Nel periodo in cui ero lecita preda di una rivoluzione bislacca, vittima di una convinzione che ho sempre ritenuto universale, all'una del pomeriggio, col cielo color fuoco e controvento, scendevo dal treno, persa nel calcolo mentale della seduzione di una salvezza dai contorni incerti.
Sentivo il mio limite patetico spumarmi addosso come un conglomerato di sofferenze represse, un pesante fardello di stoltezza e di verità.
L'Amore? Un miraggio dei sensi.
L'Amicizia? Puro computo di profitti e perdite.
La Giustizia? Nitida filastrocca per piccoli Infanti.
L'organismo vegano mi cresceva addosso come un vello sintetico e spesso, una sagoma indefinita, tentacolare e camaleontica.
Fasciava quasi il mio corpo, soffocandolo con una sinuosità insaziabile; come materia composta d'organuli urticanti, dal cui abbraccio composito non c'era alcuna via d'uscita.
Inseguivo maldestra una traccia d'effimera incongruenza negli ideali, nei gusti e nelle percezioni; che si rivelavano alla fine, puntualmente struggenti.
Così, all'improvviso, ho scoperto una dimensione di vita irregolare.
La superficie scrostata si poteva arginare, attraverso una danza lenta; la colata planctonica di piacere racchiusa dentro un tramaglio virtuale, in grado di avvicinare e curare due realtà distanti ed asincrone...
Il luogo prescelto è un piccolo caffè fuori del centro, appartato ed elegante.
Appari improvviso e puntuale, quasi disceso dal cielo, dall'unico vicolo laterale sulla sinistra.
Come una sentinella ascolto la tua voce giaculatoria, dal timbro suadente e carezzevole: - Allora sei venuta, non ci speravo... - .
Ti guardo spaurita, sembri un solido Antipatario, il corallo scuro emerso dalla colonia del mio abisso profondo.
Il volto vissuto e sconosciuto, nel nero spinto dei tuoi occhi immensi, dove traspare il crisma del patimento divino.
La mia nuova alternativa di ammorbare il mare con copiosi messaggi incisi dal cursore e custoditi nelle cellule di cristalli liquidi.
Noi due esseri polarizzatori, sempre in bilico in un'epistola strampalata e perpendicolare.
Miro prontamente la tua bocca polposa e lucida, che sta nutrendo l'oro siderale del sole appollaiato sulla sommità del cielo.
In preda ad uno strano smarrimento ignobile, stringo forte al petto la rossa borsetta da viaggio, dove affondo le smorfie porose dei sussulti nell'impasto del cuore.
Entriamo nel locale e ordiniamo qualcosa al banco, con una certa fretta.
Ho come l'impressione che tutti, dentro il bar, ci stiano osservando.
Poi, mi cogli di sorpresa.
- Fa caldo, usciamo? -
La tua frase è davvero un soffio cocente che sento avvampare nelle orecchie.
Siamo completamente diversi, noi due, fianco a fianco sembriamo due alieni.
Tu bello di tuo, altissimo e corvino. E già lo immaginavo.
Io stranita, vermiglia e rialzata.
Di stirpe eucariota, l'essere moltiplicante nelle vescicole e bolle d'acqua mielata.
Ubbidisco. Mi prendi sottobraccio ed io ti lascio fare.
Attraversiamo la piazza ed imbocchiamo il vecchio pontile di legno, per finire sul bagnasciuga.
L'olezzo di salsedine del litorale mi riempie la gola.
Non comprendo bene, ma ho ancora tanta sete.
Ti cammino accanto, con il tronco mendicante dalle gambe tremule, che ghigna senza voce dal recondito.
Ci avviamo sulla spiaggia ed io da brava specie non identificata, comincio a tessere la tela sui miei passati amanti e le loro labbra succose.
Srotolo l'arteria che sa fare duro amore, l'amplesso archetipico con le forme arrotondate.
Porpora e turgore, ventre e secrezioni, a lambire intrecci che scendono giù nella schiena, tradendo l'impatto che il tuo braccio sa cingere, nel torbido racconto che propino senza tregua.
Tu ascolti, in silenzio, strofinandoti in modo impercettibile alla mia anca.
Non puoi ribattere nulla, Lei ti ha lasciato solo e non ci sono argomenti diversi da quelli che mi hai già lanciato, abbracciando al quadrato il mio elaborato intrico.
Fissi la sabbia e procedi, stringendo sempre più forte il mio arto, con le dita avvinte come lacci di cuoio, in procinto d'imprigionarmi.
O di strangolarmi.
Tu vibri, forte.
Io ingroppo la situazione.
La scommessa del nostro incontro induce al congiungimento di due contrari, reso adempibile dal substrato informatico espanso, il gemello disidratato del mio mondo d'umidità permanente.
Imprimendo le nostre orme sulla sabbia, già sospetto e gusto i pettorali torniti, i bicipiti, le costole, i capezzoli che s'induriscono, i peli, le vene nell'incavo dei polsi, il cuore che batte, il sangue fluido scorrere sui segreti.
Arriviamo alla prima rada di scogli, quando mi accorgo, improvvisamente, che cambia il flusso del vento.
Mi spintoni oltre il rigagnolo d'acqua, spogliandomi con una zampata.
Rimango come un coniglio scuoiato, che si divincola guizzando di desiderio.
Cerco bramosa la tua gran lingua da mordere, noncurante dell'accozzaglia di rocce dal peso inutile, tracimate dal nostro ondeggiare.
Vorrei gridare il martirio, quando tu ti liberi degli indumenti bassi e mi scopri una verga gigantesca, che non riesco a quantificare in misura e spessore, nonostante la matematica e la scienza siano una mia personale distinzione.
Si accentua la foga e lo prendo tra le mani commossa.
Striscio il roseo cannone lustro, un maestoso animale d'amore che ancora non so di meritare.
Apro la bocca e tu mi accarezzi i capelli.
Impenno nel tuo odore fermentato di sesso, ingioiellando i fitti riccioli bruni con un movimento rotondo e delizioso di suzione.
Avvitata nel tuo prepuzio a spirale, emulo il corallo rosso prezioso, con le unghie color madreperla aggrappate alle scosse vitali e leggere, sottopelle.
La risacca accompagna i nostri respiri ansimanti.
Come un anemone di mare caramellato in un corpo languido vischioso, mi ritrovo carponi, con le mani e le ginocchia gettate a terra.
Mentre tu mi circondi i fianchi con le braccia e ti rifugi nei seni,
straripa il delirio nel mare della soddisfazione.
L'incedere sta attraversando il mio ingresso gonfio d'eccitazione, mentre si riempie la bocca villosa di una ricca schiuma di passione.
Come un polipo rovesciato, spalanco gli orifizi con l'ardore d'inghiottirti.
L'anguilla che sloga l'avversario, assaporando il rischio dell'intimità profonda.
Tu gemi, balbetti qualcosa, mentre io con la vulva rosata, sto già programmando una crudità eccelsa, l'atto violento e sublime che già pizzica al palato.
I tuoi occhi mi piombano addosso e sciogliamo i nodi nei punti luce sul pelo dell'acqua.
Tre solchi sottili sul collo lasciano una traccia densa, nivea e vischiosa.
Amore Amicizia e Giustizia confluiscono insieme, nella dimensione fluttuante delle nostre stanze, delle chiacchiere e finalmente della pienezza tonda delle tue spalle che piegano sul mio intimo.
Ritraggo gli aculei ed evaporano i veleni.
Di fronte alla giungla ambiziosa e impotente dell'autismo virtuale e mediatico, so già che domani non sarai più il mollusco immaginario, ma un furioso e gorgogliante pesce.
Mi accoccolo nella traccia corporea instabile dei nostri corpi, aspersi da una maschera argentea, fusa e melliflua.
Come un'attinia cullata dall'onda benefica, distendo i miei boccoli e allento le prese.
Per tramutarmi in fiore.
E bere assetata, tutto d'un fiato, la Coppa salata del tuo Amore.
Rossogeranio