Non so scrivere d'amore. Forse perché da quando scrivo l'amore per me non è arrivato, o forse – ed è la cosa più probabile – è perché scrivere d'amore mi fa male. Obbliga a fare i conti con la mia anima, dolce e affilata, sintetica e complessa. Costringe a denudarsi della corazza per guardare le proprie ferite, da quella superficiale a quella più profonda.
E'proprio lì che mi ferisci tu. Insinuato nell'unica crepa della mia gelida corazza, mi hai fatta avvampare del profumo della mia amata primavera quando fuori c'era ancora il ghiaccio. Ricordo la tua sorpresa quando mi hai vista, femminile e provocante, lontana anni luce dai jeans sformati e dai maglioncini abbottonati che metto di giorno. La prima volta tra noi è stata magica e casuale, nessun preconcetto e nessuno schema ad animarla, solo il piacere incontenibile di sentire il tuo abbraccio, di farlo durare il tempo che è durato. La pelle però parla prima ancora delle parole, e dalla prima volta che mi hai stretta, che ho respirato il tuo petto, già eri in grado di infondermi sensazioni potenti ed immense. Eri già capace di farmi sentire perduta, di portarmi con un dito nell'angolo più assolato e fiorito del Paradiso così come nell'anfratto più gelido e periglioso dell'Inferno. Da allora... caldi momenti che il tramonto finalmente rubava al giorno, non aspettavo altro che di sfilarmi quei panni che mi parevano orpelli, per sottili e raffinati che fossero, per sentire il tuo calore e il tuo odore.
Poi quel lunedì. Il dannato messaggio della notte che non arrivava, quella notizia, come una granata scoppiata in mezzo al cervello, la testa rimbomba e fischia, di una distruzione acuta e lancinante. Sia maledetta io per aver sfidato la mia diffidenza, per aver lasciato che in quel contatto di pelle tu mi iniettassi ipnosi. Il gelo per qualche settimana, tu a goderti quella felicità ritrovata e io a leccarmi le ferite. Almeno fino a quando non ci siamo riavvicinati: io figlia dimenticata da una Venere minore e distratta, tu a lanciare promesse spropositate, senza la minima cognizione di cosa significhi dire 'Ti amo'. Pur di non cedere alla mancanza ho deciso di vivere il mio patimento tra le tue braccia, tanto non lo avrei evitato in ogni caso. Ad ogni abbraccio una pugnalata alla schiena, allo stomaco, in pieno petto; accetto quasi deliziata e compiaciuta. E una lunga scia di fughe e scuse, fino all'amplesso successivo.
Quella sera era nata come un'avventura ed un gioco. Il giro del quartiere per trovare le cose più buone da sgranocchiare, fuori iniziava a piovere; trafelati siamo entrati in quel nido trafugato per qualche attimo, come il nostro amore, al destino. Una sveltina, poiché non resistevamo l'uno senza il corpo dell'altro, e poi qualche chiacchiera, una tavola improvvisata quanto allegra. E'questo forse che mi piace di più di te: sai guardare alla profondità della mia anima con l'incoscienza e l'intelletto necessari a non averne paura.
Uno spavento immane per il rischio di essere stati scoperti lì, poi abbiamo ripreso a cercarci. Ho sempre amato quel tuo abbeverarti di piacere ai miei seni, perduto come un bambino, mentre ti accarezzo il viso. I nostri corpi intrecciati sul divano di pelle nera; baci, baci nuovi ed inediti, con le mani ci percorrevamo, muovendomi ti cercavo ancora più vicino; sentendo ancora più forte il tuo odore, il cuore ha iniziato a tuffarsi a capofitto e a galoppare. La chiamano chimica, la chiamano genetica, la chiamino pure come vogliono, io non ho voglia di chiamare questa sensazione in questo momento. Ho solo saputo che un istante prima che affondassi i tuoi fianchi nei miei ho sentito la mia pelle fusa nella tua e la tua un maschio calco della mia. Le spinte erano di questo unico corpo che faceva l'amore dentro se stesso. Solo riuscivo a singhiozzare, dentro di me supplicavo che questo momento non finisse mai, e infine questo unico corpo è stato percorso dal suo sintonico orgasmo; avevo il fiato mozzato, non riuscivo a proferire alcuna parola, continuavo solo a singhiozzare fino alle lacrime, il viso riparato nella tua clavicola. Un attimo ancora insieme prima di strapparti al mio corpo.
La strada del ritorno era sfidata da una pioggia battente e sferzante. Sola nel mio letto, aspettando il tuo squillo del ritorno a casa, ero ancora percorsa dalle onde lunghe della tua pelle; quando lo squillo è arrivato, mi hanno lambita portandomi, naufraga felice, al riposo.
Amarti ha voluto anche dire non aspettare che mi amassi ancora all'indomani, ed è per questo che dopo qualche altra pugnalata ho deciso di sbattere la pesante copertina di questo libro splendente di emozione e di dolore, sospirando appena, continuando ad accarezzarlo e a contemplarlo, decidendo di non riaprirlo più. Forse.
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