- Un juke–box, tutto nuovo... wow! - pensò Clara appoggiata al bancone del bar.
Era da molti giorni che non usciva.
Non poteva uscire spesso, anzi, a dir la verità, usciva solo la domenica dopo la messa... ma, del resto, cosa avrebbe potuto fare in giro durante la settimana?
Il paese era piccolo, ancora troppo povero, basato su un'economia agricola e così spoglio d'attrattive che l'unico svago era il bar in piazza... Per gli uomini però...
Le ragazze come lei, gonna a ruota e coda di cavallo, uscivano accompagnate da zie e cugine, meglio se vecchie e nubili. Giravano per i giardini pubblici chiacchierando con altre amiche, commentando i troppi compiti a casa o l'imminente matrimonio dell'ultima zitella del quartiere. La trasgressione più grande era sentire per radio le canzoni dei cantanti americani e, magari, poterli vedere in una delle rare televisioni presenti nelle case dei ricchi.
Lei li vedeva. La televisione l'aveva comprata il padre, commerciante all'ingrosso di prodotti agricoli, e la sera era il punto d'incontro per la sua numerosissima famiglia. Di questa famiglia faceva parte chiunque vivesse per più di due giorni nella loro grande casa: zie, cugini, figliocci, operai... ognuno trovava un posto di lavoro ed un letto caldo ed accogliente. C'era chi trovava l'amore o chi, più semplicemente, un po' d'infuocata compagnia tra le gambe d'operaie insolenti e libertine.
Clara aveva sentito molto spesso venire dal frantoio, laggiù oltre il giardino di buganvillea, strani ansimi ed urla soffocate; aveva visto uscire gli uomini trafelati e le donne con gli occhi accesi ed i capelli scarmigliati; aveva sempre immaginato, ma non aveva mai saputo con certezza.
Nel suo letto poi si era accarezzata lentamente, per scoprire se gli ansimi erano i medesimi, se le guance si sarebbero arrossate.
Prima con la sola immagine del cantante di grido, giovane ribelle e maledetto quanto basta.
In seguito... in seguito qualcosa era cambiato. Qualcuno era arrivato a popolare i suoi sogni di ragazzina innocente.
Un operaio di suo padre, addetto al controllo dello scarico delle mandorle.
Era giovane. Capelli corti, rossicci. Non troppo alto ma muscoloso, con spalle dolci e ben definite. Sguardo strafottente con la sigaretta di traverso sempre in bocca. Il sorriso beffardo ed un po' guascone gli meritava le occhiate delle donne e l'invidia di molti uomini. Non che lui non facesse nulla per non provocarli, anzi. Di fronte ad una donna, sola o sposata che fosse, sorrideva e fischiettava. Talvolta iniziava persino a seguirle. Incurante di tutto, finanche di mariti gelosi. La cicatrice che aveva sul fianco era una medaglia, giusto riconoscimento per aver schivato un marito più volte reso cornuto. Aveva notato Clara, come lei aveva notato lui. Ma Clara era la figlia del padrone e non si poteva toccare. Il lavoro serviva e di donne ce ne sarebbero sempre state troppe, come pure di ragazzine.
Eppure Clara non era una ragazzina. Aveva diciotto anni, minuta di fisico e timida come un fiore appena sbocciato. Una cascata di riccioli bruni incorniciava due occhioni verdi, rubati ad una parente così lontana da far sorgere talvolta dei sospetti su coloro che la vedevano con i suoi fratelli. Non era molto alta e pesava meno di un sacco d'olive. La natura, dispettosa come pochi, le aveva dato però gambe affusolate e due splendidi seni che facevano girare già parecchi uomini.
Se non fosse stata cosi schiva, li avrebbe visti quelli sguardi sovrapporsi sulla sua pelle candida, i commenti appoggiarsi lascivi sul suo corpo incolpevole.
Se il suo mondo non fosse stato popolato da cantanti e attrici di fotoromanzi, avrebbe capito di essere lei stessa sogno di molti.
S'incontravano ogni pomeriggio. Meglio sarebbe affermare che s'incrociavano, quando lei rientrava da scuola e lui aspettava al caldo sole di settembre che finisse la pausa per il pranzo degli operai.
Lei ondeggiava camminando con i libri e lui, sudato e scarmigliato, fumava appoggiato al muro.
Tra i loro passi decine e decine di coperte con le mandorle messe ad essiccare formavano un mare profumato e croccante.
Un giorno, all'improvviso, lui l'aveva tirata e sé...
Sorridendo l'aveva guardata e baciata.
Un bacio veloce, fulmineo, con le labbra che profumavano di fumo e tabacco da masticare.
Non c'era stata più una notte uguale.
Non c'era stata più una notte in cui non si dovevano soffocare gemiti e sospiri.
...la parete imbiancata a calce. Rumore e grida dovunque, intorno.
Lei con le spalle al muro, spinta dal peso del corpo di lui. Il respiro affannato sul calore del suo corpo. Il tremore di un desiderio cercato eppure così temuto. Il sudore che colava lungo il collo di lui ed un languore sconosciuto che scivolava tra le gambe di lei. Mani callose tuttavia così delicate da sfiorarla come una sfera di purissimo cristallo. Carezze morbide e lentissime che dal polpaccio risalivano sempre di più... insinuanti... decise... persuasive...
Bocca contro bocca... labbra a toccare altre labbra e lingue che s'intrecciavano.
Le dita che s'inerpicavano, silenziose. Il sottofondo intorno era quello dell'arsura estiva, mai così forte come in quell'anno.
Il contatto dei polpastrelli ruvidi sulla carne liscia e morbida. Movimenti delicati a sfiorarle le labbra, a farle scoprire brividi inattesi.
Lentamente alla ricerca di un punto preciso. Dove ogni carezza era un brivido, irrefrenabile.
Sentire una pressione dapprima leggera poi sempre più veloce.
Percepire ogni istante come lento ed assoluto.
E poi l'energia che scorreva. Dalla testa, giù lungo il corpo per attraversarla tutta come una nuova vita. E l'esplosione dell'orgasmo, potente, irrefrenabile che le faceva contrarre i muscoli... nel sonno... nel sogno.
Si svegliava così, Clara. Confusa, sudata eppure stranamente viva.
E sapeva.
Aveva cognizione, adesso, di cosa voleva. Di chi voleva.
Era un pomeriggio di novembre. Niente più mari croccanti di mandorle, ma brulle distese d'olive.
Lui camminava tranquillo. D'un tratto una spinta, un piccolo passaggio ed il sapore di lei già tra le labbra...
Roxyb