Mara ha ancora molte vite; in realtà non ne vuole più nemmeno una.
Sono passati sette anni da quando Romeo se n'è andato e non c'è giorno in cui Lei non pensi a Lui.
Lo cerca, lo aspetta.
Ha bisogno che le parli, l'ascolti, l'aiuti, la scuota; si diverta con la sua tenerezza.
Non si è mai profusa in lodi sperticate per il loro rapporto, ma le manca quella catastrofe dileguata nello scudiscio di cuoio che giace logorato ed inerte nell'armadio.
Da tanto tempo.
Troppo, oramai.
Romeo era una specie d'uomo cattivo, con il labbro superiore carnoso e prominente e la mano serrata nel pugno, propaggine agghiacciante di un braccio fortissimo e violento.
L'Amore lacerante dentro il letto.
Il Patimento offerto per quel maschio che ogni volta pareva volerla sbranare.
Lei sempre lì: attenta, pronta, sollecita e tollerante.
Prostrata ai suoi piedi, sapendo di non riuscire mai a rialzarsi illesa dalle strane manovre inferte a racemo di righe.
Lui era l'adorato tiranno che toccava il dolore innocente e poi ripuliva tutto.
Le lenzuola, le biancheria, la pelle marchiata e cedevole.
Ora Mara vuole rimanere sola, senza storie né lagnanze da mitigare.
Niente impegni ed estremismi languidi da occultare.
Accetta i pochi inviti dei conoscenti quando non può farne a meno; ma la parte preponderante della sua essenza desidera solo poter tornare presto a casa.
Perché al disagio di misurarsi in sfregi emozionali con gli altri, preferisce la quiete solinga dello zero.
Solo Giulia le è rimasta accanto; l'affezionata e fedele amica di una vita.
Non ha nemmeno telefonato ed oggi si è presentata alla porta di casa.
E' in piena crisi sentimentale; suo marito l'ha lasciata per una lunga e spigolosa taglia 38, che ocheggia in qualche boutique di moda del centro.
Mara la osserva in piedi sulla soglia; sembra cambiata.
I capelli mesciati di biondo cadono diritti sino alle spalle in un caschetto perfetto.
I grandi occhi celesti sono truccati come una dama di un quadro fiammingo.
Le scarpe dalla forma arrotondata con tacco alto e plateaux, abbinate al cappotto mélange sulle tonalità del viola porpora, sono un abbinamento azzeccato e trendy.
Una mise inusitata e affascinante.
- Stasera dormo da te, non riesco ad abituarmi a stare sola - annuncia dirigendosi bruscamente verso il salotto per aggredire il mobile bar - ho solo voglia di piangere - .
In effetti, ha lo sguardo molto triste e gli occhi umidi e gemebondi.
Si versa prontamente un doppio brandy nel bicchiere, fissandolo senza il dubbio di vederci dentro qualcosa.
Dietro l'haute couture di una mossa studiata è celato il desiderio di uscire allo scoperto.
Mara sospira e le allunga un fazzoletto.
Le lacrime sono sempre funzionali, liberano dalle proteine di scarto ed hanno bisogno di un palliativo assorbente per sentirsi più sicure e gratificate.
- Certo, puoi restare quanto vuoi - sussurra sillabando una fila d'incitamenti incoraggianti.
Poi, le toglie il tumbler dalle mani e la cinge con le braccia da parte a parte.
L'odore che l'amica si porta addosso sa di sapone ed olezzo costoso.
L'ispirazione rimane frullata da un condizionatore incandescente e scoordinato.
E' rapida, gradevole, pressante e con molto senso.
S'aggrovigliano i pensieri talmente avidi e limacciosi che vorrebbe disfarsene subito e cacciarli via.
Giulia sembra avvertire l'ammonimento e corre subito ai ripari.
Si sfila il pastrano e fa notare la forma morbida e rotonda dei seni, sotto il golfino color fiamma di soffice cachemere.
- Oh, Lui mi manca così tanto! - insiste lamentosa con una vocina spezzata e convulsa.
Farsi consolare adesso è come sferrare un attacco.
Lasciare il tepore conosciuto per forzarne un altro, contratto.
Mara l'abbraccia, la sostiene, l'accarezza, la coccola con piccoli sfioramenti sulle gote.
Poi decide di accompagnarla in camera da letto.
L'aiuta a spogliarsi.
- Hai bisogno di riposare - .
Con grazia e dolcezza continua a spalmarle le guance e le spalle, quasi ad acquietare ed infondere confidenza con le preziose e querule memorie.
Sta sfiorando un corpo reale, non uno di quelli che si vedono sulle riviste che legge ogni volta che vuole sognare.
Tornito, soffice, elastico, slanciato.
Fra breve interamente svestito.
Qualcosa che esiste davvero perché sta ballando sull'orlo del precipizio.
Facile da trattenere; con le dita, con le unghie.
Semplice provare a farlo godere.
Forse ha trovato qualcuno con cui lasciarsi tormentare dallo scompiglio.
- Almeno tu, mi vuoi bene? - sussurra Giulia rilassandosi supina contro il letto.
Mara si protende su di lei; sente il riflesso della specchiera sul muro toccare se stessa in una polla di fluido riverberante.
Vorrebbe serrarle le gambe invece gliele divarica in una posizione sconcia, come ad aprire il proscenio di una descrizione plateale.
Le sfiora la sua dolcezza in un rifugio di carne turgido al tatto.
La prende e la bacia, con la lingua, con le labbra.
Le arrotola tra le natiche le mutandine smilze di pizzo nero.
I peli serici sotto le dita sono setole di pennello che solleticano la bocca.
Sopraffatta dalle sensazioni tattili cerca di calmare lo spasimo del desiderio così forte, barbaro e conosciuto.
Ricorda il suo uomo; i dialoghi morsicati, i rifiuti, il desiderio frustato e irrigidito nascosto nello scomparto dell'armadio.
Questo non è un patto d'Amore.
Solo insistenza malata nel vedere aperte le fessure rancorose in un esercizio di lussuria e godimento.
L'orgasmo preteso ed offeso nella spirale nebulosa della perdita e dell'abbandono.
Rimane piegata ascoltando le falangi scorrere e battere contro la cervice, fino alla parte inferiore del canale.
Quello non è il posto della sua frenesia.
L'arroganza le permette di agitarsi oltre misura e nell'impeto dell'eccitamento ordina all'adepta di genuflettersi e renderle ossequio.
Mara conosce bene Giulia.
Sa che non ha mai amato, né voluto bene a nessuno.
Ora vuole gingillarsi e piangere al suo cospetto facendo finta di smarrirsi, di separarsi davvero dalla solitudine e dalla costernazione.
Ci sono molti modi per commemorare.
Il bianco opaco delle pareti e il beige pulito degli infissi.
La luce di vaniglia che rischiara la stanza e batte altezzosa sull'appiglio diritto a tre liste uscito dal fosco nascondiglio dello stipo.
Infondo, le piace guardarla frignare china su quel petto abbondante, con i capezzoli eccitati e rossi come il vino.
Dominarla la fa sentire vivida e vincente.
- Fammi entrare dentro di te - geme Giulia, accorgendosi che è pronta ad inghiottirla, ad accoglierla fino al fondo del piacere.
Con i pugni chiusi si è già incurvata sulla pancia portandosi un poco indietro con il bacino.
Sta osservando l'amica cattiva rimirarsi nell'enorme cornice dorata, con uno sguardo pieno di cupidigia e fierezza; per nulla intimorita dal manico impiantato nella sua mano destra.
Ha il viso pallido e i lineamenti tesi come fili di ferro.
Si respira la percezione fulminea di quanta corruzione appassionata ci sia nell'atmosfera intorno.
E' il momento propizio.
Riunirsi ad un antico legame disfatto destinato alla profanazione; dove ogni amplesso coincide con un perpetuo e reciproco annientamento.
Mara schiocca il primo colpo, poi il secondo, il terzo.
Sogghigna davanti a quella scaturigine arrossata.
La turbano una miriade d'emozioni, commiste fra gioia e sofferenza.
Le stesse che ha provato Lei ogni volta che faceva l'Amore con Lui.
La camera rimane affogata nella promiscuità.
Quattro, cinque, sei, sette sferzate.
Il suo mondo è rovesciato per vederne il senso.
Fica e bastone.
Sopra e sotto.
Passato e futuro.
Buio e Luce.
La frusta chirurgica segna e rimbomba nelle orecchie e sconta i vuoti impediti e sdraiati sopra i messiticci che non vogliono più affiorare.
Deve pure ritrovarsi.
La batte sul culo per distillare i ricordi e farne perle di godimento.
Sempre più forte.
Lo staffile è prezioso, niente va sprecato.
L'eccesso la stordisce ma non l'esalta.
Nello stato d'assedio sfida l'equivoco di un Amore perduto di cui si porta tutto il peso da sola.
Il gioco della seduzione affonda tra le natiche contuse con il colpo finale, dove la parte più rilevante di Lui sarà custodita per sempre.
- Basta, mi fai male! - grida Giulia in una maschera di terrore sacrilego.
Da bastarda sfinita, Mara si ferma e prorompe in un orgasmo.
Sa di aver picchiato duro con tutto il corredo d'assalti, ferite e sangue nel feretro incarnato della brutale alcova.
Il corpo sta assottigliando la lontananza per diventare disponibile alla vita.
L'effetto fatale della sottomissione sta nella condiscendenza della vittima; il permesso che ognuno concede all'altro smentisce la perversione dei ruoli.
Improvvisamente, prende coscienza di quanto le sia piaciuto ricevere ordini, essere battuta, farsi oggetto inconsapevole di pratiche umilianti e masochistiche.
L'autorità della mano che colpiva, che sculacciava, la voce del padrone che comndava di assumere tutte le posizioni possibili.
La cinghia che piagava avidamente le sue carni, il pene che vagava dove Lui voleva andare.
Tutte le punizioni degradanti da leccare bocconi in ginocchio.
L'eccitazione elevata al massimo delirio.
- Stai tranquilla, Cara - mormora Mara rimboccandole la coperta - ora cerca di dormire, domani è un altro giorno - .
- La verità è che non sarai mai felice senza quei 20 centimetri d'uomo! - la voce di Giulia la insegue per le stanze.
- Ma no, dai! - è oramai lontana e forse non più udibile - sarò felice anche senza - .
Romeo non c'è più da tanto tempo ed a forza di reagire alla mancanza, capisce che il ricordo sta lentamente scomparendo.
Con il pugno stretto sul manico rossiccio, Mara s'infila nella toilette.
Fa scorrere l'acqua dal rubinetto nella vasca e versa una doppia dose di detersivo profumato.
Adesso deve pulire tutto: le lenzuola, la biancheria, la sua stessa pelle.
Subito, in gran fretta.
Il suo Amore vuole così.
Perché Romeo continua a guardare.
Rossogeranio