Turno di notte. Stanchezza che dilata il tempo. Dalla finestra dell'infermeria guarda fuori. Il nero della notte è ancora totale. Solo un angolo ad est inizia a tingersi di un rosaceo chiarore. È quasi l'alba. Fra poco inizia un nuovo giorno. Uguale ad altri mille. Vuoto. Privo di qualsiasi attrattiva. Solo da far trascorrere ingannando il tempo.
Livia si massaggia le gambe stanche. La mano respinge una ciocca ribelle che scende a giocare sul suo viso. Gli occhi tornano alla finestra. Il cielo ora si increspa di colori, prima timide spennellate, poi la luce aumenta e il sole sorge spavaldo.
Si alza e va a fare l'ultimo giro della corsia. Ancora un'ora. Prima del nulla.
Cammina eretta e flessuosa, il passo è leggero e il movimento dei fianchi naturale e molto femminile. La divisa da infermiera le dona. I lunghi capelli biondi sono raccolti in una coda alta da cui alcune ciocche ribelli sfuggono. Il viso è bello, di una bellezza strana ed inquietante, lo sguardo nero e profondo incute soggezione. Non sorride mai.
Eppure un tempo i suoi occhi ridevano, le sue labbra baciavano, il suo cuore amava. Milioni di anni fa.
Poi ha scoperto il dolore dell'inganno. Poi ha capito quanto fragile sia la felicità.
Ha perdonato tre volte. Poi ha fatto la valigia. Non si è voltata indietro, semplicemente è sparita.
L'arrivo della caposala. Cambio del turno.
L'aria gelida la fa rabbrividire mentre cammina rapida verso la fermata del bus. Occhi famelici di uomini a caccia la seguono, ammirano sfacciatamente le sue gambe, salgono seguendo le sue curve, ammiccano lascivi, si lasciano sfuggire frasi di ottusa oscenità. Ma si bloccano annichiliti sui suoi occhi. Il gelo con cui li fissa li annienta.
Appena giunge a casa si spoglia e si concede alcune ore di sonno, quel poco che le serve per ritemprarsi ed essere pronta per la serata che l'aspetta.
Di nuovo notte. Ma è un mondo diverso, fatto di caos e follia.
Le luci vorticose smarriscono la mente. La musica martellante carpisce la ragione e provoca la disgregazione cerebrale. Il palo a cui si strofina è l'unica cosa animata della sala. Il resto è carne.
Bocche contorte da ghigni grotteschi la osservano. Il suo corpo è merce. La donna si avvicina, la frusta esposta, il viso nascosto, la voglia a incendiarle le mani. Lo spettacolo inizia. Cuoio che sibila, scalfisce, punisce. E purifica. Ad ogni colpo mirato con perizia un indumento cade. Uno strip-tease particolarmente erotico e nel contempo di grande abilità. Nessun segno sulla pelle. Solo brividi di paura e fiato sospeso. Negli spettatori. Perché in lei non un muscolo si muove, anzi, sembra agognare il contatto della frusta. Il corpo sembra cercare quel cuoio, bramarlo e desiderare il suo bacio crudele. Splendida creatura, vestita della sua pelle diafana, cerca in questo mondo della notte l'oblio della perdizione. Un angelo con le ali strappate che sprofonda nel fango.
I suoi occhi si muovono indifferenti sulla gente ed incrociano un viso noto che la osserva incredulo. Per una frazione di secondo sembra emergere in lei un sentimento, subito represso dal gelo che la pervade.
Diego... il medico arrivato da un mese in reparto. Bello, simpatico, galante, e con una evidente infatuazione per lei. Ma è un uomo, quindi inaffidabile.
L'applauso la riporta alla realtà, ringrazia il pubblico con un ironico inchino e va nel camerino per rivestirsi. Minigonna nera in pelle, tacchi a spillo, camicia sbottonata che lascia intravedere il pizzo del reggiseno. Si guarda allo specchio, applica il rossetto rosso fuoco per nascondere la dolcezza delle labbra ed è pronta. Torna in sala per trovare la sua preda. Sì, perché è questo che lei fa, ubriaca i sensi fra le braccia di uno sconosciuto per saziare la sua fame di sesso, senza coinvolgere mai il cuore.
Diego le va incontro, un sorriso imbarazzato mentre la saluta – Ciao Livia, posso offrirti da bere? -
Lo guarda a lungo, indecisa, ma poi pensa: - Perché no? In fondo cosa cambia lui o un altro? -
- Devo andare via, vuoi accompagnarmi? –
Escono nel freddo notturno, lui le prende una mano fra le sue, non sa come comportarsi, è sconvolto dal ruolo che le ha visto ricoprire. Livia, l'infermiera perfetta, dolce e premurosa con gli ammalati, professionale e fredda con i colleghi. E poi vederla esibirsi, in quello spettacolo che incendia la mente e stordisce la ragione... no, non sa proprio come comportarsi ora.
Ma lei sa ciò che vuole e glielo dice senza girarci attorno: – Vuoi venire a casa mia? –
E' spiazzato ed euforico, non crede alla fortuna che gli sta capitando. La donna che tutti vorrebbero lo invita ad osare.
– Non desidero altro. –
In macchina le mani si cercano, le bocche si conoscono e il desiderio sale in volute di lussuria sfrenata.
Il portone dello stabile in cui Livia abita offre un muro dove appoggiarsi e scoprirsi. Baci appassionati, una fame divorante che da lei si trasmette a lui. La gonna sollevata, lo slip spostato, le dita che trovano l'umido ingresso e si intrufolano indiscrete e vogliose. E lei insinua i polpastrelli nella sua cintura, scende oltre l'elastico dei boxer, si impossessa del fallo che gli riempie la mano, lo stringe e lo sente pulsare. Se lo appoggia famelica sul pube e si strofina lasciva. Salgono le scale senza staccarsi, gli indumenti aperti e le pelli che si chiamano. Senza preoccuparsi di chi potrebbe vederli, completamente persi in un erotismo che devasta la razionalità. Finalmente in casa, con un piede lei chiude la porta. La cerniera dei jeans di Diego è già aperta, il membro fuoriesce imperioso dai boxer e Livia lo scopre totalmente, si china su di lui e lo immerge nella sua bocca. Si muove velocemente, i capelli gli solleticano l'addome mentre sale e scende, mentre lo succhia e lo lecca facendolo impazzire. Diego, la schiena appoggiata al muro e le gambe che si piegano, si sente trascinato in un vortice di piacere. Lei si alza e lo prende per mano portandolo nella stanza da letto. Gli ultimi indumenti cadono, inutili barriere al loro congiungersi. Lo spinge sul letto e sale su di lui. Due corpi avvinghiati in una lotta antica, carne che si fonde in un delirio febbrile. I ruoli si scambiano: ora è lui sopra che la prende con foga, colpi profondi e spietati che cadono sul tenero ventre. Diego sente il suo bisogno di annullarsi nell'amplesso, il suo prendere e dare senza reticenze.
Senza una parola lei gli chiede di darle sensazioni sempre più forti, sempre più audaci. Lui la fa girare, guarda il suo fondoschiena morbido ed invitante, passa i polpastrelli fra i suoi glutei, sfiora l'entrata, la inumidisce col nettare del suo piacere. Non resiste ai mugolii che lei emette, appoggia deciso il pene e con un colpo di reni affonda fra quelle valli di carne. Movimenti impetuosi, la bocca su quella schiena vellutata, le mani colme dei suoi seni, i gemiti che aumentano di intensità, fino all'apice, fino al parossismo dei sensi, fino a sentirsi risucchiare da quel culo divino che lo avvolge e lo stritola tirandogli fuori l'anima. Gode in maniera incredibile, la inonda di sperma, la sente urlare mentre si riversa esausto su di lei. Il respiro spezzato, il cuore che sembra voglia uscire, la mente persa.
È giorno, Livia aiuta dolcemente un ammalato a vestirsi, un sorriso gentile accompagna il movimento delle mani. Diego la guarda da lontano.
È passato un mese da quella notte di passione, il desiderio di lei è incolmabile. Ma è stata chiara, solo una notte e null'altro. Fredda, professionale come sempre, come se i loro corpi non si fossero mai presi. Lui non desisterà, lui continuerà a cercare di penetrare anche nel suo cuore. Lui si è innamorato perdutamente di Livia.
Livia, un angelo imbrattato di fango che annega il suo essere nella lussuria.
Matilde S.