Dunque era già così tardi? Lei aveva indugiato allo specchio, truccandosi con cura, per apparire, nell'aspetto e nella pettinatura, impeccabile ma non vistosa, come si addiceva al cliché di una perfetta segretaria.
L'abito l'aveva già preparato la sera prima, appeso alla gruccia sull'anta dell'armadio e sulla poltroncina poco lontana dal letto stava un bustino di pizzo grigio perla accompagnato dalle mutandine coordinate e un paio di calze grigie velatissime.
Indossò questi indumenti con cura, attenta a non scalfire con le unghie laccate nella french manicure i fili sottili delle calze, le agganciò una alla volta e guardò nell'armadio, ancora incerta sulla camicetta da indossare sotto la giacca del tailleur.
Scelse infine quella azzurra, di un azzurro delicato che richiamava il colore dei suoi occhi e rischiarava, senza essere vistoso, il grigio del tailleur.
Aderiva al busto facendone risaltare la linea snella e il seno pieno e lei lasciò sbottonata la parte superiore, lasciando occhieggiare una sottile strisciolina di pizzo del bustino sottostante.
Si mise la gonna al ginocchio, la giacca, le scarpe décolleté con un tacco sottile ma di soli cinque centimetri. Completò il tutto con una borsa elegante ma sobria, con qualche inserto d'argento nella stoffa alternata alla pelle nera.
Si guardò allo specchio e pregò dentro di sé di riuscire ad apparire all'altezza durante il colloquio: aveva proprio bisogno di quel lavoro e con la sua esperienza nel campo era sicura di essere in grado di svolgerlo al meglio.
Ma ... aveva sentito dire che l'incaricato della selezione era un cerbero, un ometto sadico che si divertiva ad esercitare il mobbing sugli aspiranti all'impiego ancora prima di averli assunti.
Inoltre, le era stato anticipato che c'erano i soliti raccomandati ... mah, comunque fosse, lei ci avrebbe provato.
Il tempo a disposizione per arrivare alla sede della società era appena sufficiente, si spruzzò addosso un tocco di Jean Marie Farina e uscì di casa dirigendosi alla sua Mini.
Destreggiandosi con abilità nel traffico caotico, giunse nei pressi degli uffici e si accinse a cercare un parcheggio.
Guardava nervosamente l'orologio: mancavano ormai solo sei minuti all'ora dell'appuntamento e si sentiva salire da dentro ondate d'ansia.
All'improvviso però, proprio alla sua destra, un'auto fece retromarcia uscendo dal parcheggio.
Ringraziando mille volte il cielo, lei si immise immediatamente nel posto lasciato libero e corse poi, all'interno del palazzo, verso gli ascensori.
Mancava ora un solo minuto al suo appuntamento ed ansante si infilò nella cabina quasi scontrandosi con un uomo che stava entrando a sua volta.
- Scusi – disse lei, ancora affannata.
- Ha una gran fretta, vedo – rispose lui con un sorriso – che piano?-
- Il quinto, grazie. - Lo guardò: un uomo sulla cinquantina, ben vestito, con una cravatta di Missoni, una borsa di cuoio e una faccia non bella, ma interessante.
Anche lui la guardò, dopo aver premuto i pulsanti dei piani; così, dopo un momento, lei soggiunse: - Sa, ho fretta perché ho un appuntamento importante e l'ora sta scadendo proprio in questo momen ... - Non riuscì a terminare la frase, interrotta da un brutale scossone. L'ascensore si era fermato.
- Ma che succede? Oh dio, siamo bloccati! – esclamò lei costernata.
- Non si preoccupi, ora ci penso io – e l'uomo cominciò a premere dei pulsanti davanti a sé, senza ottenere però alcun risultato apprezzabile.
Lei guardava insistentemente il suo orologio e sentiva insieme preoccupazione, rabbia, delusione e dispiacere per questa contrarietà e poi, man mano che i minuti trascorrevano senza che accadesse nulla, il cruccio e l'amarezza la sommersero – ormai erano lì bloccati e l' ora dell'appuntamento era passata e lei aveva perso la sua opportunità – cosicché alla fine scoppiò a piangere.
Lui lasciò immediatamente la bottoniera dell'ascensore sulla quale continuava ad accanirsi e si rivolse alla donna che, al suo fianco, singhiozzava come una bambina.
- Su, si calmi, vedrà che il tecnico incaricato ci tirerà fuori di qui rapidamente ... ma forse soffre di claustrofobia? -
- Non ... non è qu-quello, è che av-evo un coll-loquio di lavo-oro e ora l'ho pe-ersoo! – e giù un profluvio di lacrime.
- Ah, davvero? Mi dispiace, ma sono certo che non le sarà difficile trovare un altro posto, se lei è brava quanto è carina. – E così dicendo le allungò un fazzoletto.
- Grazie – fece lei soffiandosi con foga il naso – ma è difficile, sa? Sapesse quanto mi ero preparata a questo appuntamento! E quanto ci speravo! –
Si guardarono per la prima volta con un interesse umano e passò tra loro una corrente di simpatia.
Lei gli raccontò delle sue esperienze di lavoro e delle sue vicissitudini familiari a causa delle quali era stata costretta a cambiare città e a cercarsi un altro impiego, prendendo in affitto una stanza in casa di conoscenti.
Lui disse solo di essere un impiegato di quella ditta e più che altro la stette a sentire, facendole di quando in quando delle domande quando lei, presa dall'intrico delle sue vicende, risultava poco chiara nella narrazione.
Nel frattempo la temperatura all'interno del vano ascensore si era alzata e lei si sfilò la giacca.
- Non capisco perché non venga nessuno a far funzionare questo cassone – disse lui levandosi la giacca a sua volta e allentandosi la cravatta.
- Ho l'impressione che mi manchi l'aria – rispose lei, che si sentiva venir meno e si sbottonò completamente la camicetta.
Il bustino grigio perla apparve in tutta la sua ricchezza di pizzi a ricoprire un seno fiorente e lui deglutì, fissandovi lo sguardo. Poi alzò gli occhi e incontrò quelli di lei che scivolava a terra lentamente con la schiena contro la parete, mormorando: - Non mi sento bene ... -
Lui si chinò a sua volta, cercando di sorreggerla con un braccio dietro la sua schiena.
Si trovavano ora entrambi sul pavimento dell'ascensore, lui inginocchiato e curvo verso di lei; lei con le gambe malamente ripiegate sotto di sé e il capo appoggiato al petto di lui.
Erano così vicini, in un'intimità che in altre circostanze sarebbe stata estremamente piacevole: lui sentiva il leggero profumo di agrumi della sua colonia e le labbra rosate e morbide di lei, così vicine alle sue, erano un richiamo irresistibile.
Si controllò a fatica mentre le raddrizzava le gambe e nel toccarle avvertiva deliziosi brividi e cercò di farla appoggiare meglio con la schiena alla parete della cabina.
Poiché vedeva occhieggiare dalla borsa socchiusa di lei una bottiglietta d'acqua, la prese, ne spruzzò un poco sul fazzoletto e glielo passò sul viso.
Lei aprì gli occhi e gli sorrise, mentre lui chiedeva: - Come va? – e parve riprendersi completamente.
Lui disse: – Mi ha fatto paura – e le fece una carezza sul viso. Lei trattenne con la sua mano quella di lui.
Forse ancora adesso quei due non saprebbero spiegare cosa accadde in quel momento dentro di loro e fra di loro: si guardarono e fu come un lampo, una corrente ad alto voltaggio che passò da uno all'altra, travolgendoli.
Lei si levò la camicetta sbottonata.
Lui si liberò della cravatta allentata.
Lei si attaccò al suo collo, mentre lui la avvinghiava alla vita.
Poi le mani di lei corsero a levargli dalle asole i bottoncini della camicia e quelle di lui ad aprire la lampo della gonna.
Le loro bocche si incontrarono voracemente mentre lui si liberava della camicia e si slacciava la cintura dei calzoni.
Quattro mani, incrociandosi tra loro, si strapparono di dosso gonna e calzoni e poi, frenetiche, strinsero e accarezzarono e stropicciarono e palpeggiarono i loro corpi a lungo e ovunque finché, in un crescendo parossistico, anche le mutande di entrambi caddero sul pavimento della cabina. Allora smisero di baciarsi e ansimando si guardarono negli occhi, poi rivolsero lo sguardo ai loro corpi.
Lei guardava estasiata il torace muscoloso, il ventre piatto di lui, su cui svettava trionfante un cazzo turgido e duro come una roccia, con le vene in rilievo ... si morsicò le labbra e sentì uno spasmo di voglia che la fece bagnare copiosamente.
Poiché erano ancora accoccolati l'una di fronte all'altro, lui si accorse della eccitazione di lei che
si manifestava con il gonfiore delle labbra e la perdita di liquido odoroso.
La percorse con gli occhi dalle spalle morbide ai capezzoli che erano usciti dal bustino e induriti parevano reclamare attenzioni, al reggicalze attaccato al bustino che segnava la linea di demarcazione tra il nylon sottile delle calze e la pelle invitante, glabra anche sul pube accuratamente depilato.
Si mossero quasi contemporaneamente, abbassando le teste, lei per baciare quello splendido cazzo, lui per leccare la fica più invitante che avesse visto nella sua vita, e così si scontrarono di nuovo, con una bella capocciata.
Allora, ridendo, ma tremando di eccitazione, si abbracciarono e lui calcolò mentalmente che,
mettendosi in diagonale, c'era lo spazio giusto per un delirante sessantanove.
Erano nel pieno di questa straordinaria esecuzione, sul tappeto del loro vestiario, quando parve loro di sentire il pavimento muoversi.
Con leggerezza, l'ascensore aveva ripreso a salire.
Scattarono in piedi e afferrando lui i calzoni, lei la gonna, si rivestirono sommariamente; le mutande di entrambi finirono nella borsa di lei, le camicie furono indossate rispettivamente sopra, anziché dentro, la gonna e i calzoni, le giacche furono raccolte da terra proprio all'ultimo momento, mentre l'ascensore si apriva e gli operai chiamati a riparare il guasto guardavano verso di loro.
Uscirono dall'ascensore ostentando indifferenza e avevano fatto pochi passi quando uno degli operai li rincorse: - Dottore! – e gli porse la cravatta.
Lui la prese dicendo: - Grazie, credevo di soffocare e l'ho levata –
Quando si furono allontanati di pochi passi, lui si diresse verso la porta di un ufficio dicendole: - Andiamo lì –
Dentro, la fece sedere su un divanetto, poi si frugò in tasca, estrasse dal portafoglio un biglietto da visita e glielo mise in mano dicendole: - Lei è assunta –
Poi aggiunse: - A proposito, come ti chiami? -
Nut