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Racconto n° 3797
Autore: Roberta Altri racconti di Roberta
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C'era una volta
C'era una volta, in una città lontana lontana, un ragazzo.
Questo ragazzo era alto e robusto, con la testa tanto piena di riccioli scuri quanto di idee.
Era per natura molto curioso e intelligente, e non passava giorno che non inventasse qualcosa di nuovo, meravigliando gli amici, di gran lunga meno svegli di lui, e portando divertimento e novità presso gli abitanti della città.
Fin da piccino amava attirare l'attenzione della gente su di sè, a volte travestendosi, a volte impiastricciandosi il viso di farina, e raccontando facezie e storie divertenti.
Passava il suo tempo fra la scuola, la bottega di famiglia, gli amici e la campagna.
Adorava stare all'aria aperta, sentire il profumo della terra e delle foglie, curare l'orto e la vigna, ascoltare il canto degli uccelli.
Un giorno, proprio mentre era intento a piantare un filare di porri nel terreno della grande casa di pietra che possedeva in campagna, la sua attenzione venne catturata dallo strano comportamento di un animale.
Innanzitutto era un animale selvatico, e avrebbe dovuto aver paura di lui. Invece se ne stava tranquillo lì nei pressi.
Inoltre era un animale notturno, ed era molto strano incontrarlo in quel momento, che era primo pomeriggio.
L'animale era una piccola civetta con le piume di un delicato color grigio, screziate qua e la da pennellate più scure.
La civetta lo osservava con i suoi grandi occhi dorati, aprendo ogni tanto le alucce, e facendo come un inchino.
Incuriosito, il ragazzo provò ad avvicinarsi cautamente, per non spaventarla.
Ma la civetta, invece di volare via, fece una cosa che lo sbalordì: parlò.
Il ragazzo per poco non cadde a terra dallo spavento, e si chiese se per caso non stesse sognando.
La civetta, con una strana voce melodiosa, disse: - Non spaventarti per ciò che sta accadendo, e ascoltami attentamente. Tu avrai una vita lunga e piena. Realizzerai cose bellissime con la tua forza di volontà. Perseguirai i tuoi obiettivi dando ascolto alle tue inclinazioni, ottenendo grandi risultati e soddisfazioni. Lotterai molto, ma alla fine avrai ogni cosa tu avrai desiderato. -
Il ragazzo si stropicciò gli occhi più volte, non credendo alle proprie orecchie.
Ma era un tipo sveglio, e si riebbe in fretta dallo stupore.
E disse: - O civetta, che belle notizie mi hai appena dato! Non so come tu possa parlare e sapere tutte queste cose, ma visto che sembri possedere il dono di vedere nel futuro, vorrei chiederti, se me lo permetterai, una cosa -
La civetta chiuse i grandi occhi misteriosi, li riaprì, e fissandolo con uno sguardo difficile da descrivere, rispose: - Ho il dono della parola perchè io sono una fata dei boschi. Posso assumere la forma che voglio in ogni momento, e mi piace occuparmi delle faccende degli uomini. Sei sempre stato curioso, e questo è sintomo di intelligenza, ed io voglio aiutarti. Ti concedo di farmi una domanda, una sola, e io ti risponderò. -
Il ragazzo allora chiese una cosa che da molto tempo gli stava a cuore: - O mia buona fata, quello che bramo sapere è come fare per trovare un tesoro prezioso. -
La civetta allargò le magnifiche ali, e piegando la testolina da un lato rispose:- Quello che tu ora mi chiedi io ti dirò. Un giorno, in questo stesso luogo, io ricomparirò. Quel giorno, in quel momento, tu saprai di aver trovato il tuo tesoro. -
Detto questo, la civetta scomparve in un lampo di luce bianchissima.
Il ragazzo rimase a lungo seduto su una panca di pietra a meditare se quello che era appena accaduto fosse stato solo frutto della sua fervida immaginazione, o se invece dovesse credere a quello che aveva visto e sentito.
Quella sera tornò a casa molto pensieroso, chiedendosi cosa avesse voluto dire la fata, ma non trovando una risposta, alla fine cadde in un lungo sonno profondo.
Il mattino dopo, il ricordo di quanto era accaduto il giorno precedente era come sfilacciato, e ogni giorno che passava sbiadiva sempre più, fino ad addormentarsi in qualche angolo remoto del suo cervello.
Gli anni passarono, e il ragazzo divenne un uomo.
Lavorava molto, adoprandosi per l'attività di famiglia, ma contemporaneamente realizzava grandi e belle cose, soprattutto per la sua città, che lui amava molto, e per il teatro, che lui amava ugualmente.
Lavorava e realizzava i suoi progetti, curandosi poco di se stesso, ma molto di ciò che gli dava soddisfazione, lottando per ottenerlo.
Un giorno, durante la preparazione di uno spettacolo teatrale, fece una strana conoscenza.
Incontrò quella che a una prima impressione pareva una donna, anche perchè ne aveva tutte le caratteristiche e le sembianze, ma che invece dopo poco tempo lui capì essere una strega.
Era alta e forte, e lunghi capelli biondi le sfioravano la schiena. Le mani erano molto grandi, e così anche i piedi. Proprio la temperatura di questi piedi e di quelle mani gli fece venire i primi sospetti. Erano così ghiacciati che non potevano appartenere ad un essere umano, bensì a tutt'altro, una strega appunto.
Aveva anche un lieve difetto di pronuncia, che lui attribuì ad una imperfetta trasformazione da iguana a donna.
Ma benchè sapesse ormai che quella che aveva davanti era una strega, quell'essere lo attirava incredibilmente.
Le gambe lunghe, il seno generoso, la pancia piatta, la bocca piena, gli occhi verdi, le natiche rotonde, lo avviluppavano in un turbine di pensieri a dir poco erotici.
Sognava di possederla lungamente e in ogni modo possibile e passava svariati momenti ad immaginare come potesse essere nuda. E non solo nuda, ma anche fremente di passione.
Le propose una parte nello spettacolo, ove avrebbe dovuto ballare per qualche minuto in abbigliamento molto succinto, e lei accettò.
La sera della prova costumi, uscì dal camerino inguainata in un paio di autoreggenti che facevano capolino da una trasparente parigina, camminando titubante sugli altissimi tacchi dei suoi stivali neri, che risuonarono sul parquet del teatro praticamente vuoto.
Lui si avvicinò e le prese la mano, portandola davanti a tutti nel centro del palcoscenico.
Al tocco delle loro mani scoccò una scintilla. Poteva trattarsi di elettricità statica, ma lui sapeva benissimo che era stregoneria. E poi, solo una strega avrebbe potuto camminare su quei tacchi vertiginosi senza rompersi l'osso del collo.
Decise di rischiare il tutto per tutto e la invitò a cena.
Lei lo squadrò con i suoi grandi occhi verdi e disse:- Va bene, ma dove e a che ora?-
Anche questa faccenda dell'orario, che poi scoprì essere una sua mania, era un chiaro sintomo di stregoneria.
Era evidente che un essere umano non poteva essere impastoiato con orari e orologi e lancette e appuntamenti precisi, e che solo una perversa mente diabolica poteva pensarlo.
In ogni modo, lei aveva accettato il suo invito, e lui andò a prenderla con la sua auto gialla.
Cenarono deliziosamente nel ristorante di un piccolo paese, mentre lui la osservava cercando altri segni che ponessero in evidenza il fatto che lei fosse una fattucchiera.
Quella sera sembrava stranamente innocua, e quindi ancora più pericolosa.
Indossava un corpetto di pelle scamosciata che lasciava scoperta una generosa porzione di pancia, e un paio di aderenti pinocchietti verdi che le fasciavano i fianchi.
Gli sembrò straordinariamente bella, e la voglia di possederla cancellò ogni altro pensiero.
Tornando verso le loro abitazioni, decise di deviare verso la sua casa di campagna, sordo alle proteste della donna/strega, e incurante delle possibili conseguenze del suo gesto.
Avrebbe potuto essere trasformato in un animale, un orso per esempio, ma in quel momento nulla importava più, tranne la notte d'estate e lei.
Dopo aver fermato l'auto, l'abbracciò e la baciò, o almeno tentò di farlo, perchè lei graffiava, soffiava e mordeva come una gatta indiavolata.
Poi, qualcosa accadde. Qualcosa di magnifico.
Lei smise di respingerlo. Sotto le sue mani si ammorbidì come una crema pasticciera calda.
Le lingue si intrecciarono e i corpi si unirono, mentre lei affondava le lunghe dita tra i suoi riccioli scuri.
E mentre un forte temporale infuriava, loro, incuranti, si amavano come solo un uomo e una strega potrebbero fare.
Quando tutto finì, rimasero un po' assopiti ad ascoltare il battito dei loro cuori.
Un rumore li fece voltare verso l'albero li accanto.
Un animale li stava osservando con tondi occhi dorati, allargando le ali e facendo un inchino.
Solo quando lei gridò, piena di meraviglia:- Ma è una civetta!- lui improvvisamente ricordò tutto.
Ricordò la fata dei boschi e quello che gli aveva detto anni e anni prima, quando lui era solo un ragazzo pieno di idee in un luminoso pomeriggio autunnale.
E così seppe di averlo trovato. Di aver trovato il tesoro che cercava da tanto e tanto tempo.
Lei.

Roberta

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