La donna osserva il mare con sguardo struggente. Seduta sulla battigia si lascia accarezzare i piedi dall'onda lenta, mentre i suoi pensieri vagano tornando indietro, ad un passato che la chiama a sè con ineluttabile intensità.
Sul volto il tempo ha scavato il suo passaggio con clemenza, lasciando intravedere sotto la ragnatela di piccole rughe ancora l'antica bellezza.
Con la mano scosta una ciocca di nivei capelli che il vento dispettoso le fa danzare davanti agli occhi. Il sorriso che le nasce sulle labbra contrasta col suo aspetto di vecchia signora: è un sorriso birichino, ove la malizia emerge creando un'antitesi affascinante.
Le labbra si muovono creando un nome che la voce non colora, lasciandolo muto eppure inconfondibile :
- Marco –
Da tempo non pronunciava il suo nome, ma il mare è l'elemento evocatore, indissolubilmente legato al suo ricordo. Perché Marco è come il mare, una creatura complicata e selvatica, difficile da capire, impossibile da imbrigliare.
Profondità oceanica che sa brillare della luce più pura.
Quanto tempo è passato, quanta vita le è scivolata sopra dal loro primo incontro !
Eppure il suo ricordo è li : forte come la roccia, costante come la marea, certo come l'universo.
Testardo come lui.
L'altra faccia dell'amore.
Non era libera, aveva un marito che amava e una famiglia serena. Aveva i problemi di tutti e la frenesia di correre incontro al domani che avvelenava la gente di quel tempo. Il lavoro le assorbiva quasi tutta l'energia, ma non se ne rendeva conto, preoccupata solo di costruire il futuro.
Poi un giorno nefasto una malattia l'aveva sorpresa impreparata. Si era scoperta fragile e guardando la sua esistenza aveva scoperto un angolo oscuro che voleva emergere.
L'altra faccia dell'amore aveva iniziato a vivere.
La malattia era stata affrontata e vinta. Ma la consapevolezza di quel nuovo bisogno l'aveva cambiata. Aveva scrutato il mondo circostante con occhi diversi, cercando quel giardino incantato che sapeva esistere da qualche parte.
Aveva vagato per nuovi sentieri, incontrando molti visi e pochi cuori.
Aveva giocato come una bimba in stanze di parole e pensieri scurrili.
Si era divertita a fingersi femmina scaltra e di seduzione armata.
Poi un giorno lo aveva visto.
Era con degli amici e rideva dei loro complimenti. Si lasciava avvolgere dalle loro frasi scontate e ribatteva in una sfida verbale che le faceva brillare gli occhi.
Lui si era presentato con un'eleganza inconsueta in quel contesto. I suoi occhi erano seri , profondi e scurissimi.
Quando l'aveva guardata e le aveva sorriso si era sentita accettata, compresa, amata.
Si, era stata un'alchimia magica, una sensazione di calore spirituale che le aveva provocato le vertigini.
Ma subito le barriere che la proteggevano si erano innalzate captando il pericolo. Aveva cercato di tessere una rete di fitte maglie fra loro, per non soccombere al magnetismo che da lui emanava, sgretolando le sue regole.
L'amicizia era sbocciata con la timidezza delle primule, bucando quel manto di neve che lentamente andava sciogliendosi. E lui l'aveva conquistata con la sua pazienza.
Non che fosse un uomo paziente in realtà !
Anzi, era una dote a lui quasi sconosciuta. Eppure aveva avuto con lei una pazienza infinita. Le aveva fatto sentire che era libera di prendere da lui senza dare nulla in cambio. L'aveva ascoltata per ore, aveva sorriso con lei, l'aveva accompagnata verso la scoperta del suo essere donna bambina, e le aveva fatto capire che non era sbagliata. Certo, a volte sbuffava ! A volte i suoi occhi diventavano di brace per il desiderio inappagato, per le sue tempeste in un bicchiere d'acqua, per il suo civettare sfacciato con altri per farlo ingelosire.
La prima volta che l'aveva baciata era impressa nella sua mente in maniera indelebile.
Al solo ripensarci sentiva ancora il profumo di fragole che lui aveva mangiato poco prima, e che lei aveva assaporato dalla sua bocca. Erano immersi in una chiacchierata fatta più con gli occhi che con la voce, quando lei si era smarrita ad inseguire il movimento della lingua che intravedeva muoversi al di là della barriera di denti. Lui aveva visto i suoi occhi diventare golosi e si era leccato le labbra, sfiorandosi con la punta rigida prima un angolino, per poi disegnarsene tutto il contorno lasciandovi una lucente traccia di saliva.
Un gesto di inaudita sensualità.
Poi le si era avvicinato e, senza toccarle il corpo, divenuto improvvisamente rigido per il desiderio, aveva leccato nello stesso modo le sue. Non aveva forzato le labbra, non l'aveva stretta a se, ma aveva continuato a leccarla per un tempo infinito, soffermandosi a sondare le profondità degli angoli, arrotolando la lingua sullo spessore tumido della sua bocca, fino a quando un gemito deliziato non gliele aveva dischiuse. Allora era entrato e si era soffermato sui denti. Li aveva toccati ad uno ad uno, massaggiandole le gengive con la punta turgida fino a che la bocca non si era aperta completamente a lui. Aveva succhiato la sua lingua, l'aveva trascinata nella sua bocca e aveva iniziato ad avvolgerla e a stuzzicarla, intrecciandosi in un gioco di tocchi che l'aveva fatta sciogliere. Non vi erano stati altro che baci quel giorno, tanti da farle mancare il fiato, tanti da inebriarla, tanti da farla vibrare di inaudita passione.
I pensieri si sovrappongono portandole alla mente altre scene, altri brividi, altri sogni.
La passeggiata al lago riemerge prepotentemente.
Si erano dati appuntamento per le tre del pomeriggio nel bar di fronte al lago. Lei era arrivata con un'ora di anticipo. Aveva camminato rimirando la natura rigogliosa di quel piccolo eden. Senza accorgersene si era inoltrata nel folto del sottobosco, affascinata dalla pace di quel luogo paradisiaco.
Non aveva sentito il suo passo mentre la seguiva silenzioso. Non lo aveva sentito avvicinarsi.
La sua mano sulla spalla l'aveva fatta trasalire spaventata.
Con le braccia le aveva cinto da dietro la vita, baciandole la nuca mentre sussurrava: – Tranquilla amore, sono io – Ma lo aveva già riconosciuto. Lo aveva percepito dal suo odore, dal tocco delle sue labbra, da qualcosa che le si accendeva dentro quando lui era vicino.
Era successo lì la prima volta, con le chiome degli alberi a fare da tetto e gli uccellini a cantare la serenata, in un letto di foglie ancora roride di rugiada.
Le aveva tolto gli indumenti con mille carezze e l'aveva percorsa con le dita come si fa con la porcellana più delicata. L'aveva lavata con la saliva, leccando e baciando ogni centimetro della sua pelle, fino a farla gemere senza pudore.
Appoggiata ad un albero, completamente nuda, aveva allargato le gambe e si era lasciata lambire da quella lingua sublime, gridando il suo orgasmo al cielo sovrastante, mentre lui la beveva ghiotto, trattenendosela sulla bocca con le mani avvinghiate ai suoi glutei. E quando era crollata a terra, le gambe diventate gelatina per il troppo piacere, lui le era salito sopra e l'aveva cavalcata a lungo, instancabile e selvaggio, baciandola fino a farla boccheggiare per mancanza di fiato; Fino ad essere travolta da un nuovo orgasmo quando il suo seme caldo l'aveva riempita con fiotti infiniti.
La donna segue con gli occhi i gabbiani stridenti che si librano in cielo, le gote rosee per le emozioni che i ricordi le stanno riportando, vivi e profumati di immutata felicità.
Il primo vero scontro era stato come un temporale estivo. I tuoni avevano incendiato l'aria mentre il nero cupo delle nuvole li avvolgeva. Non vi era un motivo reale per giungere a quel litigio violento. Solo ombre indefinite, picchi di gelosia inadeguati fra due anime libere come loro.
O forse il bisogno di condividere anche la rabbia, la violenza di una tensione che provava la tenacia del loro amarsi fuori da qualunque schema.
Gli occhi di entrambi erano stretti e furenti mentre si fronteggiavano, usando il silenzio come una lama crudele. Lei lo aveva guardato, cercando nel suo sguardo uno spiraglio di luce prima di parlare:
- Forse è meglio che me ne vada – Aveva atteso, aspettandosi di essere fermata. Ma la sua risposta:
- Se è questo che vuoi – l'aveva ferita a tal punto che era fuggita senza nessuna altra parola.
Giorni di silenzio e dolore. Maledicendo se stessa per avergli permesso di entrarle nel cuore; promettendosi di non cercarlo mai più.
Si erano incontrati ad una festa una settimana dopo.
Lei lo aveva evitato, continuando a parlare con altri, fino a quando le si era avvicinato e le aveva chiesto con voce incolore : - Dobbiamo ignorarci ? - .
Lo avrebbe picchiato con furia in quel momento; o baciato fino a farlo morire soffocato.
Lo aveva guardato dura, prima di ribattere: - Come vuoi tu, ma forse dovremmo parlarne. – L'aveva presa per mano, quasi strattonata per la foga e l'aveva portata in un posto più isolato, aprendo la prima porta che si era parata loro dinanzi.
Erano finiti nello sgabuzzino del locale in cui si trovavano. Fra scope e detersivi si erano affrontati con una rabbia lacerante. Le parole cattive che volevano esplodere tra loro si erano però trasformate in baci divoranti. Baci profondi e devastanti. Baci dove la fame superava l'ira.
Si erano strappati gli abiti di dosso, si erano annusati, si erano leccati, si erano aggrappati l'uno all'altro come due naufraghi disperati. Lei era finita riversa su di uno scaffale, accartocciata fra spazzole e stracci, con i seni premuti sul freddo acciaio, i suoi denti sulla schiena e il cazzo che le premeva fra le natiche. In quell'accoppiamento selvaggio lei lo aveva voluto, non si era tirata indietro per farlo scivolare nella vagina, ma aveva spinto il culo contro quella mazza di carne fino a farsene riempire completamente. E l'urlo con cui lui la colmava di sperma l'aveva fatta impazzire di piacere. Erano rimasti a lungo abbandonati uno sull'altro, incapaci di muoversi e di parlare. Poi lui l'aveva obbligata a voltarsi, aveva asciugato i suoi occhi lucidi di lacrime con tanti piccoli baci e se l'era stretta sul torace con una dolcezza incredibile. Fra i capelli le aveva sussurrato le sue scuse, dicendole che era un folle a rischiare di perderla, che non sapeva il perché di certi giorni bui, dichiarandole il suo amore mentre una lacrima disegnava la sua guancia, facendolo apparire ancora più uomo.
Marco amava il sesso. Se gli capitava non disdegnava certo un'avventura.
Nel loro viversi c'era anche questo: parlavano delle sue storie, delle donne che incontrava, con una complicità incredibilmente rara e vera. E se a volte lei era gelosa non era del suo corpo, ma solo delle sue attenzioni e dei suoi pensieri.
E il loro parlarne trasfigurava in potente afrodisiaco. Peperoncino piccante di cui cibarsi, leccandosi le dita per assorbirne ogni sfumatura erotica.
Era quasi un anno che si conoscevano quando le aveva raccontato di una nuova amica che frequentava. Tratteggiò con una frase sola l'ultimo incontro con lei :
- Ieri ha assaggiato il mio nettare –
- Quella piccola puttana ! Come ha osato bere il mio latte ? – lo aveva detto ridendo, ma nei suoi occhi era già nata la lussuria.
Erano in macchina e Marco guidava, ma il pericolo era ulteriore combustibile sul fuoco che le vibrava dentro. Lo avvolse nella sua tela tentatrice, iniziando a toccarlo sopra i pantaloni fino a sentire il fallo risvegliarsi alle sue carezze. Apri la cerniera beandosi dell'erezione fiera che aveva risvegliato. I suoi mugolii di piacere le tintinnavano nelle orecchie mentre con la lingua avvolgeva la cappella, per poi rivestirla di luccicante saliva.
– Amore mio, aspetta che mi fermo. Se continui andiamo a sbattere !- Non lo aveva fatto fermare.
Con la bocca lo aveva risucchiato in un vortice divorante mentre le mani sondavano impudiche i testicoli e spingevano il cazzo fino in fondo alla gola.
Quando aveva rialzato il viso per guardarlo un rivolo di sperma le scendeva all'angolo delle labbra e lo sguardo era quello di una femmina fiera che rivendicava il possesso. E mentre la lingua rincorreva quell'ultima scia di nettare, rimarcava il concetto con quell'unica parola: - Mio ! -
Ognuno viveva la propria vita con impegno e coerenza, il lavoro e la famiglia erano per entrambi prioritari.
Rubavano attimi di paradiso in incontri sporadici, tenendosi in contatto con mail e telefonate.
Ogni tanto qualche nube turbava la perfezione del loro amore.
Quando lui era preso da altro tendeva a isolarsi, a rispondere laconicamente ai messaggi, a non accontentare i suoi piccoli desideri.
Nei primi tempi lei si arrabbiava. Una volta lo aveva anche mandato a quel paese con una lettera in cui gli augurava buona vita, decisa a non vederlo più. La pace quella volta era stata meravigliosamente erotica.
In un periodo di quelli più neri, in cui da tempo il silenzio regnava sovrano fra loro, lui le aveva mandato un messaggio:
- Non dimenticarmi. Ti amo.-
Quelle quattro parole, le erano entrate nell'anima turbandola profondamente.
A lungo si chiese se era possibile dimenticarlo, flettendosi fin dentro al nucleo della sua intima essenza per trovarvi la risposta.
Poi prese la pergamena più pregiata e usò il cuore come penna: scrivere era l'unico modo che conosceva per esternare senza reticenza ciò che il pudore non lasciava trapelare:
- Non posso dimenticarti, neanche volendolo con tutta l'anima potrei. Qualunque cosa accada non ti dimenticherò. Ma non posso rincorrerti. Non posso interpretare il ruolo di donna petulante che pretende attenzioni e pensieri. Quando la vita ci avvicinerà mi troverai. Quando il desiderio di te sarà devastante ti cercherò. Quando il tuo desiderio di me sarà altrettanto forte mi cercherai. Non ti amerò di meno e non ti chiederò di più. Il nostro amore è nato libero e io gli rendo le ali. –
Quella lettera non l'aveva mai spedita. Una delle mille che lui non aveva mai ricevuto.
Ma l'aveva messa in pratica.
La vecchia signora guarda il sole tuffarsi nel mare tingendolo dei colori del tramonto.
Sorride serena mentre si alza, stiracchiando i muscoli indolenziti.
Con la mano scuote il caftano per far cadere i granelli di sabbia.
Sembra una ragazzina ora, con l'ultima luce del giorno morente che le illumina il volto nascondendo i segni del tempo.
Dalla borsa impagliata prende il telefono e cerca un numero; lo trova, preme il tasto e avvia la chiamata :
- Marco ? Ciao amore, ti stavo pensando . Ho voglia di vederti... –
Matilde S.