Ti guardavo da sotto il palco delle autorità, ipnotizzato dalla riga nera delle tue calze che spuntava dalle scarpe dal basso tacco e che seguiva i pendii della tua gamba accavallata, sinuosa frivolezza che in un baleno smontava l'autoritarietà della divisa. L'imbianchino parlava dal microfono con il suo tono perentorio e incalzante e l'unica cosa che attirava la mia attenzione era quella traccia di femmina che si perdeva sotto il mistero della gonna. Lo sguardo ha indugiato sulla percettibile severità delle sue pieghe e l'ha seguita, aderente alla tua postura composta, e poi è salito ancora a notare il terzo bottone dell'accollatissima giacca che tirava, formando delle piccole grinze e che sembrava concentrare in un punto solo tutta la voglia di esplodere della tua femminilità.
Immaginavo che la lucida spilla appuntata sul seno, testimone del tuo grado e valore, trapassasse la stoffa fino ad infilzare il capezzolo in un pungente tentativo di coniugare il dovere e il piacere.
Il bordo del colletto della giacca copriva appena la base del collo e quel punto dietro la nuca dove risiede il mistero dell' odore di ogni donna.
La mente si stava perdendo nella concentrazione degli occhi sul percorso che avrei fatto fare ad un dito su di te e si è accorta troppo tardi del tuo sguardo fermo già da tempo su di me, cogliendomi a sorpresa con le mani nella marmellata.
Ti ho sbirciato da sotto in su mentre chinavo il capo, colpevolmente divertito, aspettandomi un muto rimbrotto e ho visto inaspettatamente i tuoi occhi addolcirsi, accorgendomi solo in un secondo momento della bocca illuminata da un sorriso furbo. Volevi la marmellata anche tu.
Mi ricordo solo confusamente cosa è successo dopo che ho risollevato il capo in risposta ai tuoi occhi sorridenti, il comizio che finiva, lo sciamare delle persone, tu che scendevi dal palco e scambiavi saluti formali o convenevoli con superiori, continuando comunque sempre a ricatturare la mia attenzione con rapide occhiate, e io che non capivo come avrei potuto fare a dormire da lì in poi se non avessi potuto averti tra le mani anche solo per un attimo.
È avvolto in una nebbia bianca il percorso accanto alle imponenti colonne con nelle orecchie il ritmo dei tuoi tacchi dietro di me, e tutti i sensi accuminati nello sforzo di capire se cambiassi o meno direzione rispetto al mio cammino. Ti ho vista fissarmi mentre parlavi con il capitano, ma nient' altro intorno, ho sentito l' ordine di avvicinarmi e scortarti fino alla sala riunioni ma io non riuscivo a togliere gli occhi dai tuoi. Ti conoscevo da sempre.
Quando ti ho aperto la porta e mi sono messo sull'attenti per farti passare e ho sentito due dita afferrarmi per la fibbia della cintura e trascinarmi dentro la stanza il mio cervello era in black out.
Ricordo il rumore di quel maledetto terzo bottone che finalmente si apriva e il fruscio della tua biancheria sulla ruvidezza della giacca. Le mani bollenti a stringere i seni spinti in avanti, a percorrere l'arco della tua schiena. Ghiaccio bollente. Flash di buio.
Odori e sapori hanno preso il posto degli occhi e mi hanno guidato in una strada diversa all'interno di te, all'esterno di me. Ti ho presa così, in piedi, di furia, con la tua schiena che sbatteva sorda contro la parete di legno, aggrappata alle mie spalle e intrecciata ai miei fianchi. Lingue in bocca in un gioco senza fiato. Denti, labbra, mani e unghie, morsi, baci, saliva, il corpo dipinto da tavolozze di umori e di segni, il caldo che saliva, il cazzo che pulsava entrando e uscendo dalla tua figa bagnata che rispondeva senza sosta ad ogni colpo, fino ad urlare l'orgasmo nella bocca l'uno dell'altra persi dentro ad un uragano che non doveva essere udito da altri.
Non ci siamo mossi per un po', rimanendo avvinghiati appoggiati al muro, respirandoci a brevi boccate, inebriati e scossi finché gli occhi non si sono incontrati di nuovo.
Ed eri tu.
Quella che stavo cercando.
-Casualmente il pallone finiva sempre vicino al mio asciugamano e casualmente venivi sempre tu a riprenderlo, finché un calcio più violento degli altri non lo fece finire dritto sul mio sedere con un sonoro sciaff.
Sei arrivato di nuovo, ma questa volta correndo imbarazzato e chiedendomi scusa mille volte anche se con lo sguardo luccicante dello scherzo riuscito. Però sei arrossito quando, alzando la testa dal libro, mi sono tolta gli occhiali da sole e ti ho rivolto un' occhiata maliziosamente scocciata, hai raccattato il pallone con lentezza estrema e senza smettere di guardarmi e poi sei tornato dai tuoi amici camminando piano, voltandoti indietro ogni tanto, come per essere sicuro che continuassi a guardarti. E io ti ho guardato, più per metterti in imbarazzo che per altro. Lo confesso. Ma eri così spiazzato.
Mi sono messa a sedere con il mento appoggiato sulle ginocchia a guardarvi giocare a calcio sotto il sole dolce di metà settembre. La spiaggia era quasi deserta ed era territorio solo di noi studenti che ancora dovevamo riprendere la scuola. Piccoli branchi di compagni di classe bivaccavano prendendo il sole isolati gli uni dagli altri, tutti noi senza pensieri urgenti a parte quello del sole e del mare da godere fino all'ultimo giorno.
Seguivo il gioco comprendendo la riuscita delle varie azioni guardando le tue espressioni, disinteressandomi del tutto degli altri giocatori mentre tu, accorgendoti del mio occhio vigile ti impegnavi al massimo, sfoggiando un'energia dirompente.
Il cuore ha cominciato a battere inaspettatamente più forte quando ti ho visto abbandonare gli amici dicendo di essere stanco e cominciare a venirmi incontro con il sole basso sul mare che ti faceva da sfondo.
Ti sei seduto accanto a me sull' asciugamano senza dire una parola. Eri lì sorridente a guardarmi, io non sono sfuggita alla sfida e anche se mi sentivo improvvisamente nuda nel mio striminzito costume non ho accennato ad abbassare gli occhi. Nemmeno quando hai preso il tubetto di crema solare e mi hai fatto un cenno interrogativo, sempre senza parlare, chiedendomi di potermela spalmare. Per tutta risposta mi sono stesa a pancia sotto e mi sono slacciata il pezzo sopra del costume.
L'hai fatta cadere dall'alto, fredda e liquida al centro della mia schiena e hai cominciato a spalmarla con entrambe le mani in cerchi concentrici, riempiendomi di brividi che non erano solo per la crema. Ti piaceva, me ne ero accorta perché il tuo tocco cambiava diventando più morbido, cercando con delicatezza quei punti che mi facevano cedere. Ho schiuso gli occhi e cercato i tuoi da dietro la spalla e trovandoli immediatamente.
Le tue mani continuavano a fare cerchi sempre più grandi, fino ad arrivare al bordo dello slip e cominciando ad oltrepassarlo sempre di più ad ogni passaggio. Sentivi i miei muscoli che si contraevano in questo piacere appena accennato e continuavi imperterrito.
Hai fatto ancora cadere la crema partendo dalle caviglie e cominciato un massaggio che per me è diventato l'attesa estenuante di non sapevo cosa, ma che cominciava a pulsare prepotente in mezzo alle gambe. Le tue mani salivano e scendevano e salivano ancora, ogni volta portando la fresca morbidezza della crema sempre un po' più in alto, nei punti più oscuri dell'interno coscia, sfiorandomi casualmente e distrattamente in mezzo alle gambe, facendomi partire scariche elettriche che mi arrivavano dietro la nuca. Quando ho sentito le tue dita intrufolarsi sotto il costume, l'istantaneo sollievo della crema ha lasciato subito il posto ad un calore infuocato che tu sei arrivato quasi a toccare scivolando senza sforzo fino al centro di me.
Non so quali anime si fossero impadronite dei nostri 13 anni per rendere i tuoi gesti così decisi e la mia risposta così immediata. So di aver pensato che ci conoscessimo da sempre.
Qualcuno é arrivato correndo a chiederti se volevi giocare ancora e tu hai tolto le dita di scatto, lasciandomi sospesa in paradiso mentre rispondevi che no, non avevi più voglia di giocare.
Ci siamo afferrati per la mano in un accordo non detto e abbiamo corso fino alla prima cabina aperta infilandoci dentro e chiudendo la porta.
Tensione, leggero imbarazzo che sfumava nel rossore delle guance e veniva sconfessato dal luccicare degli occhi, quando ci siamo trovati uno di fronte all'altra nella penombra. E un bacio.
Spontaneo e inesperto fatto solo di labbra contro labbra, senza corpo, solo bocche e tanta foga.
Mi hai steso senza sforzo sul pavimento di tavole e hai cominciato a riempirmi di baci dappertutto colpendo talvolta con qualche galeotto colpo di lingua che ha riscosso un immediato successo.
Hai portato le mie mani dentro al tuo costume, facendomi finalmente capire che cos'era quello che aspettavo da prima, aspettavo di avere in mano quel qualcosa di duro e morbido insieme e caldo da bruciare. Non sapevo bene cosa farci, ma le mani pare di si perché si sono mosse sicure strappandoti mugolii indistinti.
Hai abbassato appena il mio costume, mi hai annusato, hai abbassato appena il tuo costume e poi ti steso su di me.
Non c'era nessuna spavalderia nei tuoi occhi mentre cercavano di parlare ai miei, terrorizzati riguardo alle rispettive inesperienze, solo un' infinita dolcezza.
Mi hai penetrato piano e io ho sentito solo un leggero dolore e poi lo sciogliersi di qualcosa di liquido, come un blocco di ghiaccio rimasto lì per un sacco di tempo.
Ci spingevamo l'uno verso l'altro, muovendo il bacino e cercandoci le bocche, impacciati e sorpresi di quell' inerpicarsi sopra una vertigine.
Il cuore che batteva sempre più veloce e poi...un baratro profondo e accogliente che ci fa precipitare in sospiri modulati dietro gli occhi chiusi.
E poi un bacio e poi un altro ancora e poi un altro finché gli sguardi si sono ritrovati di nuovo, stupiti per la scoperta e con il respiro che si calmava piano in un sorriso.
Ed eri tu.
Quello che stavo cercando.
-La testa leggera rendeva leggeri i passi mentre mi allontanavo dalla macchina, parcheggiata nei pressi delle mura della città. I tacchi alti litigavano con i sampietrini lungo la discesa, impegnandomi in un gioco d'equilibrio al limite della caduta.
Il mio ingresso nel bar è stato accolto con un silenzio irreale, testimone della più assoluta sorpresa.
Effettivamente il mio abbigliamento era palesemente esagerato rispetto allo standard di infradito e pantaloncini di un'afosa domenica di giugno in un paesino di mare. Mi sono seduta ad un tavolino e ho ordinato un caffè, aspettando che l'effetto provocato dalla mia apparizione sfumasse nell'abitudine degli occhi altrui alla mia presenza, facendomi diventare a poco a poco una parte del quadro.
Aspettavo. Aspettavo quell'appuntamento con uno sconosciuto strappatomi quasi un mese prima con insistenza fuori dal comune. Sconosciuto poi. Mah... alla fine con lui avevo condiviso intere giornate incontrandoci dentro quello spazio senza tempo né distanze creato da un pc.
Non sapevo se fosse giusto o meno cedere lo spazio occupato nei miei pensieri da quell'entità informe e perfetta, fatta solo di parole, e sostituirlo con un'umana imperfezione. E nonostante fossi convinta che fosse il dubbio che aveva anche lui nello stesso momento e che comunque fossi perfettamente consapevole anche della mia umana imperfezione, non mi sfiorava neppure l'idea di andarmene.
Lo sguardo si arrotolava nelle lettere sulla pagina del libro, finendo per leggere sempre la stessa frase. Non potevo negarlo a me stessa. Ero emozionata.
Poi una valanga di borse, sacchetti e pacchettini,hanno sommerso me e il tavolino, strappandomi dai miei pensieri. Una signora che parlava un dialetto apparentemente senza vocali, mi guardava con insistenza per avere la conferma al dubbio di aver sbagliato stazione.
Alla mio assenso è seguita una rumorosa serie di telefonate per avvisare tutti, ma proprio tutti i parenti. Così il tentativo di rimanere defilata il più possibile era stato vanificato dallo show della signora che aveva fatto finire il tavolino e me, sotto i riflettori. E comunque, come distrazione, aveva funzionato benissimo.
Questo finché il tuo nome lampeggiante non è apparso sul telefono. Eri arrivato.
Ho rubato di nuovo la scena alla signora della stazione sbagliata con un gesto solo, vivendone ogni attimo perché nella mia testa l'avevo immaginato più e più volte. Dalla mia borsa è uscita una maschera veneziana dalle arlecchinesche sembianze, che mi sono messa sul viso e che ho legato con un nastro. Il bar si è azzittito in un secondo, come se tutti avessero subodorato che stava per succedere qualcosa, finché dalla porta sei entrato tu.
Pur non avendoti mai visto, sapevo che eri tu.
Venti paia di occhi si sono catapultate su di te che giravi lo sguardo per il locale in cerca di me, ma mi hai visto solo quando quelle venti paia si sono voltate a fissarmi, creando per noi quell'ultimo ponte da dover attraversare per incontrarci.
Hai sorriso divertito e ti sei avvicinato, mi hai slacciato la maschera e io non ho aspettato nemmeno un secondo di più per assaggiarti e sentire che sapore avesse quella bocca immaginata fino a quel momento.
Un po' di sconcerto ma nessun imbarazzo. In fondo, ci aspettavamo da un po'.
Dopo quell' improvviso squarcio nel tempo, il bar ha ripreso la sua vita normale, isolandoci dall'attenzione generale e finalmente abbiamo potuto guardarci negli occhi davvero.
Lì ho avuto la certezza. Ti conoscevo da sempre.
Ed eri tu. Quello che stavo cercando.
E quello, era solo un altro inizio.
(a E. perché ti stavo cercando. Finalmente ti ho trovato)
Banshee