Aveva smesso di piovere. Finalmente. L'aria era satura dell'odore di terra bagnata e le ultime gocce tardive scivolavano lungo le nervature delle foglie di tiglio, attraversavano la linea cuoriforme e si lasciavano cadere dolcemente sull'erba. In quel ticchettare tenero Ilaria trovava intatta la pace e i ricordi della sua infanzia. Aveva vissuto in quella vecchia casa di pietra tutti i suoi anni e di autunni ne aveva visti già più di trenta, tutti uguali, tutti straordinariamente poetici, tutti rigorosamente malinconici. Attraverso le tende leggere poteva scorgere la luce regalata dall'ultima pioggia al suo giardino; attraversò le stanze, l'atrio dai pavimenti in pietra e andò fuori a respirare la terra, il cielo, la sua campagna degradante d'ulivi saraceni. Lo sguardo si posò sulle macchie di colore che puntellavano il verde dominante: un trionfo violetto di abbondanti grappoli, di acini colmi e succosi. Un lampo attraversò i suoi occhi, costrinse i piedi nudi nelle scarpe e scese lungo i filari d'uva che da sempre davano colore e sapore alla proprietà che era stata di suo nonno.
Un ottobre generoso aveva riempito il vigneto ed un timido raggio di sole vespertino incendiava i tralci conferendo un colore bruno anche ai grappoli d'uva. Ilaria raccolse i più belli, i più invitanti, pregustando il colore degli occhi di Lei nell'incendio di quell'ultimo sole.
Rientrò in casa e cercò nell'antica credenza una vecchia alzata d'argento; la trovò, nascosta dietro sopravvissuti cristalli e porcellane a fiori. La patina degli anni non aveva intaccato il fascino di quell'oggetto, ma adesso che era divenuto la scena del suo spettacolo per Lei, le appariva ancora più bello, più degno di vivere, di splendere ancora una volta.
Sistemò l'alzata al centro del tavolo: gli opachi bagliori e la preziosità dell'argento contrastavano in maniera sublime con la nuda essenza del legno, scarno e massiccio, di caldo ciliegio.
All'interno pose l'uva che aveva raccolto, bagnata di pioggia.
Il silenzio della campagna era interrotto dallo stormire lento delle foglie agitate da un tenero maestrale. Lei arrivò, annunciata dai ciottoli del vialetto che crepitavano sotto le ruote dell'auto. Negli occhi una richiesta sola: la sua donna.
Ilaria l'attendeva come sempre, un sorriso unico ad accoglierla, l'universo tra i suoi denti perfetti e due occhi d'autunno a farle cantare il cuore. Si lasciò avvolgere dalla stola calda delle sue braccia, affondò la voglia dentro le pieghe del suo collo, annusando a lungo l'odore di legna bruciata, di pane caldo, di erba, di vento che lei portava addosso come un blasone.
Come ogni volta non c'era tempo per le parole, per i convenevoli, per la cena, per il racconto dei giorni in cui non si erano viste. La spinse dolcemente, di baci, di lingua, di carezze, contro la parete dell'atrio; bloccandole i polsi con le sue mani grandi, incominciò a spogliarla a morsi.
- Ti voglio... ti voglio di una fretta bastarda... - altalenava ansimate parole ai baci, slinguandole sulla pelle nuda delle sue braccia, dei suoi seni, scivolando sul ventre, inginocchiandosi tra le sue gambe. Ilaria trattenne un gemito e, tra le dita, i capelli di Lei. Riuscì a staccarsi e, trattenendola per le mani, a trascinarla in sala da pranzo, camminando di spalle. Il suo incedere bambino piaceva da morire a Lisa e la induceva a stare sempre al gioco. Vide il tavolo, protagonista al centro della stanza, su di esso un trionfo di chicchi d'uva, opulenti e aggraziati, pendeva ammiccante dall'alzata d'argento.
Il taglio freddo degli occhi di Lisa si accese. Prese per mano la sua donna, s'inginocchiò tra le sue caviglie accarezzandole piano, risalì lungo le gambe, sostando nell'incavo delle ginocchia, le baciò i dorsi, la lasciò scalza e la invitò a salire sul tavolo.
- Danza per me - - le disse - avvolgendola con quel suono di magia che era la sua voce.
Ilaria si lasciò guidare, docile, nella danza che sapeva tanto piacere alla sua donna.
Lisa raccolse qualche acino d'uva e lo sistemò sotto la pianta dei piedi di lei... Ilaria sapeva cosa fare. Schiacciò con forza uno, due, tre chicchi insieme e il succo dolce si sparse sul tavolo, tra le sue dita, sotto la pianta dei piedi bianchi. Continuò a danzare grappoli interi, di forza, nel piacere che sapeva colarle tra le gambe, nel godimento che le procurava quella sfumatura singolare d'orgasmo.
Lisa risalì eccitata la curva delle ginocchia, inoltrandosi oltre le cosce, aprendola piano, entrandole dentro. Una scarica di piacere le travolse, la spinta verticale sincrona incendiò loro le vertebre. Ilaria vibrò sotto le spinte di quelle mani, inondandole i polsi, e dentro la mente, il cuore, l'anima, godeva... godeva e sentiva la calda accoglienza di Lisa, della sua bocca, bere ogni goccia di quella folle vendemmia di carne.
In quell'attimo di assoluta assenza di mente e ragione Ilaria reclinò indietro la testa, lasciando che i capelli le inondassero la schiena nuda; il fermaglio trattenuto tra i denti, consegnò i suoi occhi al buio e il suo orgasmo alle mani di Lei.
"Di ametiste sfere
mi contorni, narciso
Nuda d'autunno
bevo
dalle tue mani il vino
come da generosa coppa
degli Dei"
Erato
Erato