"L'Amore in un battito di luna
vive d'immortale attimo
nel cuore memoria di eterno.
L'Amore dimenticato
Mai fu Amore"
Matilde guardava le acque del lago, scure e calme come una calda coperta. Rabbrividì appena per un rivolo di vento che si era alzato impercettibile dal fondo e si strinse d'istinto nel paltò, nero come i suoi pensieri. Mise le mani in fondo alle tasche e respirò lungamente l'aria, socchiudendo gli occhi a quella sensazione. Da lì non poteva scorgere la casa di pietra, nascosta per buona parte dell'anno dalla nebbia e dagli alberi d'alto fusto che la circondavano.
Era un posto dimenticato da Dio, per arrivarci bisognava inerpicarsi per una salita fino ad un certo punto, oltrepassato il quale, si poteva proseguire a piedi. Quel posto era rude come le mani di un contadino, il terreno degradava con un susseguirsi disordinato di pietre e ciottoli fino a che non sembrava mancare il terreno, mentre alla vista si offriva un quadro surreale vestito di nebbia che si stagliava sotto un cielo plumbeo.
Era un eremo magnifico, decadente e incline alla malinconia: l'ideale per due amanti.
Era lì che Lei l'aspettava.
Dentro la casa dei larici la fredda pietra diventava un ricordo non appena si oltrepassava la soglia e ogni istante del corpo, ogni respiro, ogni lembo di pelle e di memoria veniva investito dal calore buono che sprigionava il grande camino.
Matilde richiuse la pesante porta di legno dietro le spalle. Una folata di gelido inverno invase la grande sala, poggiandosi appena sulle antiche bergére di cuoio stinto dagli anni; s'insinuò nelle narici, arrendendosi poi al profumo del tabacco e del cognac, antichi incontrastati proprietari di quel luogo che a denti stretti, in obbedienza a quell'aplomb tutto britannico, avevano accettato il compromesso gentile con le volute speziate degli incensi, con la dolcezza d'olfatto alla vaniglia che ora sprigionavano cinque candele crema sparse per la sala.
Lei era assorta dentro le pieghe di una lettura che amava; il volto d'ambra, rischiarato dalla luce gialla delle fiamme, era un quadro d'altri tempi vestito d'attuale jeans.
Le maniche della camicia, sbottonate, lasciavano intravedere le braccia fino ai gomiti e le dita, agili e affusolate, sottolineavano le parole, una dopo l'altra, quasi a volerle scegliere, quasi a ordinare da un menu letterario il piatto che fa gola.
Si fermò un attimo quando sentì la porta richiudersi in un rumore sordo e inequivocabile; le mani si contrassero sulle pagine... stava assaporando quell'attimo, masticandolo sotto la lingua, arrotolandolo nel palato senza ingoiarlo, perché il sapore a lungo rimanesse fisso nella memoria della saliva.
Lei era lì ...a separarle pochi metri.
Intuì nel silenzio, nell'assenza di parole, la carica incontenibile farsi elettrica e vibrare nell'aria.
La sentì snudare le dita dai guanti, liberarsi del soprabito nero, della sciarpa cremisi e avanzare danzando la vertigine dei suoi tacchi.
La trafisse di screziata ambra; lei sentì il fiato del suo bacio annullare ogni sofferenza passata, ogni attesa, ogni distanza.
- Dimmi quante volte lo hai pensato. Ed era proprio così, caldo ed ingombrante dentro la tua mente, come un pensiero-nido a masturbarti il sonno fino a chiuderti gli occhi nell'idea di me.
Dimmi quante notti hai consumato a immaginarmi carne e non più aria, cucita alle tue mani, a nuotarti la pelle in ascesa fino alla tua bocca.
Dimmelo, dimmelo adesso amore... -
Lei non rispose.
Lasciò che il suo abbraccio la scaldasse e la riempisse di ogni parola, che le sue mani le circondassero le spalle e piano scivolassero lungo la schiena, seguendone il profilo. Attese che sfiorassero i fianchi e risalissero il ventre alla ricerca dei suoi seni, che li afferrassero, che li inglobassero nel tocco sapiente dei palmi, nelle carezze premute.
Inarcò il busto a godersi quello stillicidio d'amore, quel preludio al sesso pieno e maturo che tanto avevano atteso.
Il fuoco danzava nel camino, le mani sul suo corpo; lingue aranciate e rosse s'inseguivano voraci e tutto intorno, la stanza, le pareti, arredi e suppellettili vivevano l'ovattato tremore a coprirli, inconsapevole fondale d'ombra.
Si staccò ansimando...lei si voltò a guardarla: due occhi spietati, lucidi di voglia, si perdevano dentro il silenzio, tra le pieghe della sua carne, fino a farle sentire nette le spinte, feroci i morsi.
- Accarezzami... - le sussurrò allungandosi felina contro il suo corpo.
Si ritrasse, azzardò un bacio... poi si ritrasse ancora...
Lei inseguì la calamita di quelle labbra, meravigliosamente ambigue, quasi bambine nella rosea perfezione da cui affiorava lo smalto bianco dei denti. Morbida ed eccitante, coperta appena dalla cipria del suo negligè, si mosse lenta sopra la sua donna, intersecando le gambe a quelle di lei, il bacino sollevato e i lunghi capelli a disegnarle l'alchimia d'amore sulla pelle.
Le mani obbedirono cieche all'impulso e le carezze esplorarono, percorsero, indugiarono, esplosero in un crescendo invasivo e si trasformarono in bramosia, in voglia estenuante di sesso.
- Toccami amore...ti voglio dentro - le aveva sussurrato in un orecchio. E lei era impazzita a quella richiesta, al tono dolce e tuttavia senza replica; le aveva strappato di dosso l'ultimo lembo di stoffa, le aveva reclinato la testa indietro, con violenza quasi, afferrandole le ciocche dietro la nuca, costringendola ad offrirle la gola in pasto.
Si era cibata della pelle sottile a ricoprirla, leccandone avida ogni sussulto, ogni parola soffocata. Ne aveva ingoiato il roco ansimare, trattenendolo tra i denti e a morsi le aveva mostrato l'infinito.
Ora giaceva tra le sue braccia, bruciante, incapace a chiedere di voce ma solo con la pelle.
Lei intendeva il suo linguaggio,non si staccò dalla sua bocca e liberò le spalle dalla costrizione della camicia, slacciò l'ultimo bottone e marchiò a fuoco la sua carne.
Il cuore pulsava come impazzito contro le assi del pavimento che avevano accolto incredule il violento impeto delle sue mani sul corpo di lei. Le spalancò le gambe, di oscena fretta, la mano destra premuta sulla sua bocca che mordeva il freno, la sinistra a cercarle in mezzo alle gambe la risposta al gesto estremo.
- Mi fai morire - ...un sussurro la voce, quasi incavata, ovattata dentro le parole, le schioccò vibrante nella testa, aprendo il varco al baratro che non conosce freni.
Si fermarono un istante... Matilde allontanò le ciocche dalla bocca di Lei: un gesto di dolcezza tra la furia dei sensi, e sentì forte quel senso d'appartenenza che aveva sempre negato ad altri: Lei, il suo universo complementare senza ragione.
Lei, l'unica lei, d'appagante mistero, di cieca passione scivolata tra la seta delle lenzuola.
Lei, l'unica Lei che le sverginava ogni volta la pelle, che le inondava la bocca di poesia e il respiro di carne.
Lei, il grido univoco che spezza l'armonia del silenzio e l'abbandono totale nelle mani.
Lei da vivere ad occhi sgranati per fissare ogni attimo di quel volto, di quelle lame, di quella bocca di candore equivoco, per non dimenticare nemmeno l'odore che sprigionano i pensieri sconvolti e tremanti che ora sfuggono al controllo e amano, bramano, penetrano feroci il fiato.
La notte svanì in un soffio di azzurra nostalgia, bagnato dal timido sole di montagna.
Matilde guardò la sua donna dormire e piano, per non svegliarla, andò alla grande finestra che s'apriva sul giardino. Scostò i capelli dal viso sentendo ancora addosso il suo odore e spinse lo sguardo oltre la neve che imbiancava l'orizzonte. Voltandosi s'accorse che quella stanza sapeva ancora d'amore, che tiepido dormiva come l'ultima cenere ancora calda nel camino ormai spento.
Accarezzò con la mente quel corpo abbandonato nel sonno e pensò che con lei avrebbe potuto vivere ed essere felice. Che nulla avrebbe potuto la vita e che della sua vita ormai era parte. Lei stava dentro ogni tempo, d'assenza forte e presente. Viveva nel sorriso di ogni mattino, in coda per andare al lavoro, mentre era a colazione, mentre sorseggiava il caffè e leggeva il giornale...lì, tra i caratteri in grassetto e l'odore del tabacco, tra le dita affusolate era Lei a impregnarle l'attimo.
- Dormi, mio amore...mentre ti accarezzo anche i sogni - , pensò tra sé e quasi senza accorgersene.
In quel preciso istante, quasi l'avesse udita, lei aprì gli occhi e la bevve in un respiro.
Un ultimo bacio e la vita le ingoiò di nuovo, lontane e irraggiungibili.
Le mura antiche rimaste a custodire il senso della notte, rimasero silenti ad attendere che fosse di nuovo amore.
Perchè nessun luogo è lontano, nessun tempo impossibile.
"Vitrea gemma tra i denti
ballami d'ambra un coma etilico
Di suoni e oblìo che gronda
dimentico il mio nome
a galleggiarti inerme
gocce somiglianti al pianto.
Bevo anche te
naufraga in questo mare ebbro
ad invocarmi un fianco di piacere
morso nell'abbandono triste di due dita
dentro la mia carne
nel doloroso intreccio di un addio."
-Erato-
Erato