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Racconto n° 3114
Autore: Erato Altri racconti di Erato
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Del vuoto
E ancora carne e dita e vuoto da riempire...

La camera era immersa nel silenzio; le tende leggere di seta, appena attraversate da una tenue luce, filtravano il loro damasco sul candido delle pareti e del lenzuolo.
La percezione del tempo tardava a impadronirsi della sua mente e lei si godeva lo stato di beato torpore che sembrava invaderle le membra.
La mano scivolò lenta lungo il ventre e s'insinuò leggera, riempiendole la testa di immagini, di sogni, d'eco sonnolenta della notte.
Dietro le palpebre chiuse un tormento sequenziale di colori e poi il Nero...di Lei, su tutto...totale e avvolgente come l'inferno.
Le dita iniziarono a danzare, quasi fossero esile ed esperto tratto di un Degàs sconosciuto.
Il maestro di danza: la mente e i suoi pensieri.
Ferme dietro gli occhi oniriche ossessioni e ancora nero, in dissolvenza a entrare, dileguato in fiamme di porpora su un volto e poi su mani, ciglia, sguardi che cedono il passo in un ritmo ossessivo.
E poi ciocche, bocca, pelle, l'acciaio sulle dita, lunghe, sue, veloci, abituate e perfette.
Affondò dolcemente nel lago del suo piacere e dei suoi pensieri; sentì la schiena inarcarsi, i muscoli contrarsi nello spasmo lieve dell'accoglienza desiderata.

E ancora carne e dita e vuoto da riempire.

Aprì le gambe come in un abbraccio, le sensazioni si moltiplicarono.
I seni incredibilmente pronti ad accogliere carezze, sediziosi e irti contro la seta delle lenzuola, respiravano quasi il loro muto orgasmo.
Due mani immateriali si posarono a carezzarli, una lingua senziente ed affilata a leccarli, a morderli piano, a integrarli tra i denti bianchi e perfetti fino a farli scomparire in un sorriso accennato sul loro apice di rosa.
Le riconobbe quelle mani, nel veloce destreggiarsi di penna, nell'esercizio di carezza, nel vizio che profana anche la mente.
Venute da chissà quale spazio siderale a darle piacere, sfioravano, prendevano e pretendevano in un oceano di costrizioni dolci, di baci sussurrati e di parole oscene lasciate lì a dondolarsi tra i seni e le pieghe morbide del collo.
Sapeva che non avrebbe resistito a lungo.
Il pensiero di Lei continuò a farsi strada, assumendo le sembianze concesse dalla fantasia ai suoi occhi.
I polsi legati, intrappolati sopra la testa, tra le mani di Lei.
E' quasi orgasmo.
E ad un tratto la voce. Quella voce. In grado di scardinarle l'ordine precostituito del DNA, di forzare ogni resistenza, di istruirla sulle parole chiave del messaggio criptato, di attraversarla da parte a parte fino a ucciderla.
Si stravolse il senno con i suoi - Guardami... - seguiti da un‘alba d‘alfabeto simile e complesso nella disgrafia eccelsa del nudo contatto della loro mente.

E ancora carne e dita e vuoto da riempire.

Il meccanismo dentro/fuori si era vestito di poesia, dell'ossessivo scriverne , del reiterato piacere nel cantarne i versi.
Godeva di un'immagine soltanto e delle sue mani doppie, del suo sentire, del suo vedere, del suo crederlo possibile.
Il respiro ammainò vele di coscienza una sull'altra e divenne sintesi del cielo.
Sfilò le dita e quasi pianse di malinconia.
Risalì lungo la strada che aveva pecorso e le portò alle labbra.
Il contatto di lingua fu una scarica d'adrenalina che le aprì la ragione sull'abisso imperscrutabile dei sensi.

E ancora carne e dita e vuoto da riempire.

- Toccami... - le sfuggì dalle labbra semichiuse...e in quell'unica parola c'era tutto il senso dell' attesa, della voglia che aveva di Lei, sovrana bambina del regno pericoloso dell‘appartenenza.
Il culmine onirico la stravolse sorprendendola ancora una volta nell'arco intrigante della sua schiena; gli occhi, quegli occhi screziati di male,in perversa simbiosi le bagnarono l'anima.
Sulle dita, sulla bocca, silenzioso un nome a sostenerle l'attimo di intenso abbandono.

Di Te anima intorno
il vento
l'odore rosso delle fragole
e quel sapore lento
di intrise lacrime d'amore
Tu sei
e io non posso ormai
nell'orbita concava di stelle
che di Te vivere
che di Te morire

Erato








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