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Racconto n° 3144
Autore: ElisaN Altri racconti di ElisaN
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Ti aspetto a Berlino!
Com'è fredda questa città. E non ho ancora messo il naso fuori dal Berlino Schönefeld.
E che stanghe di ragazze circolano.
Ogni loro particolare rapisce la mia attenzione: un culo di marmo costretto in un'orrida tuta mimetica, una caviglia nervosa tentennante su zeppa demodé, una chioma di grano impastata in dread giamaicani, uno sguardo celeste arrossato dai postumi di uno spinello.
Un quadro violento di estasi vilipesa, un connubio disarmonico e appagante che sevizia la mia recondita, latente, frustrante componente omosessuale.
Intorno avverto un vociare concitato e gutturale. Incomprensibile e quasi insopportabile.
Esco. M'investe uno scroscio d'acqua violento. Non ho un ombrello. Fra tutte le porcherie che mi porto in viaggio, lascio sempre a casa gli oggetti utili, se non addirittura essenziali.
Cerco con gli occhi un taxi libero, mentre la tesa del mio cappello di panno nero s'inzuppa di pioggia e il trench s'appesantisce, piegandomi goffamente verso il basso.
Un'anima impietosita arriva a soccorrermi. Ecco il mio taxi, leggermente ammaccato e con il fanale anteriore destro sfasciato.
Cominciamo bene!
Scende il mio messia: basso, grassottello, scuro in volto e col riporto. Non penso si tratti di un tedesco.
Raccatta ciò che è rimasto del mio trolley, lo infila nel portabagagli e m'invita a salire in macchina.
Consegno al tassista il biglietto su cui vi è indicata la mia prossima, folle destinazione.
Il tipo inizia a bofonchiare qualcosa. Gli comunico che non conosco il tedesco. Attacca, allora, con un inglese zoppicante e fischiato. Capisco che è turco.

Mi viene subito in mente la dolce Yasmine, una cameriera tutta tette e culo, con un baracchino sgangherato all'angolo della fiera di Francoforte.
Le ho comprato panini con salamella per un'intera settimana. Sapeva che erano per il mio capo e mi strizzava complice l'occhietto nero e tondo. - Senf! - urlava e sparava dentro al filoncino una salsa giallognola, schiumosa ed acre.
Quella donna portava con sé i segreti storici della sua terra natia: l'imperiosità di Costantinopoli, i tesori di Bisanzio, i Bazar di Istanbul.

Guardo fuori dal finestrino. Non riesco a scorgere nulla. Un diluvio demonico si è impossessato della città.
Sfiliamo veloci.
L'omino accende il riscaldamento. Mi sento avvampare le guance. Tolgo il soprabito e mi abbandono sul sedile. Scivolo con l'intero corpo nella fodera del tubino. Dischiudo leggermente le cosce, involontariamente. Me ne accorgo per il repentino spostamento dello specchietto retrovisore. Gli occhi carbone del guidatore puntano il mio sesso, con ingordigia e desiderio. Lascio che mi spii. La sua fronte s'imperla di sudore, le sue labbra si lucidano di saliva collosa.
Arresta il veicolo.
Finalmente sono arrivata, proiettata nella giostra bohémienne dell'alternativo berlinese.
Pago il tassista, domandandomi chi, fra i due, meritasse il compenso. Mi dà un'ultima occhiata d'addio, mentre scorro impaziente i cognomi sui campanelli.
Sento che questa città già mi appartiene, custodendo nel suo interno lo sfacelo del passato e i cantieri spigolosi della modernità.
Eccolo. A lettere squadrate e inchiostro nero. Quel nome maledetto che mi chiama.

- Ti ho desiderato ardentemente da quel bruciante bacio sulla pietraia umida e tagliente. Da quel morso dolente sul collo. Da quel mugugno compiaciuto all'orecchio. Da quel turgido sesso negatomi.
Non avresti mai dovuto stuzzicare il cane famelico che mi abita le viscere. Cane che non vuole padroni, né addestratori, ma che torna solerte a postular carne a chiunque gli abbia offerto di annusarne l'odore metallico e stonante. -

Una sciabolata di vento ghiacciato porta con sé il lamento della Sprea. Il portone del palazzo sbatte furioso. Decido di non suonare e di salire direttamente.

- Ti piombo nell'esistenza senza preavviso. Con la stessa impudenza con cui tu hai forzato la serratura del mio cuore. -

L'ascensore mi avvolge in muffosa carta da parati bordeaux e scarabocchi improbabili di cazzi e fiche. Un - ting - metallico mi annuncia l'approdo al settimo ed ultimo dominante piano.
Pigio il tastino bianco laccato.
Dei passi mi camminano nello stomaco.
Abbasso la tesa del cappello, perché il mio volto non venga riconosciuto attraverso lo spioncino.
Sento lui arrabattare con la ruggine del chiavistello.
La porta si spalanca cigolando.
Occhi nocciola inforcano la traiettoria di pupille marine.
Lo sgomento si fa regista della scena.

- Mi avevi sussurrato un - Ti aspetto a Berlino! - che suonava come un congedo cordiale, un addio sereno, un grazie di circostanza. Ma io sono venuta a riscuotere ciò che mi spetta, da avida esattrice di sesso quale sono. -

Gli appoggio dolcemente i polpastrelli inumiditi dalla pioggia sulle labbra carnose, impedendogli di parlare. Percorro il contorno di quella bocca di fuoco, ne attingo saliva per poi saggiarla, mescolarla alla mia e farne unico liquido.
Mi afferra i polsi, con dolce violenza, trascinandomi all'interno dell'appartamento.
Mi toglie trench e cappello, velocemente. Mi cinge a sé, afferrandomi i fianchi con brutale passione.

- Sì, ti sento già eccitato. Duro e fremente sotto il pantalone. Possiedimi, penetrami, scopami, sventrami: fammi tua, senza remore. -

Abbassa la cerniera dell'abito che scivola, obbediente, lungo il mio corpo.
La nudità integrale lo turba, un istante.
Gli sto dinanzi, vestita di soli tacchi a spillo, coi seni puntuti e il sesso depilato.
Un taglio preciso e rosato spadroneggia fra cosce abbronzate: albicocca odorosa e succosa, celata da rami nodosi.
Gli sfilo di dosso la maglia informe che non rende giustizia alla scultura superba e naturale dei bicipiti.
Incollo i miei capezzoli induriti contro il suo petto. I nostri cuori cavalcano il desiderio all'unisono.
Si cala pantaloni e slip.
Preso dalla foga mi morde il collo, come in quell'indimenticabile selvaggia notte d'agosto, nella caletta del richiamo atavico e primitivo.
Mi preme addosso alla fica un pene fiero e robusto.
Sento il suo odore, l'odore della carne e del sangue. Nessuna essenza, nessun profumo ad addolcire gli intimi regali della natura. Mi drogo di lui, respirandolo in ogni poro, cospargendolo di baci dal collo, ai pettorali, giù, sino all'ombelico e poi oltre, dove fioriscono riccioli pubici dorati.
E scovo un pene indiscreto e soverchio, carezzarmi il profilo, brillantarmi la pelle, scivolarmi fra le labbra: carne a cui, finalmente, posso dare identità e sapore.
Divarico la bocca perché il suo sesso invada interamente le mie guance, la mia lingua, il mio palato.

- Voglio possedere il tuo piacere estremo. Urlami, nella bocca ricolma, il tuo orgasmo straniero! -

Succhio, lecco, bacio, mordicchio, ingoio, affondo.
Avverto il sesso che inizia a pulsare, il lamento gioioso del padrone, il miele tiepido zampillarmi in gola.

Silenzio.
Rimango in ginocchio, sul pavimento gelido.
I miei vestiti disseminati qua e là.
La valigia abbandonata sul pianerottolo e la porta spalancata al mondo.

Silenzio.
Lui mi scavalca incurante.
Raggiunge la cucina, riempie una cartina di Drum e inizia a fumare.
Fa due boccate, poi aggira l'angolo cottura e sparisce, chiudendosi in qualche stanza della casa.

Mi alzo.
Recupero il mio bagaglio.
Chiudo la porta.
Il tempo di rivestirmi e chiamare l'ennesimo taxi, poi... sparirò.

Mi sento afferrare le spalle da dietro, in una morsa decisa e maschia.
L'odore di carne mi narcotizza, ancora.
- Dove pensi di andare? -
- Credo di dover togliere il disturbo! -
- Nein hübsche, il tuo soggiorno a Berlino è appena cominciato! -



- Cupido, monello testardo,
m'hai chiesto un riparo per poche ore,
e quanti giorni e notti sei rimasto.
Adesso il padrone in casa mia sei tu.
Sono scacciato dal mio ampio letto;
sto per terra, e di notte mi tormento;
il tuo capriccio attizza fiamma su fiamma nel fuoco,
brucia le scorte d'inverno
e arde me misero.
Hai spostato e scompigliato gli oggetti miei,
io cerco, e sono come cieco e smarrito.
Strepiti senza ritegno, e io temo che la fragile anima
fugga via per evitarti, e abbandoni questa capanna. -

(Johann Wolfgang Goethe)

ElisaN

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