentro e io ho sentito il suo calore pervadermi anche l'anima come fosse il fuoco dell'inferno a colarmi nelle viscere.
Quando mi è uscito da dentro mi ha spinto contro l'armadio poggiando il suo cazzo imponente contro le mie natiche, il suo viso puntato nel mio orecchio a sussurrarmi parole oscene, le stesse oscenità che io gli avevo regalato poco prima. Ero ancora eccitata, una voragine aperta nell'infinito candore della mia sessualità. E la sua mano che ancora frugava tra le mie cosce a cercare il clitoride gonfio che reclamava la sua gloria. Un attimo, un solo attimo... mi ha girata e la sua lingua, prepotente ancora, che si infila nella mia fica rorida a bere quel che restava del suo sapore perché il mio lo sovrastava. E quella lingua (maledetto bastardo) che ci sa fare, che rotea, gioca con quel piccolo cazzo ancora gonfio di te, che non smette, né vuole farlo, di sentirsi leccato. Le mie mani strette attorno alla tua testa ad imprimere il suggello eterno, e tu mi succhi via tutto, la mia identità, il giorno e le ore, il tempo andato e quello da venire perché è questo che vuoi, è questo che voglio...
La messa è quasi finita e io sono ancora lì a chiedere perdono perché non ho resistito, due giorni prima, a godere del mio essere donna.
Andiamo in pace.
Amen.
Enchantra