La fredda pelle rossa del divano questa volta non mi infastidisce, le temperature si stanno alzando e un brivido fresco sulle cosce nude è decisamente gradevole. Mi accoccolo rovescia, rilassando le caviglie sullo schienale ed allungando la schiena, obliqua, sulla seduta. Mentre mi lascio scivolare, levando ogni volontà alle braccia fiacche, i capelli mi si ammassano morbidi sulla nuca; ma è caldo, non li sopporto, perciò rimango inerme qualche istante, poi richiamo una mano, la sollevo, la passo sulla nuca umida e libero le ciocche oltre il bordo del divano, giù, a penzolare verso il pavimento, a carezzare appena il legno sereno. La luce inonda le travi bianche, non ci sono tende a schermarla e il cielo si frange sulle pareti tingendole appena: una nota azzurrognola sbianca impietosa le gambe flesse mollemente e lo smalto scuro si lucida di blu. Mi piacciono i contrasti; gioco stringendo le palpebre, confondendo la retina e sovrapponendo i colori: il bianco freddo si scalda un istante stemperando lo sfondo vermiglio e la lacca scura delle unghie vira mutando in lunghe scie violacee. Sorrido mentre ascolto i nervi sciogliersi, slegarsi grazie al peso del capo in abbandono. Scivolo un altro poco oltre la seduta e la nuca cede improvvisamente; con la mente vado subito al recente spettacolo, allo strapiombo buio oltre il palco, all'idea di una coreografia che punti proprio sul senso di vuoto oltre le luci di scena. Sforzo gli occhi in cerca delle sigarette, non le vedo, mi maledico e, prima di alzarmi, imprimo ogni dettaglio sulla pelle – la mia stavolta - per poter ritrovare, al mio ritorno, la stessa identica posizione. Il divano conserva il mio peso quasi intatto e quando torno a coricarmi trovo la traccia delle spalle, la linea della schiena e l'avvallamento più fondo delle natiche. Mi sdraio calcando la mia stessa impronta, ma, inevitabilmente, non trovo le stesse sensazioni; scrollo le spalle, mi accendo una sigaretta e rovescio la testa completamente oltre la seduta. Il sangue svuota le gambe e fluisce lento alla mente, porto il filtro alle labbra e aspiro chiudendo gli occhi. Quando li riapro schiudo la bocca senza avvicinarne gli angoli e il fumo sale contrario dal mio palato annebbiando momentaneamente le labbra. Non ho specchi vicini eppure mi vedo, conosco perfettamente l'espressione del mio viso quando fumo e amo quell'allure d'altri tempi che vedevo in mia nonna vent'anni fa. La sigaretta scioglie le ultime tensioni e da lontano, assieme all'ozio, fa capolino un consueto languore. Non penso nemmeno ad oppormi, ad indugiare, infilo direttamente la mano sinistra tra le cosce e, mentre chiudo gli occhi godendomi una nuova boccata, lascio che le dita seguano l'atavico istinto. I polmoni si riempiono sotto la spinta dei polpastrelli leggeri, veloci, poi, quando questi fremono, si fermano, premono spazientiti e affondano, il diaframma si appiattisce distendendo il ventre. La schiena si allunga, si arcua nell'onda del piacere che arriva fastidiosamente presto, davvero troppo presto. L'orgasmo penetra e liquefa prima che la sigaretta finisca, lasciandomi insoddisfatta, delusa. Stanca, sollevo la testa e la riposo sul bracciolo, spengo il mozzicone nel posacenere trasparente e, mentre l'eccitazione torna a pungere, aspetto che le dita riprendano a giocare.
Madamesnob