Ho messo giù la cornetta in modo violento, come se volessi infilzartela nei coglioni: non sopporto più la tua supponenza e la tua gratuita arroganza né riesco più a sostenere il peso dei tuoi pensieri così bui, appassiti, così apparentemente pieni di polvere.
Non so dove ti sei perso; certamente nei miei pensieri sei altrove, come un ricordo lontano, ma non qui con me.
Non ci sei mai, neanche quando sei presente fisicamente. E sempre mi chiedo dove sia la tua testa, dove il tuo cuore: mi sembrano l'una lontana dall'altro, scollegati senza possibilità di parlarsi tra di loro.
Mi accendo una sigaretta e la fumo dentro casa, così il suo puzzo, a te che non fumi, darà fastidio quando rientrerai più tardi, e manifesterai il tuo scontento pesantemente.
Come sempre.
Poi ci ripenso ed esco sul balcone della cucina così posso ammirare il cielo con le sue chiassose rondini volteggianti e la gente che formicola lì sotto.
Sono attratta dalle persone: mi incuriosiscono, da loro prendo quel che sanno dare che poi trasformo in vita vissuta, lunghi attimi da paragonare ai miei; mi approprio delle loro parole e delle loro esperienze che faccio mie e mi incantano ancora come una bambina - a me che ho oltrepassato da poco i 50 anni.
Mi chiedo, da sempre, come io possa essere rimasta così pulita dentro nonostante la vita non mi abbia regalato niente. E' come se le sofferenze, le umiliazioni, i dolori non mi abbiano peggiorata, bensì elevata a tempo pieno ad un livello superiore a tutti, oltre tutto. Non che sia una superficiale, tutt'altro. Mi piace perforare le persone, conoscere i loro segreti, sprofondare nelle anime altrui, aprire porte sprangate e bagagli intatti che si portano dentro. E' come guardare una carta geografica dove trovo altri luoghi, sconosciuti anche ai - portatori sani - e con essi mi inerpico in territori ancora inesplorati.
Con te è difficile viaggiare in questo modo. Sei sempre, costantemente, pervicacemente chiuso a tripla mandata su te stesso. Non lasci entrare nessuno né apri mai quelle porte che vorrei oltrepassare e possedere come un regalo inaspettato.
Ogni tanto socchiudi l'uscio e, quando tento di entrarvi, me lo richiudi più o meno educatamente in faccia. Più o meno, così come quando vuoi chiudere un argomento che non ti piace, sibilando un - non ho nulla, tu sai a cosa mi riferisco - .
Stronzo.
Ci sono state notti che ho passato in bianco immaginando la tua morte e tu non lo sai. Volevo annullarti ed inventarti di nuovo, ma mi sono resa conto che non sarebbe stato possibile sottrarti a nostro figlio e passare in galera il resto dei miei giorni. Soprattutto non sarebbe stato giusto nei miei confronti.
C'è stato un momento nella nostra vita in comune in cui mi sono ritrovata possessivamente gelosa di te e ora che le tue percussioni si sono affievolite non so riconoscermi nell'immagine della gelosia. Forse adesso ti vedo con altri occhi, forse i miei occhiali non sono più come allora, dopo che tu hai sostituito le lenti regalandomi un uomo del tutto diverso dalla mia realtà.
Eri dentro di me, in tutti i sensi.
Adesso sei fuori da me, in tutti i sensi.
Eppure, tutti ci vedono come una coppia affiatata, coesa, armonizzata.
Uno dei proverbi popolari recita che - chi si piglia si assomiglia - e anche se fisicamente abbiamo pochi tratti in comune, c'è una sorta di morbida somiglianza tra di noi dovuta agli anni trascorsi insieme durante i quali - la scienza ci insegna - i tratti somatici si sono adattati gli uni agli altri.
Getto distratta il mozzicone della sigaretta spingendolo rabbiosamente con il dito medio, come fanno gli uomini, e mi rendo immediatamente conto che la traiettoria fa sì che il mozzicone sfiori gli indumenti messi a stendere dall'inquilino del piano di sotto. Un gesto che a te non piace perché è poco femminile e che, secondo te, non mi appartiene.
Quanto poco sai di me; quando poco vuoi sapere di me.
Tutte le volte che ti ho raccontato qualche episodio della mia infanzia, quando ti ho fatto partecipe delle mie emozioni di allora mi hai sempre riservato un'apparente attenzione: uno sguardo a me, uno sguardo alla televisione.
Cazzo.
Quando ti ho conosciuto non mi eri sembrato così egoisticamente distratto: mi piaceva il tuo sguardo di cioccolata, la morbidezza delle mani che ti ho sempre invidiato, la timidezza che ho poi scoperto, negli anni, essere una naturale mancanza di iniziativa, un'assenza di curiosità verso un mondo altro da te stesso.
Un persistente narcisismo che non mi si è rivelato nemmeno quando ho scoperto il tuo primo tradimento perché, secondo la tua traduzione, io non ero mai stata messa in discussione e il sentirmi ancora la prescelta mi aveva onorata. Come la prima volta, scelta tra tante altre donne ancora.
Quando mi entravi dentro, lo facevi profondamente nell'anima oltre che nel corpo e di me godevi l'intensità di donna, totalmente offerta alle tue mani sapienti e al tuo sesso bollente.
All'inizio non c'era, né c'è stato in seguito, un pezzo di me che non ti abbia spalancato: le cosce, il mio sesso goloso, la mia bocca. Mi hai succhiata ed io ho ricambiato, grata e piena, serenamente appagata.
Dentro e fuori da me.
Rientro in casa e mi accorgo che è quasi ora di cena.
Gli alimenti che trovo in frigorifero mi suggeriscono di preparare una cena per me e mio figlio.
Tu non ci sei. Tornerai tardi e non ti lascerò niente, perché tu non hai mai fame.
Di nulla più.
L'assenza di qualsiasi emozione vitale mi ti fa immaginare come l'ammalato cui staccare la spina. Ma ti farei un favore, perché saresti libero di pensare solo a te stesso.
A questo penso durante la cena allegra: mio figlio riesce sempre a farmi ridere di tutto e in lui ritrovo la parte migliore di te. Scampato pericolo, almeno per ora. Speriamo non si rovini nel crescere.
Le immagini della televisione si replicano nella mente mentre guardo, quasi assopita sul nostro letto, un thriller adrenalinico. Mi rendo conto che mi sto infiltrando nella mente dell'assassino e la vicenda mi afferra anche se penso sia strano che l'adrenalina mi faccia addormentare anziché rendermi vigile.
- Lo rivedrò un altro giorno, adesso ho sonno – penso, mentre il sonno mi porta via.
Non ti sento rientrare, né mi accorgo che accendi la luce, che togli via il gatto, comodamente infilato sotto le coperte, che vai in bagno, che mi sfili il telecomando dalle mani.
Avverto solo un senso di calore intenso lungo la schiena, fino a raggiungere l'incavo delle ginocchia giù fino a raggiungere i piedi. Questo sì, questo mi rapisce dal sonno anche se per poche frazioni di tempo.
Non mi entri dentro, non infili il tuo sesso nel mio, eppure quello che avverto è il mio senso di appartenenza nei tuoi confronti, una sublime percezione di due persone che vivono in simbiosi, oltre ogni incomprensione, ogni tradimento.
Non ci sono vittime, ma solo complici inespressi e silenziosi della propria vita nella quale entrambi si vivono dentro e fuori l'uno dall'altra.
Così ti sento, ancora, fuori e dentro di me.
Enchantra