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Racconto n° 3855
Autore: Rivederlestelle Altri racconti di Rivederlestelle
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La luce attraverso il buio che moltiplica i sensi
Ci siamo lasciati perché vedeva solo il buio. E io amo scopare soprattutto con la luce accesa.

Il suo soprannome, quello che le avevo cucito addosso io, ha a tal punto preso il sopravvento nella mia memoria, che non ricordo tuttora il suo vero nome. Per me era, è, semplicemente Black.
L'avevo conosciuta in una piovosa giornata di inverno, sotto la pensilina diroccata e arrugginita del bus. L'aria era grigia come il cielo e mi sembrava di essere rinchiuso dentro una fottuta fotografia in bianco e nero d'altri tempi. Mentre aspettavo il bus, mordicchiavo le dita delle mani, cercando di assaporare il gusto di mangiarmi un pezzettino di pelle oppure un'unghietta rinsecchita. E pensavo...pensavo alla vita.
Normalmente, quando penso alla vita, cado vittima di una forma di melanconia - quelli del segno del cancro ne sono spesso colpiti, per via della loro accesa sensibilità (cosi si dice). In queste situazioni pazzesche, in cui il futuro appare come una strada costellata di stazioni di servizio con la scritta - Problema - , solo l'arrivo di una bella fica può completamente ribaltare la situazione.

Così accadde quel giorno.

Arrivò Black e vidi sorgere un primo barlume di luce. Non sapevo che da quel momento in poi avrei dovuto sputare sangue per difendere quel bagliore vitale. Black era un'attrice. In realtà credo che lo sia ancora, dal momento che non penso sia morta o abbia cambiato attitudine.
Un'attrice, dicevo... Una davvero brava, con la passione che trasudava dal suo corpo, gli occhi iniettati di lucida consapevolezza del vivere il palcoscenico come luogo dell'esistenza, la noncuranza per le necessarie ma noiose banalità del quotidiano.
Black poteva permettersi di soddisfare appieno le sue voglie. Figlia di gente ricca, padre bancario e madre avvocato matrimonialista sempre piena di lavoro, la ragazza aveva completato controvoglia studi economici aridi e senza sale.
Poi, sfruttando il fatto di essere comunque l'erede genetica e legale di due genitori sclerotizzati ma pur sempre reali, aveva attinto con avida irresponsabilità al patrimonio di famiglia: il denaro le era parecchio scivolato dalle mani... prima un bilocale arredato ultra high-tech, poi la macchina dispendiosa ma trendy, vestiti, biancheria intima alla moda, acconciature, locali, viaggi...
Black sognava l'indipendenza come possibilità di fare tutto quello che si vuole: così aveva deciso di imparare sul campo a soddisfare le sue voglie, superando i sensi di colpa, i rimorsi, la propaganda al consumo solidale. Solo sperimentando la totale libertà d'acquisto, poteva imparare a vivere nella più totale e amorale tirannia dell'edonismo.
In realtà, Black aveva un obiettivo da raggiungere, qualcosa che andava ben oltre l'ultimo slip rosa comprato nella boutique di intimo nella via dello shopping, qualcosa per cui tutti i beni materiali del mondo avrebbero rappresentato unicamente beni strumentali, puri oggetti di passaggio lungo il cammino di un essere in cerca del suo approdo sicuro.
L'obiettivo era il teatro. Lì, nel mondo del palcoscenico, Black avrebbe trovato la sua dimensione totale, lì il suo edonismo radicale e privo di pregiudizi avrebbe potuto scorrere libero senza argini, libero come il mare che si distende lungo tutti gli orizzonti possibili.

Alla fermata dell'autobus, capii che Black amava il teatro. Quando arrivò e si sistemò sotto la pensilina, scoprendo il capo da sotto il cappuccio del cappotto e lasciando scorrere in libertà i suoi magnifici capelli neri corvini, tirò fuori dalla sacca un libro piuttosto corposo, dedicato alla drammaturgia dell'era elisabettiana, quella dell'epoca di Shakespeare, tanto per intenderci.
Come riuscii a leggere il titolo del libro? Semplice: non smisi un secondo di guardare quella ragazza in jeans firmati, scarpe marroni dalla suola grossa, maglioncino blu di lana, cappottino fine color verde. Un arcobaleno alla moda. Gli occhi li vidi per primi: il verde che lotta con l'azzurro.

Era ovvio che se ne sarebbe accorta, prima o poi. Black girò la testa verso di me. Io sorrisi, consapevole di saper fare anche lo spavaldo, quando ne vale la pena. Il sorriso non colse subito nel segno. Black tornò alle sue letture. Ma non durò molto. Dopo pochi secondi, mi guardò di nuovo. Questa volta fu lei a sorridere, di un sorriso pieno e sincero. Si stava divertendo e senza prendermi per il culo. Almeno il settanta per cento dell'opera era stata compiuta. Ora non restava che completare il tutto, attaccando bottone e presentandomi: - Piacere. Io sono Argon, regista teatrale - .

Iniziammo a parlare sull'autobus. Nei giorni di pioggia, tutto il mondo delle relazioni sociali si restringe. Sul mezzo si stava tutti stretti e pigiati, i vetri erano appannati e su alcuni si scorgevano le strisciate delle dita di qualche passeggero che, in preda al panico del vedersi viaggiatore a bordo di un veicolo in mezzo al nulla, voleva mantenere il contatto con la realtà concreta della città, osservandola da dietro una lastra di vetro sudicia.

Pigiati per pigiati, io e Black finimmo per trovarci uno strettamente accanto all'altra. Due sorrisi scattarono in contemporanea.
- Davvero non sto cercando di approfittare della situazione per stare vicino a te. Se vuoi mi sposto, ma temo di non riuscire a superare l'ammasso di corpi che ci sta divorando - .
Black rise chiudendo tra le sue dita lunghe l'impegnativo libro sul teatro.
- Vorrà dire che sopporterò la tua vicinanza fino alla mia fermata - , disse lei.
Mantenne inalterato il sorriso. I suoi occhi ridevano con lei e scintillavano di una luce piacevole e rassicurante. Mi ingannavo? Forse, ma allora non potevo certo fare il futurologo e immaginarmi quello che sarebbe successo.
- Difficile anche leggere, in queste condizioni - .
- Si, per fortuna non devo superare nessun esame - .
- Cosa leggi di bello, se posso chiedertelo - .
- Certo. Non è materiale top secret. E' un testo sul teatro del periodo elisabettiano...sai Elisabetta I, la regina d'Inghilterra vissuta tra cinquecento e seicento - .
- Si, mi pare di averne sentito parlare - dissi io tra il finto serio e il comico autentico - la drammaturgia del periodo elisabettiano costituisce un unicum nella storia del teatro, come è successo per altri periodi storici - .
- Che bello trovare qualcuno che conosce la materia. Sai, non è facile parlare di teatro alle 7 del mattino su un autobus - .
- Si, in effetti... -
- Ti interessi di teatro, dunque... da fuori o da dentro? -
- Da dentro - .
Black sorrise con maggiore convinzione. Ora cominciavo a interessare una minima regione marginale del suo cervello di bella donna. La strada da fare era ancora tanta, chilometri e chilometri, ma almeno avevo imboccato la direzione giusta.
- Cioè? -
- Sono un regista. - Buttai lì la mia qualifica con la tranquillità di chi ti invita a bere un caffè. Lei non ebbe così l'occasione di ricamarci sopra considerazioni opportunistiche sul valore di quell'affermazione e sul possibile vantaggio che avrebbe potuto trarre dal suo utilizzo.

La prima sera in cui Black prese contatto con la compagnia, quella in cui fu chiaro che avrebbe fatto parte del nostro gruppo, faceva freddo fuori dal teatro. Dentro, invece, l'aria era calda, straordinariamente carica di invisibili particelle di calore. Avevo chiesto a tutti gli attori di essere presenti. Desideravo che tutta la compagnia fosse ben disposta ad accogliere Black nel migliore dei modi. Desideravo che la ragazza si sentisse subito a suo agio, perché inconsciamente sapevo che la richiesta rispondeva solo a un mio egoistico interesse: agevolare in tutto e per tutto il destino di Black attrice del mio gruppo.
Avrei steso davanti alla porta un lungo tappeto rosso fuoco per vederla entrare con gli occhi scintillanti e il sorriso stampato sul volto di chi si sente in un luogo meraviglioso che non riuscirà mai più ad abbandonare.
Black mi piaceva e per lei ero pronto a fare non so che cosa. Interiormente straripava la mia attrazione per quella ragazza. Mi accorsi che mi sudavano le mani mentre Black continuava a fissarmi in un gioco crudele. I suoi vestiti irradiavano una forza che attirava il mio sguardo. Sostavo davanti a un corpo la cui anima studiava forme di espressione sempre più provocanti. Nonostante il freddo, Black indossava una minigonna di colore nero e collant trasparenti. Nella girandola di emozioni, desideravo con forza che muovesse quelle dannate e fantastiche gambe. C'erano gli istanti in cui, in una frazione di secondo, Black si accorgeva che i miei occhi volevano penetrare il mistero al centro delle sue cosce e allora la guardavo e i suoi occhi diventavano ancora più maliziosi.

Il mio cazzo prevede la scopata annullando i limiti e viaggiando nel tempo.

Quella sera, uno o due giorni dopo il primo incontro di gruppo, una potente erezione era iniziata a comparire verso le sette, due ore prima dell'appuntamento che avevo preso con Black. L'accordo era di trovarci soli soletti in teatro per parlare del suo ruolo nella compagnia, delle parti che avrei potuto e voluto assegnarle.
Alle nove ero sul luogo dell'incontro, sempre più eccitato. Black arrivò e parcheggiò l'auto proprio di fronte al portone di ingresso del teatro.
Scese dall'auto, mostrandomi due gambe magnifiche. Adoro le donne che indossano la gonna, adoro immaginare quale mondo si celi dietro tessuti dai colori disparati. Mi sorrise ed entrammo in tutta fretta.
La platea era completamente immersa nel buio. Il teatro dormiva il sonno vegliato dell'attesa. L'aria circolava in uno stato di quiete, come un grassone che sazio e rimpinzato, si siede dormicchiando lasciando che il suo stomaco lavori al limite delle possibilità. Il teatro che sonnecchia è pieno del respiro della rappresentazione, degli attori, del pubblico, è pieno di emozioni, di pianti, di risa, di clamori, di fiche umidificate, di cazzi in tiro, di mani che vagano nel buio della platea in cerca di gambe velate da calze o che s'infilano sotto gonne corte di colore nero. In realtà il teatro non dorme mai, aspetta in silenzio che un nuovo spettacolo venga messo in scena, che il pubblico si sieda di nuovo sulle poltroncine di colore rosso, che il sipario si spalanchi su un mondo diverso, su un'altrove che è più vicino di quanto vogliamo desiderare.
Dietro le quinte, l'oscurità divorava ogni angolo e gli occhi non avevano altro che loro stessi per abituare la vista a quel luogo magico. Black si muoveva a suo agio. Mi prese la mano conducendomi lungo uno spazio ricolmo di oggetti. Ignorava che il palcoscenico era da tempo diventata la mia seconda casa.

Stretta a me, sentivo il suo alito senza odore. Quel respiro mi frastornava, aumentando la mia già forte eccitazione.

Fu una cosa veloce che mi piacque istantaneamente. Le sue mani si muovevano in modo vorticoso lungo il mio corpo. La mia verga premeva contro i vestiti e lasciai che fosse Black a liberarla. La prese nelle sue mani, scoprendo il glande arrossato dal tanto sangue che lo irrorava; Black iniziò a leccare il cazzo lungo tutto il suo asse. Poi lo prendeva in bocca tenendo gli occhi aperti. Se il palcoscenico era la mia casa, un palcoscenico al buio era la sua. I suoi occhi vedevano nell'oscurità così come vedevano alla luce del giorno. Black aveva voglia di non soddisfare mai la sua insaziabile voglia. Mi spompinava senza tentennamenti, senza interruzioni, voleva veder scorrere il mio sperma ma lo voleva veder colare nel momento di massima potenza. Continuava a spompinare con energia e il mio glande continuava a ingigantirsi dentro la sua bocca.

Volevo penetrarla. Non potevo resistere più a lungo. Le mie mani vagavano intorno al suo seno, palpeggiavano capezzoli grandi come piccole biglie rosso-marroni. Le tolsi il cazzo di bocca e la buttai a terra a gambe all'aria. L'odore della sua fica mi avvolse mentre infilavo la faccia sotto la sua gonna. Black indossava delle calze autoreggenti color carne. Mi fermai qualche secondo ad ammirare quella mirabile armonia che teneva insieme in un meraviglioso equilibrio il ricamo delle autoreggenti e quello delle mutandine di un grigio tenue. Ciò che vedevo con sorprendente e straordinaria nitidezza, era frutto di un buio che non sentivo più come nemico.
Poi infilai la testa più in profondità e appiccicai la bocca e il naso su quel tessuto in cui si annidavano profumi e sapori di incalcolabile valore. Black inarcava la schiena e, questa volta si, chiudendo gli occhi, emetteva rantolii di godimento. Le sue gambe si muovevano all'unisono per sostenere gli spasmi della sua fica. La mia bocca si riempi di un succo grigiastro che potevo vedere nel buio come un piccolo rivolo fosforescente. La fica di Black stava cambiando odore ed entrava nel tunnel luminoso dell'orgasmo. A terra il mio cazzo premeva contro il terreno portando in superficie una colonna di sperma.

Quando Black mi parlò, lo fece per farmi godere del suo orgasmo. Capii che in quel momento lei poteva creare con le parole mondi immaginari e palcoscenici delle meraviglie. Il suo orgasmo era un'estasi, una mistica di creazione erotica.
- Ne voglio, ne voglio... ancora... ancora... -
Non potevo parlare, la mia bocca non mi permetteva di assecondare il suo viaggio verso qualcosa di assoluto. Non avevo parole per accompagnarla, solo il mio corpo poteva reggere il peso leggero di tanto piacere.
- Fottimi, adesso...fottimi mentre veniamo insieme - .
Nessun rumore circolava nell'ambiente mentre calai dentro di lei con una tale facilità che mi ritrovai a gustare la stimolante morbida ruvidezza delle pareti della sua vagina. Avevo il cazzo pieno zeppo di sperma, non potevo sapere quanto avrei resistito. Volli prolungare al massimo quella penetrazione al buio e moderai come un direttore di orchestra la sinfonia dell'ingroppata.
Black continuava a commentare, gli unici suoni che si espandevano nell'aria intorno a noi, puzzolente di sudore ed effluvi, erano quelli di due liquidi che si incontrano come iceberg nel mare del Nord. Fu nella posizione dell'accoppiamento, che entrambi potemmo gridare e fare concessioni all'impossibile.
- Voglio quella parte, la tua preferita - , mi disse mentre la fissavo in quegli occhi magnetici che si inondavano di lacrime.
- Sarà tua, bella mia, sarà tua insieme a tutte le scopate che vorrai farmi fare - . Promisi senza riflettere, senza pensare, forse come si addice a un uomo di teatro, abituato a fare i conti più con l'istinto che con la ragione.
Mentre scopavamo, continuammo a dialogare, parlammo del senso della vita e delle poche cose che rendono una vita degna di essere vissuta. Ci trovammo uniti sull'abisso della verità ultima delle cose. Ci baciavamo, ci leccavamo, ansimando assecondavamo i nostri corpi liberi di esprimersi. Quando venimmo, espressi a Black la mia ammirazione per il suo corpo, i suoi seni, la sua fica e i peli che la sormontavano con tocco delicato di artista.
Fu nell'immobilità ricercata dell'apice dell'orgasmo che ciascuno di noi era entrato in modo completo nell'intimità dell'altro. Io e Black avremmo condiviso per sempre quell'intimità, anche a migliaia di anni luce di distanza. Allora ne ero certo...

Il buio delle quinte divenne il luogo, l'unico, dei nostri incontri clandestini.

Non mi importava di dover lottare contro i tempi e gli spazi di un'organizzazione per poter avere il teatro immerso nel silenzio e tutto per noi. Prima delle prove, dopo le prove, al mattino, al pomeriggio, alla sera, di notte...In ogni momento la mia vita era stravolta dal momento sublime dell'incontro con Black.
Le prove con gli altri attori divennero ben presto un prolungamento del momento dell'amplesso, una nuova area vitale espropriata e conquistata dal sesso invasore. Non mi ero mai sentito vivo come in quei pochi mesi che vissi intensamente al fianco di una donna che amava espandere luce in mezzo al buio e che nella luce del giorno si rimpiccioliva come una piccola bambina timida e introversa, per non rubare la scena al sole.
Di notte, invece, il compito di illuminare la realtà era solo suo e l'astro le lasciava campo libero, come tra pari dignitari di una missione di così tale importanza.

Fu grazie a Black che capii fino in fondo il mio essere teatrante. Nel buio delle quinte iniziai a percepire il teatro come un organismo vivente, un enorme animale che si nutriva delle sensazioni, delle emozioni, dei pianti, delle risate del pubblico, delle percezioni, delle sensazioni, delle emozioni, dei sudori, degli odori degli attori. Capii che il teatro viveva anche quando il sipario era calato a coprire la scena, nel mezzo della notte deserta in cui i portoni d'ingresso nell'atrio sono chiusi, le poltroncine vuote, i camerini ripuliti.
Capii che fino a quel momento avevo amato solo una parte del teatro, quella delle luci accese, del pubblico assiepato in platea, dei soldi che frusciano alla cassa, del bar che a pieno ritmo sforna caffè e bibite. Una parte del teatro che era la più comoda, la più utile, la più accomodante, la più facile da aggirare per alimentare l'illusione.

Poi desiderai riempire di luce anche il buio. E per Black non c'era più posto.

Decise di andarsene una mattina d'estate, una di quelle mattine in cui la natura ti sprona ad amare la vita guardandola solo dai suoi lati positivi.
Black aveva dormito come sempre da me, aveva riempito dei suoi odori le lenzuola e il materasso. Sul letto c'erano le sue mutandine, le ultime indossate nella fase della sua vita che aveva condiviso con me. Erano di un azzurro tenue e tra le mie preferite. Volle farmi un regalo, sorvolando sul fatto che i regali di addio sono inutili: due persone che hanno vissuto un rapporto non potranno mai dimenticarsi, il loro ricordo fisico rimane per sempre annidato nelle pieghe di materia grigia. Un regalo non serve per dare senso a un fenomeno naturale vecchio come il mondo.

Quella mattina non ebbi più voglia di estate e una qualche forma di depressione mi colpì attraverso fastidiosi dolori allo stomaco. L'ansia mi trascinava verso l'impulsività. Presi il cellulare e chiamai gli attori della compagnia, comunicando loro che Black se ne era andata, per sempre.

Nessuno dei miei attori seppe donarmi energia per sopportare il senso di smarrimento in cui ero caduto. Mi accorsi di quanta importanza abbia la presenza fisica di una persona cara al proprio fianco. Di Black mi mancavano tutti gli elementi del puzzle dei sensi. Olfatto, udito, vista, tatto e gusto avevano perso la sensazione del Sublime e ritornarono ad assaporare il mediocre concentrato in zuppa della realtà. Anche il mio teatro non fu più lo stesso. Con la scomparsa di Black si annullava il sogno di una totalità mistica del corpo e dell'anima dell'attore con il corpo e l'anima del personaggio.

Black mi aveva insegnato a stare in piedi davanti alla creazione artistica con la dignità di una vista che andava ben al di là delle normali sollecitudini del nervo ottico. Nel buio Black vedeva meglio e cercando il buio sapeva di trovare la strada della luce interiore.

Rivederlestelle

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