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Racconto n° 2927
Autore: Madamesnob Altri racconti di Madamesnob
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La sangre y la ceniza
Non sento nemmeno il freddo. Cammino lenta dietro a quest'uomo che non conosco né m'interessa conoscere. Si sta pavoneggiando. Il completo scuro gli dona, il colletto immacolato della camicia mi ricorda la gorgiera bianca di certi avvoltoi, un lampo di luce raffinata a sostenere il capo irrequieto.
La giacca non ha nemmeno una piega; alzo lo sguardo dai miei decolleté in vernice nera e mi perdo sulla cucitura centrale che s'increspa appena ad ogni suo passo, ricordandomi la forza della sua schiena, la fermezza della sua anima imperturbabile.
Mi sono lasciata guidare docilmente da subito, appena scesi dall'auto, e lui, generoso, evita di strattonare troppo la catena sottile che mi tiene legata al suo polso. Il collare m'impedisce di deglutire normalmente: ogni volta che ingoio la poca saliva che mi si forma in bocca, sento la pelle premere fastidiosamente sul cuoio duro. La fettuccia è alta circa quattro centimetri e l'anello da cui parte la catena è proprio sulla mia gola, a ricordarmi di tenere la bocca chiusa, o meglio socchiusa, ma con le corde vocali inermi, obbedienti.
Non ho faticato molto a trovarlo. In realtà non sono stata accurata come al solito nella mia ricerca. Volevo soltanto fosse implacabile, e possibilmente un professionista. Non volevo domande, chiarimenti. Soltanto una risposta risoluta, meglio se insolente.
L'ho incontrato durante una pausa pranzo, gli ho chiesto di levarsi gli occhiali da sole. Volevo avesse occhi taglienti, che mi sapessero togliermi la voglia di lottare. Lui mi ha osservato incuriosito, ma poi la sua mano si è chiusa con forza sulla mia spalla mentre la sua voce arrogante m'imbrattava d'oscenità gli orecchi.
Da quel momento gli ho lasciato le redini: ha deciso lui come, quando e dove. Certo la mia offerta via mail ce l'aveva bene a mente, ma posso dire di avergli lasciato carta bianca sulle modalità.
Io volevo soltanto che la mia mente, il mio cuore e la mia anima si piegassero. Desideravo che qualcuno stringesse la mia volontà in una morsa fino a toglierle ogni possibilità di rivalsa. Anelavo il dolore cicatrizzante del fuoco, l'annichilimento di una mente vuota, privata di ogni capacità di discernimento. Non volevo rinascere come la Fenice, ma rimanere cenere, spegnere ogni emozione.
La porta del locale si apre silenziosa, un uomo alto dal naso affilato e le labbra sottili mi osserva compiaciuto, indugiando sul pube, sui miei capezzoli ritti per il freddo e sulla pelle tatuata del mio ventre che sembra ritrarsi per proteggersi istintivamente. Ci fa strada lungo i corridoi bui. Una luce rossastra proviene dal fondo; mi sto smarrendo nei riflessi rubino che disegna sulla mia pelle nuda. Vedo i brividi rendere incerto il mio incedere e mi sforzo di restare ferma. No, così non funziona, la ragione non deve agire, voglio che dorma, che si spenga. Smetto di lottare e ricomincio a tremare vacillando sui tacchi alti. Si sente un vociare distante, un mormorio che cresce a mano a mano che ci avviciniamo alla luce scarlatta. Pochi attimi prima di entrare il mio sconosciuto tende la catena facendomi oscillare pericolosamente, poi ne fa un doppio giro attorno al polso, si sposta leggermente a destra e, con un bagliore sinistro nello sguardo, m'introduce agli astanti.
Una nausea improvvisa mi chiude lo stomaco mentre decine di sguardi ripugnanti iniziano a scavarmi il corpo. Lui mi strattona ora, mi costringe a cadere sulle ginocchia, ad esporre le natiche agli occhi più torbidi. Alcuni si avvicinano, piegano la testa di lato per studiare le mie pieghe, per violarne l'intimità con lunghe occhiate turpi. Nessuno osa sfiorarmi, soltanto lui preme un palmo aperto al centro della mia schiena invitandomi ad inarcarla, ad aprirmi maggiormente.
Il pavimento è ruvido, ho le ginocchia già rigate e le mani sembrano essere incollate al suolo, incapaci di proteggermi. Con un cenno dà il via libera ad uno dei presenti. Non lo voglio guardare, lui ha abbastanza occhi per entrambi. Serro le palpebre mentre aspetto il contatto: due dita unite s'infilano direttamente nel mio sesso. Cerco di rilassarmi, di avvolgerle senza stringerle, di concentrarmi sul piacere di quella profanazione, ma non va. Voglio dolore non piacere.
Qualcosa o qualcuno percepisce il mio bisogno prima ancora che riesca a formularlo nella mia testa. Una stilettata secca m'infuoca le natiche, mentre le dita continuano a scavarmi dentro. Le mani si moltiplicano, non so più quante sono, sento saliva colarmi sulla nuca, membri molli strofinarsi sul viso, sessi duri spingersi in ogni fessura. La bocca mi si spalanca malamente, carne straniera mi porta via il respiro.
Finalmente il mio corpo si dilata, perde i propri confini. Sotto le spinte violente dei miei vessatori il sesso mi si schiude gocciolante, il culo si divarica inopportuno e la bocca inghiotte lasciva, affamata di fetide volgarità.
Soltanto gli occhi rimangono lucidi e puri sotto le palpebre chiuse. L'immagine di Te non accenna a sbiadire, ma la mente, martoriata, finalmente incendia il Dolore dell'anima.
Nell'espirare quell'alito di fuoco riesco persino a sorridere alle ceneri del cuore.

Madamesnob

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