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Racconto n° 2949
Autore: Rossogeranio Altri racconti di Rossogeranio
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La pioggia di ciliegi (dialogo con il Poeta)
Ho respirato a fondo e mi sono passata le dita sulle palpebre, come per cancellare un'illuminazione.
La Poesia che ho letto, mi ha mozzato il respiro.
Da te mi sarei aspettata qualsiasi cosa.
Nel campo del precetto, dell'erotismo e della pazzia.
Ma una Lirica così saggia, umile, semplice e delicata, nutrita d'Amore e di generosità, non è legittima al valore e al contegno di un Silenzio Sorridente.
In una concezione come questa, dove per gli uomini è più importante spendere tempo e impegnarsi in un assegno, più che in una Prosa.
E tu, con tutta l'ammirazione che mi suscita la mistica sociale, sei un Poeta.
E io? Una trascurabile Fata Ignorante.

E' vero.
Nell'articolarsi dei nostri momenti, ci diamo aliti, attingiamo degli stessi miti e alla fine consumiamo in sintonia.
Forse non abbiamo mai smesso di sorprenderci di fronte al grande spettacolo dell'esistenza.
E questi versi infertimi a freddo tra la pioggia di posta che esplode ogni giorno sul mio outlook, sembrano gocce di sangue reali tra le tristi mail degli avventori.
Consumatori di sogni, con i quali non faccio altro che prendere atto dei loro stati d'avanzamento e regressione verso un'assoluta e indiscutibile terminazione che li attende.

Per una scalognata come me che si deve reinventare tutto, dal principio, la nostra corrispondenza è maglia solida e preziosa che va insieme a guarnire e ritessere il mio Senso lacerato.

Io dedico a te, per me stessa, cercando di rimuovere quella cronologia che può tenerci distanti.
Lo so, non è necessario, ma nell'egoismo che mi affoga ti rispondo: - E' utile - .
C'è già l'ordinario a strozzare con brevi e avversi spaccati il debole mediano.
E' lecito che cerchi di cacciare la fanatica solitudine che mi sono meritata.
Poiché tu sai, non sono una donna facile.
Isolata, fantasiosa e dominante.

Ma i conti da un po' di tempo non tornano.
I dolori che ho vissuto, giudicando in successione, li ho nutriti come sofferenze allo stato brado, scatenando speciose e barbare sollecitudini.
Alibi feroci per punizioni ambigue e irrevocabili.
Come una bestia geniale, ho solo imparato ad assegnare cariche emotive all'aria e alle persone che la respirano, per scoprire i punti cardine del destino e del disgusto.
Nel silenzio mortificato ho conferito tutte le mie valenze e potenze sprezzanti, per lasciarle sospese e arrese sulla massa indifferente della quotidianità terrestre.
La preda indecorosa del distruttivo battito del pendolo maestro.
Ma sono stanca di questa eco che mi perseguita nel suo stato più puntuto.
Il colpo di frusta fatale che costringe a mantenere alta la tensione raggiunta.
Vorrei rilassarmi un poco.
Non guardare troppo avanti, né voltarmi indietro.
Non rimanere sempre sull'attenti, in agguato.
La sentinella con l'utilizzatore nervoso lanciato in quinta marcia a parare e sparare i dardi infuocati del sole.
Io cerco la quiete.
Io voglio calore.
Dialogando da te.

Come vorrei che il mio funesto orgoglio facesse irruzione come un'onda immensa in una cattedrale di schiuma e mi annullasse nella sintesi della fonte finale!
Appartenere solo a lei ed ai suoi abissi fulminei e insondabili.
La lava pura che cancella i rictus meccanici della bocca e i colpi asincroni del mio cuore matto, per restituirmi alle parole sfavillanti e pure dei riti giovanili.
Quando immergendomi nell'avvincente canicola della notte o giorno di mezzo stemperavo ardori bollenti dalle viscere, per esprimerli in un solo selvatico verso:
- Ti amo, cazzo! - .

Adesso no.
Non è più possibile.
Le pagine che scrivo richiedono il mio impegno ermenuetico e la mia massima ponderazione.
Fin dove il mio acume può arrivare, ne faccio lettura infantile e prammatica.

Le tue frasi fresche e appartate suggeriscono un soggetto sensibile ed extrapoetico: tu.
Che prometti di fagocitare in concreto e reale due essenze ispirate e radicali: noi.
Ossia, il mare come altoparlante lirico e l'uccello di passo che si sazierà dei resti che potrò offrirti.

Il foie gras delicatissimo che proponi mi piace, ma supplisce un banchetto che hai già brevettato.
C'e' sempre qualcosa di penetrante nelle mie visioni, che poi è rigenerato e assolto nel sostrato dei miei messaggi.
Io resto così.
A prisma policromo semplice, manifestando attraverso un'esperienza trasversale rivelatrice, l'equo iperbato di metafore e allegorie a collegare passato, presente e futuro.
Lo sento.
Malgrado cerco sempre e ovunque di nascondere la mia contorta banalità.

Sì.
Sei l'uomo sbagliato.
Avvicendarmi alle tue Opere o ai ritratti di splendide principesse egizie è un compito troppo arduo e complesso per me pugnace.
Io rimango destinata a vivere in una dimensione allargata, quella che nessuno conosce.
Vittima della mia spaventosa duplicità, che spesso mi rallegra, mentre dovrebbe spaventarmi da morire.

Ma con te i ciliegi si sono di nuovo aperti.
Il tuo fascicolo di liriche sono cerchi rossi, rassicuranti.
Illuminano lo schermo con il vermiglio dei loro frutti solidi e corposi.
Man mano che avanzo nel tuo frutteto, il rilievo si apre protettivo in note a me care e sconosciute.
Nei distinti folti secolari della tua vita autografata, sfacciata, diseroizzata, saltello felice e furtiva, nell'ebbrezza di un dizionario lussureggiante e saporoso.

E' vero, siamo diversi, totalmente forse.
Nessuna affinità con le tue opere, anche se in parte le condivido.
Ma se questa forza e questa ostinata veemenza continua a perseguitare, a spingere dalla tua parte, oltre il possibile, al di là del visibile, un motivo dovrà ancora nascere.
Le strade vanno esplorate e assolte prima di far saltare l'equazione del desiderio e del piacere di essere Complici, Amanti e perché no?.
Nemici.
Tutto o niente.
Perché così dev'essere.

Nell'esegesi finale scrivo: la febbre che fingo comincia ad essere reale.

Non so andare oltre, adesso.
Mi chiamano.
Mi chiamano sempre.
Per raccontarmi di tutto.
Tranne,
qualche chicco purpureo di follia.

Luce.

La tua Poesia.

Rossogeranio

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