Fu assunta da mio zio quando aveva diciotto anni appena compiuti. Venne accompagnata da suo padre, che già aveva lavorato per noi come artigiano. Una famiglia di origini umili, sua madre lavorava come domestica, erano religiosissimi, praticamente bigotti. Ricordo ancora quel momento: lei timidissima, lo sguardo sempre a terra e i piedi rivolti in dentro come avesse le ginocchia valghe, stava in piedi tormentandosi le mani e sorridendo nervosamente. Quando sorrideva le si arricciava il naso.
Cicciotta, alta non più di un metro e sessanta più che vestita era infagottata in panni abbondanti e mal assortiti di colore indefinibile tra il marrone e il grigio scuro, aveva addirittura un accenno di baffi. Capelli neri e lisci, ma così neri che in contro luce si intuivano riflessi blu e gli occhi... gli occhi erano due fari nella notte. Azzurro grigio brillante come solo un lago in montagna ai piedi di un ghiacciaio può esserlo.
L'occhio destro aveva una curiosa malformazione: era leggermente più chiuso del sinistro, l'espressione così risultava stranamente ammiccante, quasi maliziosa, come quello di una puttana che sapeva della vita e come affrontarla. Probabilmente si vergognava di quello strano difetto perché pettinava la frangetta calandola giusta sopra la palpebra nascondendola. Dio... è bastato un millesimo di secondo dei suoi occhi nei miei per perdermi definitivamente.
Dovetti aspettare l'estate per capire le forme del suo corpo, ma era impossibile riuscire a vedere la pelle oltre il collo. Vestiva sempre t-shirt chiuse e sotto portava la canottiera con il reggiseno bianco, invadente. Non aveva più della seconda come misura di seno e certamente una 46 di sedere. Si intuiva anche un accenno di pancia. Incredibile! Come facevo ad essere attratto da lei non riuscivo minimamente a spiegarmelo, eppure ogni volta che la vedevo assorbiva tutta la mia energia. Il suo atteggiamento era sempre timidissimo, impacciata anche nel rispondere al telefono se le parlavi guardandola negli occhi immancabilmente le arrossivano violentemente guancie e orecchie.
Avevo dieci anni più di lei e non mi mancavano certo le ragazze. Bella macchina, bel portafoglio, bel ragazzo, bel carattere e... inafferrabile, insolente, impossibile. Non più di due, tre mesi al massimo e poi basta, un bel regalo fra mille lacrime e avanti un'altra. Tutte quante lo sapevano e quindi avevo il massimo: rapporti feroci e totali, imbarazzanti e passionali, dove lacrime, sangue e dolore erano la sofferenza che pretendeva la passione, quella passione che divorava tutto, anche il cuore. Ragazze perfette, vestite al massimo, sempre truccate e profumate. Tacchi alti che tenevano anche a letto pronte ad usarli come armi di difesa o di dominio. Magre, alte, bionde, depilate, pulite, sfacciate, ubriache e decise a tutto, come lo ero io, il loro padrone o il loro cagnetto ubbidiente.
Eppure chiara era sempre dentro me... timida, impacciata, riservata e vergognosa. Ci misi un anno ad avvicinarla un po', a scambiare quattro parole che non fossero legate al lavoro. Cosa fai? Con chi stai? Dove vai? Era appassionata di montagna, le piaceva leggere. Di più non riuscii a capire e lei a me non chiedeva nulla, rispondeva soltanto alle mie domande. Mi sembrava di impazzire, la desideravo da impazzire, stavo impazzendo... così un giorno, con la scusa di una contabilità di cantiere impegnativa, le chiesi di venire in ufficio il sabato pomeriggio, ma il tono di voce non lasciava dubbi: era un ordine. Lei non fiatò e mi fece un segno di assenso con la testa.
Quel sabato ero talmente eccitato che dovetti masturbarmi prima che Chiara giungesse, così, per riuscire a calmarmi. Quando arrivò le andai incontro aprendo e subito dopo chiudendo l'ingresso dell'ufficio lasciando le chiavi nella toppa, cosicché nessun altro avrebbe potuto entrare rovinando i miei piani. Al suo imbarazzato saluto (le avevo ordinato di darmi del tu) le presi il viso fra le mani dandole due baci sulle guance, molto vicino alle labbra. L'odore della pelle era vagamente acido, conseguenza dell'uso di una crema profumata di scarsa qualità. Lei trasalì ai miei baci diventando immediatamente rosso fuoco. Non le diedi il tempo di reagire prendendola subito per mano con gentilezza ed accompagnandola al primo piano, nel mio ufficio. Chiusi la porta subito dopo essere entrati. I suoi occhi erano sbarrati ed aveva il fiato corto: teneva la bocca leggermente aperta, si vedeva la lingua. Dio... volevo mangiarla subito, lì, in quell'esatto istante.
Le dissi immediatamente che ero perdutamente innamorato di lei dalla prima volta che l'avevo vista e la contabilità era soltanto una scusa per poter stare insieme senza nessuno intorno e che volevo immediatamente fare l'amore con lei, lì, sulla moquette. Sembrava dovesse venirle un infarto, era sbalordita e il respiro le si era fatto cortissimo; si piegò leggermente in avanti come per poter ascoltare meglio le mie parole, gli occhi piantati nei miei e la stessa espressione che si ha quando vedi arrivarti addosso una valanga e non puoi fuggire. Approfittai allora del suo smarrimento per abbracciarla poggiando le mie labbra sulle sue, che non si mossero, rimasero chiuse. Riuscii però a sentirle il fiato che sapeva leggermente di aglio e di menta, come avesse voluto nascondere con una mentina l'effetto del polpettone di sua madre.
Ormai ero lanciato, il cuore a mille, nella bocca una sensazione dolciastra, quella strana acquolina che anticipa il gusto aspro della vagina prima di iniziare a leccarla. Sempre abbracciandola la sollevai di peso facendola sedere sulla scrivania. Sembrava fosse paralizzata e i suoi occhi non lasciavano i miei nemmeno per un attimo, il respiro a tratti era un rantolo. Accompagnandola con la mano sulla spalla, con espressione decisa ma sorridente, la feci sdraiare di schiena tenendo le gambe penzoloni verso me. Passandole una mano sul viso, come si fa per i morti, le chiusi le palpebre salvandomi da quello sguardo che mi lacerava ogni cosa dentro.
Le tirai su la gonna e... finalmente le mutande. Erano grandi, bianche, imbarazzanti, di lino grossolano e leggermente macchiate di urina in corrispondenza della vagina. Mi sedetti sulla sedia e, lentamente, infilate le mani sotto il sedere, gliele sfilai. Venni immediatamente investito da un forte odore di piscia e di intimo non lavato. Allargai le narici respirando a fondo quell'incredibile odore di femmina, una sensazione sconosciuta a me, abituato com'ero all'odore dei saponi intimi e delle creme depilatorie. Le allargai le gambe lentamente ma inesorabilmente. Chiara tentò di resistere, ma poi cedette d'un colpo e mi lasciò fare. Sembrava bloccata, così come un animale rimane paralizzato dalla paura di morire di fronte ad un predatore feroce perdendo ogni possibilità di difesa. Le mani sospese nell'aria come due artigli inutili.
La sua vagina era coperta completamente da un folto e inestricabile cespuglio di peli neri e ricci, fitto talmente tanto che era impossibile riuscire a vederla. Lentamente affondai il volto in quel bosco nero respirando a fondo l'afrore fortissimo che ne emanava. Muovevo il viso su e giù facendomi accarezzare dai peli ed aprii la bocca afferrandoli con le labbra. Tirata fuori la lingua iniziai ad esplorare il bosco trovando finalmente la vagina. Ne forzai l'entrata in punta di lingua riconoscendo immediatamente il succo dell'eccitazione. Chiara era eccitata! Scoprirlo mi dette coraggio e, con le mani, scostai la peluria mettendo in vista il clitoride. Lo presi immediatamente fra le labbra succhiandolo. Il gusto era forte, probabilmente aveva fatto pipì prima di arrivare in ufficio senza usare carta igienica per asciugarsi.
Iniziai a leccare e succhiare con regolarità il clitoride e mi parve di intuire una sua leggera spinta di bacino verso la mia bocca, la mia lingua. Il respiro sembrava ormai quello di una partoriente. Con il dito medio della mano destra portai un po' del succo vaginale verso l'ano per lubrificarlo e subito dopo ne forzai l'entrata. Chiara spinse il bacino verso l'alto, come per sfuggire alla vergogna, ma subito dopo l'abbassò accettando che io vi entrassi con tutto il dito. Cominciai allora a contrarlo all'interno dello sfintere e ne sentivo la pressione con la punta della lingua quando scendevo profondamente nella vagina. Tutto il mio viso era bagnato dai suoi umori.
In una frazione di secondo sentii le sue mani sulla testa che mi spingevano verso la sua vagina, le delicate contrazioni dell'ano intorno al mio dito e il rantolo che le usciva dalle labbra, quel suono che nemmeno la prorompente vergogna che stava provando in quell'istante era capace di trattenere. Subito un fiotto di liquido misto ad urina le schizzò dalla vagina bagnandomi il viso e inondando la mia bocca aperta. Lo deglutii avidamente con la stessa lussuriosa sete con la quale si beve una birra ghiacciata. Chiara era mia, l'avevo bevuta.
Mise le mani a coppa sulla vagina, si piegò di lato e chiudendo le gambe in posizione fetale scoppiò immediatamente in lacrime. Io, imbarazzato per il suo pianto inconsolabile, le sussurrai all'orecchio che stesse tranquilla perché c'ero io con lei e, finalmente, stava per diventare donna. Il membro era tesissimo nelle braghe e mi sciolsi la cintura calandomele giu. Chiara, avvertito il movimento, girò di scatto il viso verso me e, affondando il suo sguardo implacabile nella mia anima, mi chiese, sconvolta dai singhiozzi come un bambino che ha appena finito di piangere, se avevo intenzione di sposarla dopo. Le dissi di sì in un sussurro lamentoso affondando immediatamente il membro nella sua vagina. Lei trattenne il fiato per il dolore e poi, abbandonata la testa sulla scrivania, mi lasciò fare fino a quando, sentendo l'anima lacerarsi dentro, godetti profondamente in lei.
Oggi sono passati dieci anni e Chiara è diventata mia moglie. Non ho più la Porsche però ho 15 chili in più, tre figli e nessuna domestica perché c'è sua madre che le da una mano. E' sempre in casa con noi visto che è rimasta vedova ed adesso mangio il polpettone tre volte la settimana. Quella volta in ufficio lei rimase incinta ed io dovetti sposarla sotto velata minaccia di scandalo per violenza sessuale con il rischio di coinvolgere tutta la famiglia. Ho fatto l'amore con lei altre due volte, velocemente, sotto le lenzuola, e così sono nati gli altri due figli... non mi frega più di nulla. Vado al lavoro, lavoro tanto, torno a casa e mangio tutto quello che trovo voracemente. Poi divano, televisione e letto. Un po' di emozione la provo ancora quando Chiara mi apre la porta di casa alla sera, mi guarda dritto negli occhi, sorride ammiccando con una smorfia e mi dà un bacio leggero sulla guancia destra... il cuore allora mi batte un po'.
Ocramocra