Il mantello amico della notte l'avvolgeva nel suo freddo stellato. Il rumore dei suoi tacchi sull'acciottolato di quella stretta via del centro riempiva il silenzio del ritmo dei suoi pensieri. Era sola. Condizione che conosceva bene e, che amava in fondo. Del resto doveva fare una scelta. Una scelta che avrebbe cambiato le cose. Spostato gli equilibri. E doveva farla prima che l'alba arrivasse a scacciare le ombre che amava. Conosceva la direzione. Aveva valutato le conseguenze. Lo avrebbe avuto. Il sangue le cantava nelle vene al solo pensiero. Era la prima volta che le capitava di desiderarlo. C'erano stati altri. E altre. Era naturale per lei. Il suo carisma la guidava nella scelta. Chi sceglieva di appartenerle aveva sempre qualcosa di speciale. Ma lui, quello strano ragazzo dagli occhi cangianti. Lui era stato diverso. Particolare. Da subito. E lei aveva saputo che lui l'avrebbe spinta oltre se stessa. I limiti non avrebbero più avuto senso.
Ecco, perchè ora camminava sola nella notte. Si era trovata a desiderare ciò che mai pensava sarebbe arrivata a volere. Un segno. Il segno di lei. Sulla pelle di lui. Non doveva essere un segno qualsiasi. Non lo avrebbe tollerato. E neanche doveva essere temporaneo. Nulla in quello che lui le faceva provare era tale. Lei lo voleva con una ferocia senza requie ne fine. Non trovava pace. Se non quando le urla di lui le riempivano l'anima e il calore del suo corpo offerto l'avvolgeva.
Era ferma adesso. La luce di un lampione molato l'avvolgeva facendo risplendere i suoi corti capelli corvini e accendendo di mille riflessi lo splendore amaranto del suo vestito di seta. Mentre un brivido l'attraversava al ricordo del calore impertinente della lingua del ragazzo tra le sue cosce aperte si era stretta nella stola di visone.
Era fuggita dall'ennesima festa di Tina. Era stanca di trovarsi a ripetere sempre gli stessi gesti. Ormai i corpi efebici che l'amica le buttava costantemente tra le braccia durante le sue famose "corti amorose" non le suscitavano più nulla. La sua mente era concentrata sul ragazzo. Meglio il giovane uomo. Come senz'altro lui sentiva di essere. La cacciatrice in lei anelava ad azzanargli il collo. Voleva il sangue.
Lo sferragliare improvviso in fondo alla via di quella città del nord che da sempre lei sentiva come casa la riscosse. Eccolo. Bene sarebbe arrivata prima. Non aveva voglia di cercare una carrozza nella piazza deserta. E l'auto che il conte le aveva regalato era rimasta a Parigi. Lì nella sua città voleva camminare e ripeter i gesti che per tanto tempo avevano fatto parte della quotidianità. Sarebbe andata nell'unico posto dove sapeva avrebbe potuto trovare le risposte. Il tram si era fermato. L'autista la guardava incuriosito.E forse anche un po' spaventato. Cosa ci faceva una signora come lei, sfavillante di fascino e diamanti nel cuore della notte sulla sua strada che portava verso il vecchio quartiere degli artisti, li dietro l'Accademia.
Era salita sorridendo all'uomo alla guida. Si era seduta infondo. I vecchi sedili di legno tirati a lucido l'avevano accolta. Aveva bisogno di bere e di fumare. Non necessariamente in quell'ordine. Il tram era deserto. La città scorreva fuori dai finestrini. C'era tempo. Ancora ne aveva a disposizione. Accavallò distrattamente le gambe. Lo spacco tra le frange di jais che ornavano il suo vestito si aprì offrendo all'autista una visione delle sue cosce dorate sopra l'orlo delle calze di seta nera.
Si stava chiedendo dove fosse il ragazzo adesso. Ne aveva voglia. Anzi fame. Ma prima di abbandonarsi ai suoi capricci doveva prendere uan decisione. Solo che il pulsare umido sotto il raso delicato delle sue culotte, le ricordava che avrebbe dovuto fare in fretta. Presto la fame sarebbe diventata incontrollabile.
Erano in prossimità di una fermata. Il tram stava rallentando. Al di là delle porte a battente nella panombra appena rischiarata dal cerchio di luce di un lampione poteva scorgere una figura maschile avvolta in un ampio mantello nero. Il profilo del volto le era famigliare. Ma non sapeva spiegarsi perchè. L'uomo salì deciso i gradini della rampa di accesso al tram e si diresse ad ampi passi verso i sedili infondo. Quelli dove si trovava lei. L'autista osservando l'avvicinarsi dell'uomo alla signora sorrise tra se. Sembrava un falco che si prepari a ghermire la sua preda. Ma qualcosa gli diceva che quella signora non era affatto la colomba innocente che poteva sembrare.
Man mano che osservava l'elastica armonia dei passi dell'uomo che si avvicinava una certezza si faceva strada in lei. Non lo aveva ancora visto in volto. Ma era sicura di non sbagliarsi. La sua fica non si sbagliava di certo. Aveva preso a pulsare violenta quando l'uomo aveva riempito con il suo odore di giovane maschio lo spazio ristretto della carrozza. Era furbo. Molto furbo. E un abile giocatore d'azzardo. Del resto di questo viveva. Almeno in parte. Di questo e della soddisfazione delle signore di classe come lei. Ma non gli avrebbe permesso di capire che lo aveva con certezza riconosciuto. Lo avrebbe lasciato nel dubbio. L'arroganza della sua presenza lì non poteva essere che punita. Severamente. Così si alzò e afferando i baveri del suo mantello lo spinse contro la parete di fondo del tram. Curva e vetrata sembrava una piccola alcova mobile Le unghie laccate affondarono nel culo sodo del giovane mentre la bocca di lei seguiva il contorno netto della sua mascella. La stola della donna cadde a terra rivelando i seni rigogliosi coi capezzoli duri sotto lo strato sottile di seta che li ricopriva. Lo sguardo del giovane lampeggiò sotto la maschera nera che gli celava la parte superiore del volto. Lei sorrise facendo scivolare languida una mano sull'inguine di lui. Strinse. Quel cazzo duro, che le rivelava più di quanto il suo proprietario volesse. Strinse i coglioni gonfi di voglia e pronti a soddisfare la sua sete. Ogni sua sete. E affondò i denti nel collo di lui. Ansimò. Un brivido di doloroso piacere ad attraversagli il corpo. A far pulsare il cazzo nella stretta di lei. Ma non articolò verbo. La donna non potè trattenere un moto di orgoglio per la forza di lui. Ma lo avrebbe comunque piegato. E lo avrebbe fatto su quel tram. Davanti agli occhi curiosi dell'autista. Gli slacciò il mantello. Era certa non portasse biancheria sotto i pantaloni aderenti dell'impeccabile smoking che riempiva alla perfezione in tutti i punti giusti. Slacciò i bottoni rapida ed estrasse il cazzo. Lo costrinse con la forza del suo sguardo a sollevare le braccia per afferrare le maniglie di cuoio che pendevano dalla sbarra fissata al tetto del tram. Dalla piccola borsetta ricamata che giaceva sul sedile di fianco a lei la donna estrasse il bocchino di lacca nera con cui era solita fumare le sue sigarette francesi.
Lui sapeva che provocandola in quel modo, avrebbe scatenato la belva selvaggia che sempre rimaneva in allerta dentro di lei. Adorava quella belva. La forza della dolorosa passione che sapeva scatenare in lui. Il violento desiderio con cui lo avvolgeva. Ma ora mentre lei terminava di calargli i calzoni e passava con lentezza insopportanile le unghie sul suo culo si chiedeva se lei avesse capito. O se per lei fosse indifferente la sua identità. Era tentato di strapparsi la maschera. Ma in questo modo lei avrebbe vinto. E lui non poteva permetterlo. Non così almeno. Non stavolta. Così protese il culo nudo e si offri alla punizione che sarebbe arrivata. E che lo avrebbe fatto godere come la troia che sapeva di essere. Quella che solo lei era riuscita a scatenare oltre tutte le sue inibizioni. Il colpo fu impietoso. Strinse, fino a farsi sbiancare le nocche, le cinghe di cuoio. Quel dannato affare aveva delle piccole incisioni taglienti sulla superficie. Gli stava scorticando le chiappe. I colpi cadevano ritmici. Solo il leggero ansimare di lei rivelava quanto fossero forti. Ormai doveva avere il culo coperto di rivoli di sangue...
Aveva sempre più sete. Il dannato bastardo non aveva ceduto di un millimetro e il tram ormai stava arrivando a destinazione. Doveva piegarlo. L'avrebbe fatto cadere in ginocchio e poi sarebbe sparita nella notte. Sorridendo tra se la donna afferrò saldamente il bocchino tra le mani e con un colpo secco lo infilò nel culo del giovane.
Urla finalmente. Subito soffocate ma urla e lacrime sotto la maschera di raso nero. Era forte. Pieno di orgoglio e di passione. E nonostante il dolore lancinante, che sicuramente sentiva, era rimasto in piedi. Barcollante. Sanguinante. Ma in piedi.
Iniziò a muovere il bocchino nel culo del giovane. Impietosa. Rude. Violenta. Lo avrebbe fatto godere. Il cazzo svettava sempre più teso. Mentre il ritmo con cui penetrava tra quelle natiche sode diventava sempre più intenso, iniziò a leccare il sangue. Leccava lenta. Con languida dolcezza in contrasto solo apparente con al brutalità della penetrazione. L'uomo aveva il respiro spezzato. Le ginocchia ormai faticavano a reggerlo. I palmi sudati delle mani perdevano presa sulle maniglie di cuoio. Quando la lingua della donna arrivò a leccare il sangue dal solco del suo culo e il bocchino entrò in tutta la sua lunghezza dentro di lui. Esplose. Cadendo in ginocchio. Lo sperma schizzò sui vetri appannati del tram. La donna guardò l'autista. Uno sguardo breve ma chiarissimo. Un comando. L'autista frenò e aprì le porte davanti a lei. Afferrata la stola. La donna sparì nella notte.
L'autista percorse le poche centinaia di metri che lo separavano dal capolinea a velocità sostenuta senza riuscire a staccare gli occhi dal giovane seminudo infondo al suo tram.
L'uomo aveva posato con religiosa attenzione il bocchino sul sedile di legno davanti a lui. Si era rapidamente rivestito. E ora accarezzava con la mano quell'oggetto pregno del suo dolore. Intriso dei suoi sapori. Quelli che aveva donato a lei.
La voce dell'autista ruppe il silenzio irreale di quella strana notte di inizio autunno.
„Capolinea - , Accademia di Brera, Capolinea - .
Il giovane sorrise e infilando il bocchino dentro la tasca della sua giacca da smoking. Proprio lì, vicino al cuore. Scese rapido dal tram. Dirigendosi verso l'angolo della strada. La luce di un lampione illuminava a tratti l'insegna del negozio verso cui il giovane uomo si muoveva con passo sicuro.
Mentre l'uomo armeggiava con la serratura della robusta porta di legno massiccio l'autista dirigendosi verso la bicicletta che aveva lasciato nel deposito di fianco al capolinea si rese conto di conoscere quel giovane uomo. Non era possibile. Non poteva essere. Mai avrebbe creduto che il giovane distinto e colto con cui scambiava quattro chiacchiere durante le sue pause, potesse celare simili abissi. Il libraio. Ancora non poteva crederci. Il giovane uomo del tram era il libraio.
Il suono fastidioso del campanello del negozio lo riscosse dai suoi dolorosi ricordi.
L'anziano signore alzò lo sguardo e sorrise. Con la mente ancora persa in quell'inizio autunno del 1920 . Eccone un altro. Li invidiava. Non poteva farne a meno. Loro potevano ancora servire. Lui non più ormai. A lui restavano solo i ricordi. Avrebbe aiutato anche questo a capire la rara fortuna del suo destino. Servire. Lei. La Signora. Portarne il marchio. Indelebile. Per sempre.
Mayadesnuda