Domenica mattina di fine Febbraio. Tempo né bello né brutto, indefinito, bastardo. Tempo preso in prestito al canile per carità borghese.
Fernanda è in piedi in cucina, a bere il suo primo caffè. Nero e amaro. Non ha fame, lo stomaco agguantato in una morsa.
Guarda il calendario, con le annotazioni a penna a coprire le date.
Fra pochi giorni compirà quarant'anni.
Si tocca la guancia destra. Dolore.
Pensa.
Alla sera prima, alla scossa al cervello che ha armato le sue mani distruttive quando ha scaraventato il piatto dell'arrosto per terra, alle parole uscite fuori come serpi.
Parole fisiche, eruttate come lava, come vomito.
Rabbia, non contro qualcuno, qualcosa. Rabbia punto e basta.
Ne prova vergogna.
Decide di tornare a letto.
Il marito dorme, l'espressione mite.
Lo guarda. La colonna portante della casa, il suo porto sicuro, lo ‘stabilizzante naturale dell'umore', come si autodefinisce.
E lei è furia incontrollata, pervasiva e devastante.
Lo aveva sfidato, la sera prima, con ostilità primitiva e rozza. E lui per la prima volta era sceso nell'arena emotiva di lei.
Aveva perso la pazienza.
L'aveva picchiata. Con furia cieca.
Lui, l'uomo mite, incapace della violenza che era per lei invece sostanza esistenziale.
L'aveva battuta, sulla schiena, sulla testa.
E quel dolore l'aveva placata.
Nessuna parola era uscita dalla bocca di lei. La mente a registrare una sensazione nuova, il corpo a sentire, come non sentiva da tempo per quell'uomo con il quale viveva ormai da quasi quindici anni.
Quando lei era in balia della tempesta gli vomitava addosso tutta la sua irritazione, la devastazione, l' agitazione e la disperazione. E lui scappava. Anche fisicamente.
Più di una volta se n'era andato da casa, lasciando che Fernanda riprendesse il controllo, che esaurisse l'energia sanguinaria che la infestava, anima e corpo. E lei rimaneva sola, come una bestia rabbiosa che ha ferito, a leccarsi le sue, di ferite.
Ieri no. Ieri l'uomo equilibrato aveva reagito con violenza cieca. Fernanda aveva provato paura.
Poi si era messa a scrivere, furiosamente, sbattendo sui tasti del p.c. come a volerli annientare.
Ora lui riposa beato. Solo lei, sveglia alle 7 di una domenica mattina di carnevale.
Con i pensieri che la sua piccola testa non riesce a contenere, e che cozzano l'uno contro l'altro, come macchinine all'autoscontro.
E che generano calore. Un calore insano.
Fernanda ha dimezzato le dosi di antiepilettico e antidepressivo.
Questo è il blend che gli psichiatri prescrivono a chi soffre di disturbo bipolare, condizione di instabilità emotiva, in continua oscillazione fra picchi di euforia e baratri di depressione.
Dovrebbe aumentare le dosi. Raddoppiarle, triplicarle. Così intontita sarebbe solo una spettatrice della sua vita, che le fluirebbe davanti, come un film mediocre, dalle tinte grigie.
Invece lei vuol vederli tutti, i colori.
Entra sotto le coperte, in posizione fetale, in un auto-abbraccio che le dà calore.
Lui si muove. Avvicina una mano, le sfiora la coscia.
Oh no. Ha voglia di me... Come è possibile? E soprattutto, perché sfiorarmi, dopo tutto il veleno che gli ho sputato addosso ieri sera? Perché non farmi male, torcendomi la pelle, perché questa delicatezza? Come fa ad amarmi e desiderarmi ancora?
Questa volta decide di assecondarlo. Per quanto è stata crudele la sera prima, per ringraziarlo di aver finalmente reagito.
Il problema è che Fernanda non sente niente. E non può dare la colpa agli antidepressivi, ha quasi smesso. Avrebbe bisogno di un lubrificante. Lei, a quarant'anni e con un corpo da trentenne...
Ci prova, a pensare alle cose più sconce, ad essere una puttana con un cliente, ma ha la fica asciutta.
Come posso essere così fredda??
Allunga le gambe, si inarca un po', mima la donna che accoglie il suo uomo.
Le dita di lui salgono, le solleticano il clitoride, carezzano le labbra. Le umetta di saliva e scivola dentro.
Fernanda cerca di fermare il vorticoso ondeggiare dei suoi pensieri per essere solo corpo ma non ci riesce. Allarga le gambe, sospira. Silenzio. Movimenti impacciati. Lui entra dentro di lei.
Eppure agli inizi della loro storia d'amore lo facevano per ore, come due animali in estro, senza saziarsi mai.
Cosa era successo? Come si poteva arrivare a questa scena penosa? Fernanda prova vergogna per sé, per quell'uomo che elemosina sesso dalla sua donna.
Lo accoglie, con devozione. Il corpo inerte, passivo.
Lui non può vedere gli occhi di lei. Ne sarebbe scioccato. Amarezza, repulsione, profonda malinconia per qualcosa che a lei manca, da troppo tempo. Ad arricchire le sue giornate, a gonfiarle il cuore e l'anima.
Lui è sempre stato un grande scopatore. Dotato, in centimetri, fantasia e autocontrollo. Ora le qualità diventano difetti. Fernanda vorrebbe che lui venisse in fretta. Ma come si fa a raggiungere un orgasmo scopando una statua?
E' amaro il sapore che ha in bocca ora Fernanda. E non per via del caffè. E' la vita che ha perso la gamma di sapori e sensazioni.
Febbraio di un anno dopo.
Fernanda ha vari amanti. Fernanda sperimenta emozione e trasgressione.
L'uomo nero l'ha portata per mano in quel mondo, dove ora è rimasta. Perché può camminare da sola.
I farmaci sono un ricordo lontano. La sua bulimia sessuale, a lungo trattenuta, è esplosa in un arcobaleno a tinte forti.
Ha fame Fernanda. Fame di vita.
Di piacere sconfinato, di piacere mischiato a dolore, parole sommesse, suoni laceranti.
Cera bollente e baci. Denti e orgasmi. Saliva e sperma. Frusta e clamps. Lacrime e sangue.
E lo rivede.
Lui, l'amore di una vita.
L'uomo che ora non la ama più.
Che la disprezza, la odia, che vorrebbe ammazzarla con le sue mani.
La donna che ha amato in modo eroico.
Che gli ha rubato 15 anni di vita che non torneranno più.
Sono nello studio dell' avvocato, a dare un senso logico alla loro separazione. A decidere di soldi, case e orari.
Lui arpiona gli occhi di lei con i suoi, e Fernanda ci si specchia per la prima volta. Riconosce l'animale che è nato dalla disperazione e dal dolore.
Occhi, bocca, pelle. Tutto è selvaggio in lui. Ne sente la natura primitiva.
Si riconosce, finalmente, in quell'uomo. Così uguale, così diverso.
Tutto si confonde nella mente di lei. Il ventre brucia. Stringe le cosce perché sente la sua voglia colare, bagnando la sedia e impregnando l'aria dello studio.
Non ascolta quello che l'avvocato le sta dicendo. Firma, sorride. E' confortante, per una volta, recitare la parte dell'oca giuliva.
Scendono le scale di quel palazzo ottocentesco del centro storico. Umido e freddo, buio.
Sul pianerottolo lui balza su di lei come una fiera, la spinge contro il muro. E' ruvido, le graffia la pelle del viso.
La morde, sulla nuca. Fredda saliva le cola sul collo.
E finalmente la tensione si scarica fra i loro corpi.
Dopo anni in cui lui indietreggiava davanti alla furia incontrollata di lei, ora lui è puro istinto, voglia animale, e lei la sua preda da domare.
E finalmente si fondono, in un' amalgama di umori e suoni soffocati, muovendosi come senza asse uno sull'altra, come acqua di un mare in burrasca.
E' lui il suo domatore.
Perché è odio misto ad amore ad armare le sue mani.
Vero odio, viscerale, e vero amore, perché intessuto di passione, ma anche di tenerezza e conoscenza, condivisione.
Perché lui è il suo uomo, il suo padrone, il suo tutto.
Lui ha visto i cuccioli urlanti uscire dal corpo di lei, la follia divampare dalla sua bocca, la gioia farla urlare a squarciagola finché, ormai afona, si raggomitolava contro il suo torace, ad inzuppargli i peli di lacrime ......
Lui tutto questo ha visto, e sentito, con tutti e cinque i sensi, in lei.
E lei è sua. E lo sarà per sempre.
Amelia