La proposta era arrivata all'improvviso, dopo un intenso scambio di parole, di richieste piene di curiosità da parte mia mentre l'idea mi si espandeva nella testa.
Ma affinché questa divenisse reale dovevo capire, volevo capire, penetrare a fondo nei meccanismi scabrosi, non tanto dell'altro ma di me stessa. Era inevitabile, quindi, che questo perlustrare non sfociasse nel desiderio di vivere la proposta.
Che poi, di meccanismi strani non ce ne sono quando decidi di provare a dare corpo e forma a qualcosa che per te, fino a quel momento, ti è stato sconosciuto salvo quella bizzarra volontà di metterti in gioco.
Vibravo mentre leggevo la sua proposta. Emozione, timore e fiducia insieme. Mi fidavo di lui anche se il respiro mi si mozzava nel petto e un improvviso desiderio di fuga mi spingeva a rimandare.
No.
Quello era il momento.
E il sabato arrivava implacabile.
Quel giorno, mentre mi stavo preparando, ripercorrevo mentalmente gli ordini impartiti e ogni cosa assumeva così una sorta di ritualità: gli orari, i gesti, i colori, il vestito, la biancheria. Tutto era alleggerito dall'attesa che stava per avere termine.
Il treno che mi avrebbe portata da lui mi confondeva con il suo movimento dolciastro e rassicurante anche se ogni sosta lungo il percorso mi ricordava che la fine della corsa era sempre più vicina.
L'ultimo rallentamento del convoglio e il treno entrava in stazione, l'auto che mi aspettava all'uscita senza che lui fosse lì ad accogliermi. Di questa sua assenza ero sdegnata ma avevo accettato di rispettare i patti.
Lungo il tragitto le strade e i palazzi mi passavano davanti informi: i pensieri erano totalmente attratti da un'altra forma di me, una forma sconosciuta di cui non conoscevo ancora le fattezze e mi inquietava il pensiero della scoperta. Cosa avrei trovato oltre la soglia di questo desiderio?
Non c'era più tempo per i pensieri. Non più.
Il portone sembrava l'unica via priva di rischio in quel momento come se il ventre di una Madre in attesa di me iniziasse ad inghiottirmi, sicuro e salvifico, con un Centauro a far da custode sulla via superiore, che apriva alle ampie scale in marmo chiaro a rendere l'ascesa più importante.
Al piano superiore uno scatto faceva aprire una porta. Ero attesa.
L'interno dell'appartamento era in penombra e l'ordine mi imponeva di rimanere in attesa del suo arrivo.
Inutile deglutire, ogni liquido mi si era annodato in un unico bolo.
La sua figura mi si era stagliata di fronte come se fosse sbucato dal nulla. Non riuscivo ancora a vederne chiari i contorni, il colore degli occhi, i tratti, ma il suo prendermi la mano e sfiorarla, lieve, con le labbra mentre mi diceva - - Benvenuta, com'è stato il viaggio? - - mi aveva scossa dentro e rassicurata allo stesso tempo.
Il merletto elastico delle autoreggenti raccoglieva lo spasmo intenso e liquido alla sua richiesta di verifica mentre il bordo della gonna tra le mie dita oltrepassava lentamente l'inguine per regalargli la visione del mio sesso glabro, rasato quella mattina per l'occasione, prima di prendere il treno.
Ferma, dovevo restare ferma nonostante le sue dita iniziavano ad accarezzarmi l'inguine per apprezzarne la sericità. Non dovevo mostrargli nessun fremito, nessuna reazione, nessun turbamento evidente, anche se le sue mani proseguivano leggere l'indagine lungo lo stomaco e tra i seni, liberi da ogni orpello.
Dovevo forzare me stessa all'ordine di immobilità, con fatica camuffare il respiro che si era fatto corto e abbassare lo sguardo perché lui non si accorgesse della luce febbricitante che vi albergava dentro e che anche le gote si erano imporporate nello sforzo del controllo.
Docile animale, obbediente come non mi ero mai accorta di essere – contraria ad ogni forma di costrizione per fattura mentale – mi ritrovavo a desiderare che la sua mano mi portasse via, lontano che non sapevo dove.
E quella stessa mano, così desiderata, era lì sulla mia schiena a privarmi di ogni resistenza. A quel gesto seguiva l'ordine:
- Spogliati qui, lascia tutto sulla poltroncina alla tua destra e poi prosegui verso la porta di fronte, desidero guardarti mentre cammini - .
Nuda, con la sensazione viva di sentirmi spogliata dentro, attenta a non inciampare perché di me volevo dare un'immagine elegante, mi avvicinavo alla porta che si apriva alla visione di lenzuola invitanti e piene di mistero.
Dal corridoio in penombra mi arrivava di nuovo la sua voce - Adesso stenditi sul letto, supina, divarica le gambe e apri le braccia - .
Arrendevole: sì, ero arrendevole alla sua imposizione e naturalmente a mio agio.
Gli occhi chiusi ad attendere quel breve lasso di tempo che sembrava non aver mai fine ed ecco che sentivo di nuovo le sue mani carezzarmi il corpo: carezze lunghe, fluide, senza esitazioni esaltavano il tocco, reso più cocente dal buio che mi era stato imposto alla vista.
Una piccola esortazione manuale ad ampliare l'arco delle gambe e i lacci morbidi a immobilizzare le estremità ai lati del letto.
La medesima sorte anche alle braccia: un perfetto crocifisso.
Anche gli occhi racchiusi da seta nera.
Ero pronta, turgida in attesa nel silenzio ma con i sensi all'erta, pronti a cogliere ogni più piccolo particolare, ogni più lieve sensazione, tutto.
Era incredibilmente eccitante non emettere alcun suono vivendo la sua bocca sul turgore dei seni, stringerli tra i denti, le dita ad accarezzare il clitoride fino allo spasmo per poi bloccarsi repentinamente.
Impazzivo dal desiderio mentre le grandi labbra venivano sollecitate ad aprirsi da quelle stesse dita che adesso mi scavavano dentro alla ricerca dell'apice sinuoso, mi riempivano il ventre di dolorose contrazioni con strumenti che la sua fantasia perversa mi regalava intensificando sensazioni, emozioni, vibrazioni, solleticando la sua avidità nel vedermi supplicare quell'orgasmo che sapevo sarebbe stato unico e irripetibile
In silenzio lo scongiuravo di farmi deflagrare.
E allora mi liberava la vista per sprofondare nei miei occhi e chiedermi se davvero lo desiderassi così tanto. Non aspettavo che questo per dimostrargli il mio estremo atto di resa: la corolla illanguidita dai continui assalti voleva liberarsi, scandire il tempo, parlargli d'amore e sentirlo dentro di sé.
Un'altra volta, ancora un'altra, mi scivolava dentro con le dita, regalandomi baci che fino a quel momento non avevo ancora gustato dalla sua bocca che sapeva di me. Argine sciolto, fiume in piena: questo ero divenuta tra le sue mani. E lo stesso fiume gli irrorava il sesso mentre penetrava profondamente dentro di me squarciandomi la mente, i pensieri, le logorroiche interpretazioni dei pensieri, offrendogli me stessa come mai prima avevo osato.
Mi lasciavo cullare da tutto questo godendomi l'attimo sublime mentre aprivo gli occhi per guardare nei suoi e condividere quel momento.
Ma aprendoli mi rendevo conto stupita che il treno era appena entrato in stazione.
Tutto era ancora da vivere...
Enchantra