Sospiro piano e il ricordo affiora, trasfigurando in iridescenti vibrazioni di gioiosa euforia.
Non so perché è successo, ma so che lo aspettavo da sempre:
Un tuffo dove l'acqua è più blu, senza nessun rimorso o rimpianto.
Baia delle Zagare, Luglio 2007
La costa garganica è di una bellezza stupefacente, ricca di spiagge, baie, grotte marine, alte scogliere bianche, faraglioni, pittoreschi strapiombi verdeggianti e un mare incredibilmente cristallino.
Il posto ideale per una breve vacanza rigenerante assieme alla mia amica Linda, la prima vacanza senza marito e figli al seguito.
Non ne avevo mai sentito il bisogno prima, talmente presa dalla mia vita da non accorgermi dell'apatia che da tempo mi aveva ricoperta, come mummificata da una sottile infarinatura che lentamente si era stratificata sulla mia pelle rendendomi refrattaria alla gioia e alla spensieratezza.
Ero partita piena di entusiasmo, desiderosa di ritrovare me stessa dopo anni in cui mi ero considerata solo madre, moglie e donna in carriera.
Ma dopo appena due giorni mi ero già pentita: non riuscivo a integrarmi in quel villaggio, mi mancavano i miei e mi sentivo troppo vecchia per giocare a fare l'adolescente civettuola.
Per Linda era diverso, eravamo partite per festeggiare il suo divorzio o, come diceva lei, il suo ritornare libera sulla piazza. Era sempre stata un po' pazzerella, disinibita e frizzante, l'antitesi di come ero io e per questo forse l'adoravo, per la sua voglia di vivere e divertirsi senza pensare troppo al domani. Io, sempre seria e posata, ligia ai doveri e perennemente di corsa a discapito del ludico e lei così viva e volubile, alla continua ricerca di emozioni e follie.
La mia vita al confronto era di una banalità deprimente: avevo conosciuto mio marito all'età di quindici anni e lo avevo sposato a venti. Era stato l'unico uomo della mia vita e non avevo mai cercato o desiderato altro.
Lei invece aveva cambiato fidanzati come si cambiava d'abito e il suo matrimonio era durato tre anni con fatica.
Quella sera mi aveva trascinato alla festa organizzata sulla spiaggia, un allucinante barbecue con una trentina di perfetti sconosciuti. Avevo cercato di socializzare, ma la mediocrità delle chiacchiere e delle avance era sconfortante. Dopo un'ora di noia mi ero allontanata dalla confusione, cercando un posto isolato dove rilassarmi un po'.
Rimiravo indolente la volta celeste, senza che la grandiosa bellezza del firmamento risvegliasse in me alcuna percezione positiva. Il grande carro occhieggiava per farsi ammirare mentre la luna placidamente si specchiava nel mare, ma io restavo indifferente, seduta sulla duna di sabbia umida, stringendo le gambe fra le braccia, senza provare alcuna sensazione di appartenenza a quel luogo perfetto.
I grandi falò erano luci di allegria e le canzoni stonate che si innalzavano dal gruppo poco lontano ricreavano un'idea hippy di nostalgica memoria. Non vi era in me nessuna voglia di partecipare, nessuna nota da unire al coro, nessuna risata da condividere. Ero vuota e pigramente avvolta dal tedio che da giorni mi faceva da compagno.
Un leggero vento creava piccoli mulinelli di sabbia attorno alle mie caviglie e sollevava la sottile stoffa del caftano bianco che indossavo. La ghirlanda di fiori che qualcuno mi aveva messo sulla testa si era inclinata di lato e si era intrecciata ai miei capelli che volteggiavano indisciplinati alla leggera brezza che veniva dal mare.
Il profumo di carne alla brace saliva assieme al fumo dalla graticola poco lontano e vedevo la mia amica Linda impegnata a conversare con l'improvvisato cuoco. Si toccava i capelli, scostandoli con aria civettuola dietro all'orecchio, mentre si chinava verso di lui per dirgli qualcosa con aria complice. Era sempre la stessa dei tempi del liceo ! La solita seduttrice che collezionava uomini come francobolli. E lui era senz'altro la sua nuova preda.
Un rumore di passi soffocati dalla sabbia e il tonfo di qualcuno che si sedeva accanto a me mi richiamarono alla realtà. La voce era giovane e simpatica, con l'inflessione tipica della gente del posto: - Stai riflettendo su quesiti basilari della vita o sei solo stufa di affumicarti vicino ai falò ? –
Osservai infastidita l'uomo al mio fianco: la luce lunare mi lasciava percepire un viso giovane, occhi grandi e labbra carnose atteggiate ad un sorriso malandrino, un corpo snello e nervoso fasciato in un paio di jeans chiari arrotolati fin sotto al ginocchio, una maglietta nera e piedi nudi .
Decisamente giovane e decisamente sfrontato.
- Ammiro l'universo e cerco la solitudine e non un giovane galletto alla ricerca di turiste da intortare – La mia voce era vetriolo e la smorfia del mio viso un chiaro invito a cercare altrove. Ma la sua risata spiazzò la mia sicurezza:
- Forte ! Sei veramente una stronza tu ! –
Ma guarda questo ragazzino che faccia tosta, pensai. Ma più che indispettirmi mi veniva voglia di ridere: era talmente tanto che nessuno aveva il coraggio di dirmi in faccia che ero una stronza ! Eppure a volte lo ero veramente.
Il mio lavoro in un posto di responsabilità mi aveva reso dura e autoritaria ed in genere tendevo ad essere molto determinata, fregandomene di apparire simpatica. Ma sentirmelo dire così, quasi come se invece di un offesa fosse un complimento era veramente esilarante.
Lo scrutai con nuovo interesse. Era veramente bellino con la sua aria spavalda, ed era riuscito a risvegliare la mia attenzione come in genere non accadeva.
- Si, presumo di esserlo abbastanza, ma tu sei sicuramente un moccioso rompiscatole ! – Ma nella mia voce c'era una vena tenera e divertita e non l'acredine di prima.
- Bhe rompiscatole può essere, ma moccioso a trentatré anni non credo di esserlo più. Dimmi bella gitana che ci fai qui sola invece di stare in mezzo ai tuoi amici ? – la sua voce era piacevolmente calda, come la mano con cui mi sfiorava il viso in un'innocente carezza.
Avvertii nel petto sciogliersi qualcosa, come se un macigno di sale si sgretolasse sotto ad una cascata di acqua limpida. Percepivo un desiderio nuovo nascermi dentro, una voglia di aprirmi e lasciare fluire quella parte prigioniera di regole e doveri che da sempre avevo relegato in fondo all'anima.
In quella notte stellata giungeva inaspettata una musica di libertà ad invadermi e a disintegrare gli strati di perbenismo che mi stritolavano.
Mi girai verso di lui e tesi la mano:
- Mi chiamo Monica, piacere di conoscerti ragazzino. – Rimarcai la sua giovane età con una smorfia condiscendente, anche se in effetti era più grande di quello che avevo immaginato.
Lui rise divertito prendendo la mano che gli porgevo, e guardandomi diritto negli occhi vi posò un bacio lieve:
- Felice di conoscerti Monica, io sono Saverio. Sarà piacevole farti capire che non sono un poppante. –
Un guizzo repentino del suo braccio e mi ritrovai sul suo torace. Avvertivo la consistenza dei suoi muscoli aderire al mio seno trasmettendomi calore.
Restai immobile e con stupore osservai le sue labbra scendere verso le mie, mentre uno strano tremito mi scuoteva.
Ma non mi baciò. I suoi occhi erano immersi nei miei, le sue labbra sorridevano sornione a pochi millimetri dalle mie mentre mi stringeva fra le braccia respirando il mio respiro. Le sue mani si muovevano sulla mia schiena in un massaggio lieve, come a voler sciogliere la mia tensione.
Mi rendevo conto di essere tirata come una molla, pronta a scattare ma incapace di farlo. Sapevo di dovermi sciogliere dal suo abbraccio e redarguirlo indignata per la confidenza che si era permesso.
Ma stavo incredibilmente bene appoggiata al suo petto e la sfida che leggevo nei suoi occhi era veramente irresistibile.
Mi accoccolai fra le sue braccia, sollevai il viso provocatoria e lo apostrofai con voce pericolosamente vellutata :
- E ora che mi hai abbracciata dovrei ritenerti un uomo? Si, sento che hai muscoli e forza, ma non basta per far di te un uomo! –
Mi alitò la risposta sulle labbra:
- Sei veramente una stronza tu, una deliziosa stronza direi! –
Le sua bocca si accostava alla mia, il suo respiro era caldo e umido, e un pizzicore bizzarro mi rimescolava lo stomaco mentre socchiudevo le labbra in attesa del bacio.
Ma lui si scostò leggermente ed invece delle mie labbra baciò la mia fronte. Sentivo la sua bocca morbida scendere sulla tempia e la lingua uscire a contare i battiti del mio sangue impazzito. Una carezza che si snodava languida sugli occhi, sulle gote, che scivolava sul mento e assaporava gli angoli delle mie labbra. Ma senza baciarmi , solo sfiorando la mia pelle con la punta della lingua.
E io mi scioglievo nella dolcezza dei piccoli brividi che mi avvolgevano.
Si staccò improvvisamente e io rabbrividii, cercando di recuperare la lucidità.
Nel mio cervello bruciava la rabbia.
Volevo il suo bacio.
Volevo restare fra le sue braccia.
Ma guardandolo negli occhi vi lessi una tenerezza inaudita, e sentii la rabbia sciogliersi come neve a quel calore.
Si alzò, tendendomi la mano per aiutarmi a fare altrettanto:
- Vieni con me Monica, voglio farti vedere un angolo di paradiso. –
Non mi posi alcuna domanda, nessun dubbio a frenarmi, solo una fiducia totale in quel giovane uomo e l'ineluttabilità come certezza.
Sfumavano luci e rumori, solo l'argento della luna ci accompagnava illuminando lo scenario che si svelava davanti a noi. La spiaggia ordinata e organizzata scompariva, il paesaggio diventava di una bellezza stupefacente mentre ci inoltravamo su uno sdrucciolevole sentiero e la macchia mediterranea ci avvolgeva diventando intricata e selvaggia. Dopo una ripida saliva il sentiero svoltava improvvisamente ritornando verso il mare e regalandoci uno scorcio di magica atmosfera.
La in basso si vedeva, racchiusa fra frastagliate pareti, una minuscola spiaggia bianca lambita da onde di cristallo.
Scendere verso quel paradiso era impervio, sentivo sotto ai piedi sabbia e roccia e dovevo appoggiarmi a lui per non scivolare. Ma mi sentivo incredibilmente sicura, Saverio pareva un gatto, agile e selvatico come il luogo dove mi stava conducendo.
Un ultimo tratto scosceso e poi finalmente la soffice sabbia sotto ai piedi.
- Eccoci arrivati Monica. Questo è il mio eden privato; Qui è dove capirai che sono un uomo. Il tuo uomo. –
Si, mentre la sua bocca copriva la mia, mentre le sue mani si infilavano sotto al caftano stringendo i miei glutei e facendomi aderire al suo corpo, riconoscevo in lui il mio uomo, quella parte di me che aspettavo da sempre, l'altra metà della mela che alla creazione di tutto era andata dispersa.
Ora finalmente potevo ricongiungermi e fondermi in lui.
Il bacio pareva non avere mai fine: Saverio inghiottiva il mio respiro e la mia saliva mentre la pelle mi si increspava sotto alle sue audaci carezze.
Il caftano volava lontano assieme alla sua maglietta.
Il reggiseno cadeva a terra assieme ai suoi jeans.
I nostri corpi rabbrividivano per l'intensità del desiderio che li permeava.
Il suo cazzo spingeva sul mio pube con insolente prepotenza e i miei capezzoli erano chiodi che foravano il suo petto chiedendo bramosi di essere baciati.
Tremante di spasmodica voglia infilai le mani nei suoi boxer, godendo nel sentire il fallo duro come ferro che si contraeva crescendo ancora di più al contatto.
Scivolai in ginocchio, appoggiai il viso nei peli del suo pube aspirandone il profumo maschio, leccai il suo sesso teso e fremente guidata da una fame incontenibile, mi colmai la bocca della sua verga pulsante mentre la cappella diventava sempre più gonfia e piccole gocce di nettare addolcivano la mia gola.
Saverio scopava la mia bocca, si spingeva in me con veemenza, le mani sui miei capelli per guidare il mio ritmo inebriandomi con i suoi mugolii di estatico piacere.
Con un gemito roco si fermava, usciva dalle mia bocca e cadeva in ginocchio davanti a me baciandomi con passione.
Labbra sulle labbra, lingue che si attorcigliavano avide mentre i nostri corpi si strofinavano licenziosi.
Poi il mio seno stretto fra le sue dita; La lingua a percorrerli e i denti a stuzzicarli mentre una mano si insinuava fra le mie cosce bagnate trovando il fulcro della mia voglia.
Visione di un erotismo divorante le sue dita luccicanti del mio miele, il suo sguardo dentro al mio luce di pura lussuria mentre con la lingua lo assaporava avido; Per poi baciarmi ancora una, dieci, cento volte. Fino a perdere il respiro; Fino a non capire più nulla; Fino a non distinguere più la sua bocca dalla mia.
Sensazione di appartenenza totale, esaltazione e follia che declinava in una libidine dissoluta e cannibale, che fagocitava ogni razionalità.
I miei sospiri sempre più liberi a screziare il silenzio.
Le mie unghie a solcargli la schiena mentre scivolavamo distesi sulla sabbia.
I suoi denti insaziabili a marchiare la mia spalla.
Il suo corpo a coprirmi e le mie gambe strette a rendergli arduo l'ingresso.
La sua passione tenace per vincere la mia ritrosia.
E ancora baci brucianti a blandirmi e inebriarmi.
E la resa incondizionata, nodo di gambe che si scioglieva trepidante di aspettativa.
L'affondo violento e l'urlo di selvaggia soddisfazione mentre mi colmava della sua carne.
Poi un dondolio di pelvi congiunto, inesorabile e continuo come la voce del mare.
E un piacere incommensurabile a fonderci sesso e cervello.
Fotogrammi impazziti si rincorrono nel ricordo.
Nudi fra le onde, spruzzi salmastri a lavare i nostri corpi accompagnati da risate argentine.
Baci e carezze infinite rotolandoci nella sabbia soffice e bianca.
Sussurri rochi mentre ci raccontavamo presente e passato.
E ancora fusi nella danza dell'amore.
Gioia, un'incredibile gioia nel sentire il suo cuore che batteva sul mio.
Infine l'alba a sorriderci benigna, mentre come bambini disegnavamo un grande cuore sulla sabbia e tracciavamo le nostre iniziali al suo interno.
Due consonanti che le onde hanno intrecciato e trascinato dove l'acqua è più blu.
Rimane l'incanto immutato di quella notte ad unirci per sempre: un pugno di ore illuminate dalla luna e baciate dal mare.
Matilde S.