Balahkar. E' difficile distogliere gli occhi dal tuo cielo e concentrarli sui colori intensi del panorama. Ci hai portato via un pezzo di noi stesse, l'hai disintegrato e l'hai confuso con la sabbia. Non c'è più stato tempo per il tempo in cui ci hai dominate. Non c'è più stata consapevolezza di dover tornare indietro, partire, allontanarsi dalle tue dune imponenti, rosse come i fuochi che abbiamo acceso ogni notte per vincere il freddo che cala inesorabile al sorgere della luna.
Doveva essere un viaggio, ma tu l'hai avvolto di colori roventi, hai fermato cuori e respiri, per attimi che sono sembrati eterni. Hai rallentato i nostri movimenti, sincronizzandoli con il respiro lento dell'Africa musulmana. Hai distrutto la nostra sensazione di appartenenza ad un mondo diverso fatto di città, di automobili e di aria viziata.
Hai costruito dal nulla la nostra sensazione di appartenenza a noi stesse, l'una per l'altra e l'altra per l'altra ancora.
E' stato così che abbiamo imparato a conoscerti, fuori dal tempo, in uno spazio fatto di melodie inebrianti, usanze sconosciute, paesaggi al limite del sogno.
E' stato così che abbiamo imparato a conoscerci, entrandoci dentro, giorno dopo giorno, in una danza che non ha mai smesso di crescere, sempre più intensa e perversa.
Il tuo deserto ci aspettava, maledetto. Noi l'abbiamo guardato, e lui ha letto negli occhi i nostri desideri, i nostri bisogni. Ha scelto lui questi nomi, cancellando quelli reali in un alito di vento caldo: Mahtab, misteriosa come la luce della luna, Nadira, rara come le rose del deserto ed Anjum, i cui occhi brillano come piccole stelle...
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Questo caldo mi fa impazzire.
E' come una sfera di fuoco che annienta la mia lucidità e mi fa retrocedere in quell'alcova perfetta in cui, per anni, ho rubato piaceri e perversioni.
Sì, il nascondiglio delle mie fantasie.
E non sarà proprio ora, che il Signore del tempo, mi farà cambiare idea, non sarà questa folle ingordigia che mi restituirà la ragione.
Ora che mi sento così sicura di me, ora che le vostre mani hanno aderito al mio corpo e le vostre lingue si sono impossessate della mia parola.
Sono passate solamente due lune ma il sapore delle vostre labbra non vuole abbandonare la superficie delle mie, la candela continua a consumarsi, sembra non finire mai. Ogni tanto la fisso, come se mi ipnotizzasse...mi sembra di sentirla ancora bruciare sui capezzoli eccitati e quel suo colore carminio, mi scava dentro, ad ogni goccia che la terra assorbe.
Ci separa solamente un velo, sento i vostri respiri, ho voglia di spiare nelle vostre menti, scavare nei vostri sogni, ora che il desiderio si è impadronito di voi. E mentre guardo nel vuoto, ancora incosciente ed odorosa dei vostri piaceri, mi trascino agonizzante su quel filo che la passione tesse, e sottilmente s'insinua tra la carne ed il cervello e ne comanda ogni segreto, nutrendosi di ciò che siamo realmente. Meravigliose sgualdrine, maniache di voglie e ossessioni, argute complici in amore e perversione.
Mi trapassa un brivido...i vostri capelli ad incontrarsi sulla mia schiena e poi sul mio petto, una scheggia di fascino e tensione lungo le cosce, un'edera di fili profumati intorno al mio collo.
E le vostre mani...ad abusare di me, ad incatenarmi ad ogni sconcezza e ad ogni gesto, così puntuale, così delicato, a volte tremendo.
Siete ad un passo da me, splendide compagne di giochi, irresistibili ancelle per le mie voglie ed io, puttana per i vostri desideri. Ho solamente da scostare col pensiero questo velo di sottili fili di canapa per vedere ancora le vostre bocche e le vostre palpebre, che ora nascondono sguardi accattivanti.
E non oso respirare, vorrei trattenere l'aria come vorrei catturare i vostri gemiti e come in un incubo appena percettibile, mi lascerei scivolare di nuovo sui vostri corpi, ancora fumanti, caldi della mia lingua.
La terra del deserto reclama un po' di frescura e così la mia pelle, consumata dai vostri occhi, divorata dal contatto dei vostri corpi, ora mi sembra che odori di ambra, ma è il profumo del vostro sesso, oscenamente penetrato anche nelle mie narici.
Vi desidero, vi voglio ancora, splendide puledre dalle lunghe criniere, voglio vedervi agitare impazzite contro il mio corpo e sentire i vostri sapori fondersi nella mia bocca.
Vi voglio vedere nude ed eccitate, ad intarsiare baci e carezze, voglio assorbire ogni gemito e godere ancora dei vostri orgasmi potenti, vi voglio urlare in faccia il mio piacere fino ad infradiciarla. Ricreare questo groviglio convulso di sensazioni febbricitanti, fino ad annegare negli stessi spasmi che hanno squarciato il silenzio.
Vi voglio, mie splendide amanti, ancora così...bellissime...tra le mie mani, nella mia bocca ingorda.
Tre soli passi mi separano dal letto ed un velo... che rende prevedibili le forme, che annienta la possibilità di nascondere un respiro affannato, eccitato.
Ma la realtà è colei che impertinente bussa ancora al mio petto ed altrettanto sfacciatamente mi renderà bella ed appariscente, per i vostri occhi...quando si schiuderanno.
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Un letto pieno di cuscini e posato su un grande tappeto. L'ho sempre desiderato. Quando bambina lo immaginavo, mai avrei pensato che su quei cuscini, un giorno, avrei unito il mio corpo ad altri, incrociando le membra e le lingue in un gioco che ben poco ha di innocente.
Mai avrei pensato che, a fianco a me, in queste notti gelide, scandite dal monotono ululare dei coyote, ci sarebbero stati altri corpi.
Corpi morbidi ed arrendevoli come la sabbia delle dune che ci circonda.
Appassionati e vibranti come i tamburi suonati da questa gente.
Mai avrei pensato di chiudere il velo che dal soffitto della tenda scende a contornare il letto, non per pudore, ma per il suo esatto contrario. Per esibirmi.
Invece sono qui, ora, con una donna che adoro sdraiata pigramente sui cuscini color porpora. Con un'altra, al di là del velo, che ci sta supplicando di uscire da questa alcova, per appagare anche lei, alla fine. Povera, dolce bimba.
L'ho fatta accomodare un'ora fa, splendidamente nuda, su una poltroncina di velluto rosso, a pochi passi dal nostro letto. Le ho legato le mani dietro lo schienale, per impedirle di toccarsi, e ho agganciato il guinzaglio al piccolo collare nero che porta al collo, incatenandola così ad una gamba della poltrona, col velluto nero di questo delizioso guinzaglio da cagnetta. Ho preso un' arancia e l'ho appoggiata sulle labbra del suo sesso già gonfie, divaricandole. Poi le ho chiuso le gambe, legandole strettamente fra di loro. Alla fine l'ho salutata leccandole le labbra, lentamente. "Divertiti". Così le ho detto.
Ho scostato solo di poco il velo che ricopre il mio bel letto e sono entrata. La mia amante, mollemente sdraiata sui cuscini, mi ha sorriso.
Il velo di canapa, leggerissimo, ci ha protetto e mostrato, in controluce, in tutta la nostra splendida lussuria. Ha sfumato i nostri contorni, ma non ha celato nessun particolare alla nostra compagna di giochi...
Abbiamo sentito i suoi gemiti farsi sempre più acuti, e il suo respiro farsi sempre più affannoso, senza esplodere mai. Abbiamo immaginato i suoi seni urlare per la mancanza delle nostre labbra rudi, il suo sesso grondare lacrime per il piacere monotono e devastante di quell'oggetto fermo. Abbiamo nutrito la nostra eccitazione della sua impotenza. Ci siamo carezzate, leccate, ponendo i nostri capezzoli erti perfettamente in controluce, perché lei li vedesse, e ne morisse. Abbiamo frugato i nostri sessi con dolcezza, prima, con urgenza, poi, spalancando le nostre gambe così vicino al velo da farle sentire i nostri odori. Abbiamo gridato la nostra voglia, ignorando le sue, di urla.
Ed ora sono qui, con il sapore del sesso della mia amante ancora sulle labbra. Dimentica della mia piccola vittima, là fuori, annegata nella sua devastante eccitazione.
Ma fra poco tocca a lei.
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Sono sdraiata su questo letto da troppo tempo per avere voglia di abbandonarlo. Tengo le gambe bene aperte, la voglio vedere mentre gioca con il mio sesso, nutrendosene e succhiandomi via l'energia che mi resta. Ho bisogno di guardarla, di catturare i movimenti della sua lingua e collegare le immagini all'inferno di piacere che mi sta provocando. Sento che sto per venire di nuovo, ancora una volta. Sento che sto per perdere la mia battaglia, abdicare una volta per tutte, cederle la mia posizione e perdere ogni controllo.
Mi fa inferocire per come domina il mio piacere. Mi sento impotente.
Ma la lascio fare, mi basta guardarla e sentirla, intercettarne un sorriso. E' come una musica che ti entra dentro lentamente, come una canzone che ti resta in testa per giorni interi senza che nemmeno tu sappia le parole.
E' come l'andamento lento e sensuale di una danza orientale. Ne abbiamo viste tante in questi giorni, abbiamo riso insieme ammiccando a quei movimenti ondeggianti, immaginandoci al posto di quelle ballerine, con la certezza che noi saremmo state più audaci e più sfacciate. Era bello, bellissimo, immaginare e sapere che l'avremmo fatto. Non subito magari, in un secondo momento, nel cuore della notte di questo deserto dannato, capace solo di stordire e di uccidere.
E' qui che sono morte le mie stupide inibizioni e non me ne pento.
Non c'è più sole in questo angolo di mondo. C'è solo il nero dell'abbandono, l'oscurità delle palpebre chiuse da un desiderio che spezza il fiato.
Lei procede decisa verso il suo obiettivo. Ho le mie mani tra i suoi capelli, ma non ho la forza di premerla contro di me. Le lascio lì, posate sulla sua testa, affinché seguano quei movimenti che mi stanno togliendo la forza di essere cosciente di quello che accade.
E adesso lo sento, l'orgasmo. Sale come una fiammata irregolare e violenta che mi fa contrarre all'improvviso in una morsa di piacere ottenebrante.
Apro la bocca per respirare, ma ormai sto ansimando, sto chiedendo aiuto. Apro gli occhi per un attimo, il tempo di vedere il mio corpo scolpito dai muscoli contratti, il petto che sussulta al ritmo devastante di questa reazione così naturale, così tremendamente comune, eppure così sconvolgente.
E prima o poi il mio battito cardiaco tornerà normale. Adesso voglio solo sentire le sue labbra bagnate sulle mie.
Un gemito prolungato e profondo ci interrompe per un istante. Mi volto a guardare oltre il velo e la vedo, l'altra.
L'abbiamo fatto anche per lei, perché ci guardasse da quella posizione, costretta all'immobilità, prigioniera della nostra immane perversione.
Non ci siamo dimenticate di lei, i suoi occhi erano sopra i nostri corpi e la sua voce si è unita alle nostre, a volte sovrapposta, in un grido di dolore, di voglia legata e violentata dall'impossibilità di trovare una soddisfazione immediata.
Continuo a baciare la donna che mi sta accanto, le sto chiedendo l'autorizzazione di farmi avanti, staccarmi da lei, andare incontro alla nostra amica legata, a colei che ci ha guardate mentre ci davamo quel piacere che a lei invece è stato negato.
Mi guarda sorridendo, come se già assaporasse il piacere di quello spettacolo.
Mi alzo così come sono, bagnata e scomposta. Avanzo lentamente godendo dei sospiri sempre più forti della donna che siede davanti a noi e che ci ha potuto solo immaginare.
So di essere una visione sconvolgente per lei. La luce delle candele mi illumina a tratti, ondeggiando anch'essa come una ballerina, come una puttana che avanza decisa verso il suo primo cliente. Probabilmente riesce a vedere il riflesso tenue della luce sulla mia pelle bagnata, tra le gambe, dove ho appena goduto in un tripudio folle di sensazioni . Vorrei che sentisse il mio odore mentre vado verso di lei.
Ora che sono vicina, la sento tranquillizzarsi, non si agita più come prima. Aspetta con gli occhi sgranati senza dire nemmeno una parola. Le parole non le vengono più, gliele abbiamo rubate, anche quelle.
Mi siedo sulle sue ginocchia, indugio. Faccio in modo che i miei capezzoli le sfiorino le labbra, ma appena la vedo aprire la bocca mi ritraggo.
"Mi vuoi sentire?", le chiedo con la voce alterata dall'eccitazione che torna ad impossessasi di me, del mio corpo, del mio cervello.
"Sì", mi risponde con un sussurro, la bocca ancora aperta.
Metto una mano tra le gambe, faccio scivolare le dita tra le labbra, perché si impregnino di quello che è stato il mio piacere e di quella che sta per essere di nuovo la mia voglia.
E poi gliela poso, aperta, sulla faccia, senza alcun riguardo, perché mi senta e mi respiri.
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E' troppo tempo che guardo il sole, la sua luce mi si è schiantata negli occhi come una folgore ed essi ora hanno assorbito ogni raggio, il calore indecente che mi ha bruciato anche la pelle, rendendo la mia bocca di fuoco ed avida di sapori.
E la notte ora ha bisogno di questo fuoco o impazzirà anch'essa come me, qui davanti all'oblio, incosciente di ciò che sarò tra breve, assolutamente sfacciata e decisa.
Ho talmente tante sensazioni addosso che potrebbe scoppiarmi il cuore in un attimo e le mani mi formicolano, talmente sono gonfie di voglia, ancora obbligate da questa corda che mi solca ad ogni movimento.
Tu ti adagi sulle mie ginocchia ed io mi butto alle spalle l'oceano di timidezza che mi aveva dipinta come una bimba delicata.
Voglio che l'aria che respiro sia prigione per il mio petto inquieto ed il profumo che mi sta salendo al cervello sia la lama di piacere che mi penetra piano, quello che ora ho qui, sulla mia faccia, indecentemente sbattuto nelle mie narici, padrone bastardo della mia incoerenza. Ti voglio, ti voglio annusare, non osare staccarti, non te lo permetterò. Ti voglio respirare come se non avessi più scampo, come se fosse la mia unica, pazzesca, ancora di salvezza.
Mentre le tue cosce si strusciano contro le mie, il velluto s'imbeve della mia eccitazione, la stessa che fino ad ora mi ha tenuta sul filo del rasoio, come una lupa in calore, che ulula ad una luna perversa anch'essa, complice di luci ed ombre che rivelano l'audacia dei corpi.
Mi ritrovo stordita, da un bacio fugace, mentre il calore insostenibile che avvampa tra di noi, mi fa barcollare per un attimo, mi ritrovo perduta a rincorrere il tempo, a chiedere il sapore di una bocca ancora incandescente, a volerne di più, ad esigerne la pressione sulle mia labbra ormai arse dal desiderio.
Ti avvicini, maledetta musa dagli occhi iridescenti, mi vuoi folle e sragionata, mi vuoi in trappola tra le tue mani che iniziano a toccarmi ovunque, mentre il tuo bacino ondeggia come le corde di un'arpa su una lamina di cristallo e quel tuo movimento così sinuoso, così maledettamente eccitante...mi ammalia.
Strega perversa, sarò arrogante, esigerò di far scempio della tua bocca ed i miei polsi saranno scavati dalla rudezza della voglia che mi oltraggia, ma non m'importerà. Voglio insinuare questa lingua di fuoco nella grotta che è dimora per le tue labbra e catturare di te ogni sapore, soffocare ogni gemito, percuotere ogni parola...istigarti al delirio, distruggere ogni pudore.
Per poi abbandonarmi alle carezze di entrambe, ai vostri colpi in pieno petto, amanti scellerate, sirene peccaminose, anfore colme di lussuria. Bellissime.
Il tuo viso rimane immobile. Il mio margine di movimento è ancora debole, ancora troppo poco, ma in questo momento me lo faccio bastare, farei pazzie anche per un solo bacio.
Dalla mia bocca semiaperta appare una lingua perversa, che inizia a frugare sul tuo collo pulsante e con tutta la sua forza preme contro quella pelle madida, assapora i lineamenti che delineano il viso e lentamente s'insinua dietro le orecchie, prima uno e poi l'altro, percorrendoli in ogni loro anfratto, facendosi strada tra le ciocche di capelli che cadono a grappolo sulle spalle.
Dall'orecchio scivolo all'angolo della bocca e lì mi soffermo.
Inizio un piccolo movimento sussultorio, come se volessi scavarlo fino ad allargarla di più, fino a che diventi carne viva e quindi proseguo sempre molto lentamente sui contorni delle labbra, saggiandone la morbidezza, leccando in mezzo ad ogni più piccola piega.
Dopodiché appiattisco più che posso la mia lingua e percorro quelle labbra a tappeto, come se fossero miele da consumare, menta fredda da divorare per avere un po' di sollievo, per quel fuoco che continua ad ardere, tremendo e irrispettoso di un cuore non abbastanza forte per queste palpitazioni.
Ma non mi basta, voglio leccare anche le tue guance rosso porpora ed arrivare alle palpebre, intercorrere tra le ciglia, infradiciarle.
Ora sei tu che sembri prigioniera della mia bocca, sei tu che sembri immobilizzata, febbricitante anima incontaminata, sei tu che penderai dalle mie parole mentre esse ti renderanno pazza di idee, ti batteranno dentro al petto come un tamburo indigeno.
Avida sporgo i miei denti e come una sanguisuga mi attacco ancora al tuo collo, voglio lasciarti i segni della mia folle eccitazione, voglio esibirli, dopo, anche a lei...che ci guarda leggiadra. Ed attende. Che i nostri movimenti confluiscano in un unico fiume.
Che le nostre lingue riversino sul suo corpo una morbida scia di effusioni, di complici fantasie.
E poi, spietate, come gli occhi della memoria, la facciano ancora godere ed urlare un piacere inumano.
Le ciocche dei miei rossi capelli ti percorrono le spalle, scivolando sul seno erto, sui capezzoli che sembrano marmo screziato ed è in questo preciso momento che avverto ogni tuo brivido impadronirsi di te, comandare alle tue mani di sciogliermi, per rendermi il piacere che fino ad ora mi avete negato, quello di toccarti...quello di toccarvi.
Sento la corda scivolare sul tappeto e come bracciali di fuoco, vedo striature rossastre contornare i miei polsi. Te li faccio leccare, per tutta la circonferenza, e poi con forza, fino quasi a soffocarti, con quelli stessi ti immobilizzo il collo, ti faccio assaporare la morsa.
Ma ho ancora quel frutto tra le gambe e le caviglie legate...la tua mano percorre la mia pancia e va ad insinuarsi tra le mie cosce. Ora è il mio profumo che hai sulle dita, mischiato a quello dell'arancia, che nel frattempo è diventata bollente, quasi consumata da quel folle piacere. La tua mano risale...sul collo...sul collare...e lo tira con forza, per ricambiare quella morsa. Ma non me lo togli, ti piace vedermelo addosso...e sai, che piace anche a lei.
Ti lascio indecisa sulla scelta d'avermi slegata ma poi accompagno i tuoi pensieri, come se fossi la tormenta che ti sia agita dentro, come se fossi il tuo stesso cervello.
E così le nostre bocche si toccano ancora, fino a che i baci diventano osceni, fino a che ti spingo verso il letto, trascinando nel vortice ogni più impudica percezione.
Venite ora sopra di me, vi voglio come piume e macigni sopra di me, piacere e dolore senza tregua. Ora che i passaggi del tempo si annulleranno, solo ore infinite di fremiti e onde, costellazioni disegnate sui nostri corpi, marchiate nelle nostre menti, ora che non esiste domani, ora che c'è solo la notte...oscurità eccitante che ci travolgerà.
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Le guardo attraverso il velo. Una scomposta ma decisa, l'altra appena slegata ma ancora in attesa, trepidante. Entrambe con i muscoli tesi, frementi. Le guardo vagando pigramente dai piedi arcuati ed eleganti dell'una alla schiena nuda e ancora umida dell'altra, impreziosita dai disegni che ci siamo fatte fare sulla pelle. Il suo ricorda il decoro di un tappeto prezioso; è un segno elegante sulla schiena, appena sotto i fianchi, e si incunea maliziosamente verso il basso, come un invito ad esplorare quei magici luoghi. L'altra ha scelto invece un inquietante serpente che le si arrotola su dal piede, circondando la gamba; la sua lingua biforcuta le lambisce l'inguine, seguendo morbidamente i movimenti della carne. Sul mio ventre infine, è tracciata una pantera dagli occhi misteriosi; è come acquattata all'ombra del mio sesso, pronta a sferrare l'attacco... ad uccidere, se necessario.
Osservo i loro movimenti, non so cosa si stiano dicendo, ma l'eccitazione che le pervade arriva intatta fino a me. Il braciere che ci riscalda sembra freddo, paragonato a queste donne di fuoco.
Insieme a loro mi sono persa, e insieme a loro, forse, ho trovato qualcosa. La mano mi scivola verso il sesso, bagnato e stranamente turgido. Lo carezzo piano, mi concedo un piacere sottile, ma costante. Voglio tenere me stessa sul filo di questa lama, voglio essere costantemente eccitata, ma non troppo, perché il troppo lo voglio riservare a loro.
Le guardo e aspetto pazientemente, tanto è qui che verranno...
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Sto godendo intimamente di questa irruenza, sorrido tra me e me al pensiero di averla provocata e alla sensazione di calore che si espande sempre di più tra le mie gambe. Vorrei aprirmi e consegnarmi a lei, ma non posso lasciare me stessa di nuovo con le spalle a terra, di nuovo preda. La morsa intorno al mio collo, forse mi ha eccitata più del dovuto. Sto per vivere ancora il peggiore dei miei contrasti, quello tra la morbidezza del mio carattere e la violenza delle mie passioni.
Sento crescermi dentro il desiderio di restare sopra, padrona dei miei gesti e delle mie reazioni fisiche. Le regalo un ultimo bacio, assaporando il peso del suo corpo sopra il mio, la dolcezza delle lingue che si toccano e si rincorrono.
Poi la mia piccola belva, quella che si nasconde sorniona dentro di me, tra le pieghe dei miei gesti gentili ed arrendevoli, esce finalmente allo scoperto. Come sempre ha bisogno di appagamento, si è nutrita di desiderio e di voglia sfumata e adesso vuole divorare il suo pasto più grande, quello del piacere così forte da dilaniare l'anima.
La prendo per i fianchi e con un gesto brusco ed improvviso capovolgo le posizioni, faccio in modo di ritrovarmi sopra di lei, cavalcando la sua pelle morbida, bagnandole il ventre di eccitazione che sembra non fermarsi mai. Sto ansimando di nuovo, stavolta come un animale ferito che vuole vincere la sua battaglia e freme nell'impazienza di dimostrare la propria forza. Lei mi guarda e si accorge che c'è qualcosa di diverso nei miei occhi, una luce che non conosceva. Mi butta le braccia intorno al collo, cerca di baciarmi di nuovo e ristabilire il contatto per il quale ha aspettato così a lungo. Per un attimo scorgo quei segni viola intorno ai suoi polsi, ma è solo un attimo, è solo con la coda dell'occhio che li vedo, sfuggenti.
Le blocco le braccia sopra la testa, contro i cuscini, con una sola mano le stringo i polsi. Continuo ad ansimare, in preda ad un'eccitazione furiosa, complici i movimenti del suo corpo sotto il mio. Non sta cercando di divincolarsi, sta cercando di sentirmi il più possibile.
Avvicino di nuovo la mia bocca alla sua, mentre con la mano che ho voluto tenere libera le stringo un seno con forza.
"Ti voglio, così, hai capito?", le sibilo, ad un centimetro dalla sua bocca. Godo dei suoi gemiti di approvazione, godo come mai mi era capitato prima.
E poi, sollevandomi di nuovo leggermente, mi volto. L'improvviso cambio di posizione ci ha fatte rotolare verso la mia complice, la mia amante sfuggente, colei che gioca con le mie certezze, quelle costruite in anni di controllo di quelle passioni che io stessa, per paura, ho giudicato eccessive.
Adesso siamo vicinissime, tutte e tre. Adesso sono di nuovo vicina a lei.
La investo con lo sguardo della mia belva finalmente libera, non voglio solo il suo corpo, voglio che si abbandoni e che si spinga fino in fondo, fino al momento in cui il suo respiro si sincronizzerà con il suo piacere ed i suoi pensieri vigili si perderanno, spezzandosi in mille frammenti irriconoscibili.
E' questo quello che voglio conquistare, la mia preda più preziosa, quella per la quale sono stata pronta ad aspettare, acquattata in un angolo con i nervi tesi, ascoltando il frusciare confuso dei suoi passi, indecisi ed irregolari.
Voglio che queste due donne si lascino scivolare oltre i confini di quello che hanno sempre vissuto, di quello che conoscono, di quello che io stessa credo di conoscere.
Sono istanti interminabili quelli che passano senza che l'incrociarsi dei nostri sguardi li disturbi. So che ne sente il peso, perché sta esitando, lei che ha immaginato e creato questo gioco perverso, dominando la mia mente con la forza del suo sesso, dominando il corpo dell'altra con la violenza dei lacci con i quali l'ha legata.
Adesso deve decidere se accettare la sfida.
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Mentre noi, con le teste ora rivolte verso l'alto la fissiamo con quella famelica luce negli occhi, mentre il battito cardiaco del nostro centro vitale emana vibrazioni insostenibili per qualunque esitazione.
Anch'io noto il riflesso di questo suo indugio ed allora le sorrido.
Mi lecco abbondantemente i polsi così che la saliva rimanga vivida sopra di essi e poi li strofino sui suoi seni, risalendo alla sua bocca, incrocio le mie mani di modo che i segni e la saliva combacino in un unico gioco di specchi e poi glieli porgo, come fossero un dono, li avvicino ancora alle sue labbra chiedendole di leccarli.
Le chiedo di attaccarsi ai miei segni purpurei e di succhiarne il sangue.
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C'è poco da fare, quando il deserto ti strega.
Quando senti il suo richiamo nel calore che sprigiona da quella sua sabbia fine come polvere. Quando percepisci la sua potenza nelle montagne aspre che ne sconvolgono il paesaggio, con la loro perfetta nudità.
Il deserto...o queste due donne? Queste due pietre ardenti, queste due piccole vipere nascoste sotto la sabbia, che mi hanno morsa con la loro sconcezza, intrappolata con la loro innocenza. Il veleno di questa passione ormai ce l'ho nel sangue. E forse ce l'avrò per sempre.
Ero come ubriaca di sesso, prima. Ho legato una di loro nel ruolo della vittima, ma il deserto mi aveva sussurrato che le sarebbe piaciuto. Ho dato all'altra il mio corpo ed ho preteso in cambio il suo abbandono.
Adesso sono io la vittima. Sono incatenata a questo letto dalla lussuria che leggo in questi occhi. Mi guardano, mi aspettano. Questo istante di silenzio pesa su di me come un macigno, sono titubante.
Poi il deserto, di nuovo, complice delle mie vittime, trama contro di me, con loro. Fa sentire la sua presenza: scuote con folate di vento caldo le pareti di questa tenda, batte con la sua sabbia alle porte del mio essere. Ed ecco che di nuovo sento la lussuria risalirmi lungo le cosce, bagnare il lenzuolo che ci accoglie. Questi corpi nudi, abbracciati davanti a me, questi polsi feriti che mi aspettano, sono un invito che segnerà di nuovo, e per sempre, la mia vita.
"Chiudi gli occhi", le dico con un filo di fiato. Il mio ordine non potrebbe essere più imperioso. E' di nuovo lei, la mia preda preferita. E' lei che ho scelto come strumento del mio e del suo piacere. Come un prestigiatore faccio comparire gli attrezzi del mio mestiere. Una striscia di velo nero per bendarle gli occhi. E' un vero peccato, nascondere questi due occhi da gatta, ma lei è nelle mie mani ormai, docile come deve essere. Stringo con un colpo secco il nodo, e la vedo mordersi le labbra. Si agita, non sa cosa le riserveremo, adoro vederla in questo stato.
Poi è la volta della scatola. Una bella scatola di cuoio, con gli angoli rinforzati in rame. L'ho comprata oggi alla casbah, fra decine di occhi neri che mi scrutavano, curiosi ma anche intimoriti.
Lei si gira, finalmente, incuriosita, staccando le labbra avide dal capezzolo della nostra preda bendata. "Cosa c'è dentro?" Le faccio segno di tacere, la nostra amica non deve saperlo. Poi sollevo il coperchio, con un piccolo sorriso. Gli occhi di quella che ormai è la mia complice si spalancano per la sorpresa, ed io posso vederci dentro il nero di queste notti africane.
E' un oggetto che incute un certo timore, a guardarlo adagiato nel velluto rosso della sua scatola. Il nero del cuoio richiama il peccato, le grosse cuciture che lo solcano sono una minaccia e una promessa allo stesso tempo.. è un'arma. Un'arma con la quale violerò il corpo già fremente che ci aspetta, aperto e cieco.
Mi piace immaginare che sia antico, che principi dagli occhi magnetici l'abbiano regalato alle loro concubine, che mercanti senza scrupoli l'abbiano usato per le loro schiave. Ora è in mano nostra: noi saremo le concubine di noi stesse, le nostre schiave e le nostre padrone.
Lo estraggo, soppesandolo, inumidisco con la bocca la parte più liscia, quella che ho destinato a me stessa. La mia complice, ammutolita, continua a torturare con le labbra i capezzoli ormai gonfi della nostra amica. Posso percepire nei suoi gesti la mia stessa eccitazione, la mia stessa perdizione. Allargo un po' le gambe e introduco nel mio sesso, mai così bagnato, la mia parte del gioco. Chiudo le fibbie della piccola imbracatura di cuoio; è regolabile, così la stringo, mentre il membro di cuoio affonda ancora più in profondità dentro di me. Non sono ancora soddisfatta e la stringo ancora, fino a percepire un leggero dolore. Mi sfugge un lungo sospiro dalle labbra.
Sono persa, ormai.
Lei, quella che giace ignara sotto di noi, non sa più come placare la sua bramosia. Le sue mani si muovono frenetiche alla ricerca di seni da stringere, di sessi da esplorare.
Le rubo qualche altro attimo per accarezzarmi. Per accarezzare questa nuova parte di me che sporge così oscenamente dal mio corpo, così spaventosamente nera e grande. Ne saggio la ruvidezza, la forma. Assaporo il contatto con le tre file di grosse cuciture che si snodano a spirale dalla base fino alla punta.
Un brivido mi attraversa, e con esso si fa strada finalmente la piena consapevolezza di quello che voglio.
Voglio scoparmi questa donna.
Voglio penetrarla con questa verga di cuoio, voglio entrare dentro di lei, aprirla, sfondarla. Dio, se lo voglio.
La mia complice, perché tale ormai la considero, le imprigiona di nuovo le mani sopra la testa, con una certa violenza, poi si avventa sulle sue labbra, avida del suo sapore. Raccoglie la sua saliva e la depone su di me, sullo strumento del nostro piacere, soffermandosi con la lingua sulle venature che lo solcano. Si mette a cavalcioni del corpo che ci aspetta ormai da troppo tempo, rivolta verso di me, e tiene aperta con le mani quella fica fradicia.
Appoggio il cuoio a quell'apertura rosa, tremo di emozione. Lei sussulta, di sicuro non si aspettava qualcosa di così rigido. Sembra quasi che stia per piangere, ma questo è il mio regalo per lei.
Io e la mia complice ci guardiamo negli occhi, le nostre bocche si avvicinano, come due calamite. E mentre la sua lingua entra prepotentemente dentro di me, io entro prepotentemente dentro l'altra.
Due urla squarciano l'aria. Due come le estremità di questo strumento di piacere, due come le bocche che si aprono incredule per l'invasione del cuoio. Poi gemiti, ansimi. Ancora urla.
E io affondo, affondo dentro di lei senza ritegno, seguendo il mio e il suo piacere fusi a formare un unico fiotto di lava. Siamo due animali feriti, due pantere in calore.
E poi...il membro che mi sto ficcando dentro con urgenza, il potere che sento di avere sul corpo aperto che mi sta sotto, la visione di noi tre intrecciate, perverse, sfacciate... tutto comincia ad ottenebrarmi la mente. Ormai intravedo appena le loro bocche che si straziano di baci violenti, le lingue che scavano frenetiche nelle bocche. E tutti i rumori del nostro folle amplesso mi arrivano come ovattati: i nostri respiri sempre più affannati, le parole sconnesse ripetute all'infinito, il rumore dei corpi che sbattono uno contro l'altro, quello dei nostri umori che infradiciano la pelle...
E' una follia. E' troppo. Troppo piacere. In un attimo il velo che bendava la mia sgualdrina le viene tolto ed i nostri occhi si incrociano. Gli occhi di tutte e tre.
Tre sguardi che si incontrano in un punto qualsiasi del piano infinito, ed è come se ognuna di noi guardasse le altre due negli occhi, contemporaneamente. Le vedo. Sono bellissime, sono mie, ed io sono loro. E in questo universo di emozioni e di deliri, disperatamente, godo.
Ed è lava pura, incandescente, rossa. Avanza morbida, ma inesorabile, mi solca la pelle, poi l'anima. Mi ricopre e poi mi porta con sé, senza nessun rispetto. Ed io mi lascio trascinare, finalmente, mi lascio andare, succube della sua potenza, del suo immenso calore.
E poi, come una meravigliosa reazione a catena, l'aria è presto satura delle nostre voci spezzate, dell'odore conturbante dei nostri orgasmi...e la lava ricopre i nostri tre corpi.
Le nostre voci impazzite mi invadono, stregandomi per sempre.
Là fuori, il deserto tace.
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Eppure il deserto non tace mai del tutto. Anche quando sembra dormire, avvolto nella pace di un'oscurità così profonda da raggelare l'anima, il deserto racconta. Storie di spedizioni, di viaggi estremi, di individui persi alla ricerca di qualcosa che non può trovarsi altrove.
Storie di voci diverse che si intrecciano per raccontarne una sola, di storia.
Come la nostra, il racconto del momento in cui abbiamo trovato involontariamente il pretesto per superare il limite.
O come la storia che abbiamo sentito una sera a Balahkar.
C'erano delle donne coperte di veli colorati che ballavano intorno a due pali conficcati nella sabbia. Tra un palo e l'altro erano stati tesi tre fili a diverse altezze. Uno bianco, il più basso, uno rosa, ad altezza d'uomo, uno color porpora, il più alto di tutti.
Le donne ballavano accarezzando i due fili più bassi e poi tendendo le braccia ed il corpo verso l'alto, verso il terzo filo, quello impossibile da raggiungere. La danza si faceva sempre più frenetica, i volti sempre più contratti in un'espressione estatica e sognante.
Secondo la leggenda ufficiale, quella che si racconta nei caffè di Marrakesh, i tre fili stanno a rappresentare le tre età della vita di una donna, la giovinezza, la maturità, la vecchiaia. L'ultimo filo, quello che rappresenta la vecchiaia, viene messo così in alto perché quelle donne non possano mai raggiungerlo e quindi, idealmente, invecchiare e perdere la loro bellezza.
Ma tra le dune rosse e spietate di Balahkar, là dove la linea di ogni orizzonte conosciuto si fa evanescente, i tre fili rappresentano altro. La progressione della intensità con la quale una donna può percepire l'interazione tra il proprio corpo e la propria mente, tra i sensi e la ragione.
L'eccitazione che sale lenta, ma ancora controllabile.
Il piacere che comincia a sprigionarsi minacciando ogni naturale inibizione. L'abbandono definitivo e il trionfo della percezione sensuale su ogni proposito di controllo.
Con la ragione non si arriva all'ultimo filo, lo si può sfiorare, ma non lo si toccherà mai. Ecco perché chi l'osserva dal basso, cercando il modo migliore per raggiungerlo, lo vedrà sempre più alto e sempre più lontano.
Solo chiudendo gli occhi, ballando al ritmo della propria musica interiore, quella che infrange i confini tra il sogno di un desiderio e la realizzazione dello stesso, una donna riuscirà a far scorrere le dita sul filo di porpora e a sciogliere i propri pensieri nel calore folgorante di un piacere indimenticabile.
Mahtab, Nadira e Anjum
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(tutti i nomi arabi hanno un significato... così Mahtab vuol dire
"luce di luna", Nadira "rara" e Anjum "stelle"...)
Angel Giulia The Traveller