Frena di botto. Sosta al primo pertugio. Il tubo di scappamento sbuffa sul pietrisco. Il ferrovecchio cigola lamentoso le nostre some.
- Scendiamo? - mi domanda, mentre tira il freno a mano con violenza.
È brusca, con un corpo da reato.
Attraversa la strada buia. La seguo lentamente, accaldata da uno Scirocco ardito.
Ha fasciato il culo in uno shorts di cotone nero, con le taschine ripiegate e sigillate da bottoncini antracite. Le gambe svettano nodose e brillantano la notte con un'abbronzatura lucidata dall'olio di cocco.
Il golf mi si incolla addosso e il pareo si incespica fra le gambe.
Lei si volta, in attesa. Mi guarda interrogativa, con occhi acquosi verde menta, fra gli zigomi ossuti e le efelidi vivaci.
Mi sento sudare fra le cosce, laddove la carne si fa più generosa e succosa.
Affretto il passo e la raggiungo.
Carica con virilità maschia la torcia elettrica, mentre il petto voluminoso le si gonfia per lo sforzo, sotto la nera trasparenza organzata.
Trema come una bestia all'ammazzatoio e la vedo mordersi il cuore delle labbra sotto gli incisivi minuscoli e sensualmente accavallati.
- Che ti succede? -
- Ho paura! - mi risponde con un rantolo indifeso.
Un sentiero pietroso si apre dinanzi ai nostri occhi, contornato da ulivi secolari e fichi d'India maestosi. Il mare mugghia disperato al fondo della vallata, nel buio intemperante d'agosto.
Il vento procede nello sciabolare sferzante i suoi lunghi capelli neri ed il profumo inebriante della lozione riparatrice per doppie punte si mescola al salmastro acuminato e goloso.
La guardo, estatica.
- Smettila - la rimprovero - i ragazzi ci aspettano! -
China il capo, quasi l'animale l'avessero sedato prima del colpo fatale.
L'afferro per un braccio.
Io non ho paura.
C'è lui ad aspettarmi.
Pretendo di raggiungere la caletta selvaggia.
Voglio arrivare da lui.
E intanto mi esilaro della mia compagna d'avventura. Della sua bastarda bellezza incastrata nelle movenze incerte.
Il silenzio troneggia nei nostri timpani e il respiro di lei dilata il mio eccitamento.
In questo braccio dimenticato da Cristo, la bestia selvatica mi struscia accanto, incespicando nel voile che mi rende difficoltoso l'ancheggio.
Illumina ogni angolo di spaccata campagna, con gesti concitati, orfani di eleganza e cura.
Il capezzolo del suo seno sinistro, duro, impaurito, immenso, mi sfiora intermittente il gomito.
E poi ancora scende, col fascio azzurrato, a rischiarare il selciato. I piedi callosi si confondono con le nodosità delle radici. La natura l'ha plasmata d'argilla, questa donna, l'ha immolata a sacrificio, questa spudorata vergine immacolata.
Una nube arancionata sagoma il quarto di luna. Il buio pesto è ormai franco di divorarci.
Sento il suo cuore recalcitrare un timore ancestrale e il mio danzare furibondo di passione e trepidazione, desiderio e rischio.
Il proibito mi scivola nelle vene, langue nelle arterie, lubrifica le stonate sinapsi.
Sono satura di un sangue di fiele, malato e vizioso.
- Chiamalo! - mi implora, mentre il sentiero viene strozzato da un'umida pineta - Chiedigli di venirci incontro! -
- No! Non voglio. Sono una pazza - , mi ripeto - una pazza, schifosa e viziata. Voglio lei e la sua angoscia, voglio lui e la sua carne sconosciuta, voglio tutto! -
Me ne infischio del pericolo, del buio fasciante, del silenzio stordente e di tutto ciò che essi possono celare, allevare, produrre, esacerbare, abortire.
Amo questa funesta collera che mi imbriglia lo spirito, che mi fa brulicare gocce di sudore indefesso lungo il corpo. Amo la Parca che tesse i filamenti più deboli della mia esistenza e la complice e vorace Tracotanza che li rende miei padroni.
Una nuova luce artificiale investe le nostre pupille.
È lui.
Sussulto indemoniata.
Risale il bosco odoroso a gran falcate.
È l'allegoria malefica del naufrago.
La bestiola che mi respira accanto si risveglia dal torpore. I suoi muscoli si anchilosano dopo esausta tensione.
Intanto lui apre un sorriso sottile, bianco, tagliente, a guisa di falce furbina, segandoci i ventri.
Ci invita a seguirlo, con una mano tesa a fare elemosina delle nostre bramosie.
Guardo lei.
È improvvisamente rilassata, stranamente compiaciuta.
Mi supera, segnando in anticipo il cammino che percorrerò io.
Procede spedita, seguendo il corpo di lui, contratto dall'impervio cammino.
Io rimango dietro a rapire avida quel confuso gioco di seduzione, fatto di una mandorla faticosamente concessa, di una verga tesa e vagabonda, di essenze ai micro olii di frutti e di salsicce alla brace.
Rotolano ora fianco a fianco, lei a piangere la sua rovinosa ansia e lui a correggere maschio le debolezze femminee.
Li adoro così, nell'immediato quadro traditore, con le carni che sussultano e si dolgono d'ogni ostacolo.
- Li voglio entrambi! Voglio le loro paure e le loro confessioni! Voglio i loro afflati e le loro eccitazioni! Ho bisogno di questo connubio di corpi rudi perché possa vacillare, rabbrividire e avvampare. -
Mi ripeto, sgranando il rosario fittizio dei miei pensieri.
E una rugiada calda va brinando le mie mutande.
Raggiungiamo il resto del gruppo.
Intorno al fuoco crepitante del falò ardono una decina di anime sconosciute e fintamente liete del nostro arrivo.
La - Grande Sauterelle - che mi accompagna, si adopera cerimoniosa nei convenevoli.
Io assesto le mie generose grazie su una pietra levigata dal mare.
Osservo il sangue equino fare rivolo sulla griglia incandescente, il fuoco sprigionare odalische danzanti sul pelo dell'acqua marina.
Un paradiso obliato ed aspro fa da sfondo ad un rituale di plasma e terrore.
La dolce ninfetta mi si accomoda di fronte. Il fuoco ne staglia indecente il profilo.
- Ti amo - confesso silente a me stessa, - amo le tue gambe da gazzella, incapaci di correre, amo quel culo rotondo e scolpito, incapace di mandare in rovina, amo i tuoi seni grossi e ciondolanti, incapaci di soffocare. Amo le tue paure palesi e le tue seduzioni goffe. Amo la tua verginità e i tuoi tremori, sotto vestiti fintamente succinti. Amo la tua non conoscenza del maschio e la tua volontà di copiare, sempre, le altre.
Resta così, - Grande Sauterelle - , come la donna di Poulin: meticcia, commista, mescolata.
Nascesti per la confusione e la fusione compulsa.
Radicata con nostra Madre Terra, insegnami a non cedere al peccato. Tu sei l'essenza della purezza. Ti hanno liberata: nessuno oserebbe inzaccherarti il vello di sangue.
Mi volto e lo scovo seduto all'indiana, a pochi centimetri da me.
Formiamo un triangolo perfetto.
Gli altri solo a puntinare il candore di una nuova pagina del quaderno di geometria.
Mi scruta.
I suoi occhi cerulei postulano un perdono subdolo.
Sorrido con l'angolo della bocca assetata.
Di sesso, credo.
- Scopami - gli urlo muta - scopami con quella carne che ancora non conosco e che centellina il mio cervello. Legami come una scrofa nell'abattoir, ma non sedarmi: voglio essere cosciente, vedere, sentire.
Voglio essere l'ultimo pasto di un naufrago senza zattera, privo di servitore e speranze. Pretendo di essere consumata nel primitivismo di una vallata malevola, ove il canto delle cicale mi stordisca, gli aghi di pino mi graffino le nudità, i sassi mi tumefacciano gli anfratti. -
Mi afferra il collo, con un solo morso mi atterrisce. I denti aguzzi mi penetrano la pelle.
Lei mi guarda, incupita, sotto lo stramazzo.
- Da te ho solo da imparare, gazzella! Non tremo più, aiutami! -
ElisaN