Erik Covengard ha quarant'anni ed è impiegato amministrativo di una piccola società produttrice di componentistica per computer. La sua giornata tipo nella grande metropoli nordica prevede mosse definite, passaggi determinati, nessuna sorpresa, tranne che per un singolo momento, un breve lasso temporale della durata di pochi minuti, in cui Erik Covengard concentra in una grande esplosione tutte le emozioni e le sensazioni che normalmente non trovano sfogo fuori e dentro di lui. Senza quel momento di sublime piacere, Erik Covengard sarebbe destinato a un'esistenza vegetale di essere umano dotato di fredde connessioni sinaptiche, paralizzate dinamiche psichiche e assenti pulsioni corporali. Le due anime di Erik Covengard sono come la tavolozza in bianco e nero di un pittore dicotomico. Sveglia, doccia, biancheria pulita, vestiti incolore, colazione, freddo e umidità nelle ossa, strade affollate appartengono alla sua anima nera e triste; il caloroso ventre della metropolitana, con le sue gallerie buie e puzzolenti, il vento che malsano invade l'aria e ti entra dentro dalle narici, i visi tristi e sfatti della gente, gli abiti sudati, le mani bagnate, l'afrore dei freni che violentano ruote sporche di grasso e di fango sono gli atomi vitali di cui è fatta la sua anima bianca e vigorosa.
Erik Covengard ama il caos caldo, con il suo carico di sporcizia e di disagio attaccati al reale come una maschera di ferro inchiodata intorno al volto di un prigioniero disperato. A Erik Covengard basta salire su uno dei vagoni della metropolitana, immergersi nel bagno dei corpi di donne in piedi o sedute, sballottate di qua e di là come inconsapevoli birilli di un gioco assurdo e ripetitivo, per sentirsi vivo, per respirare con polmoni propri, per ragionare con la mente libera, per assaporare il gusto immenso di aprire le porte e lasciar uscire l'istinto di gambe che ruotano intorno ad ossa forti e leggere, di mani che cercano impazzite contatti con seni, culi, cosce, labbra, vulve inondate, l'istinto di un sesso liberamente eretto in tutta la sua gagliarda vitalità, pronto al balzo e indurito come il marmo di una montagna leggiadra.
Erik Covengard sorride al pensiero di essere un caso unico in mezzo alla marea di esistenze votate alla ripetitività. Lui è un frotteurista e ne va fiero. Non certo per una vaga infantile voglia di orgoglio mitomane, quanto per la consapevolezza di quello che significa esserlo. Il poter godere all'eccesso di un contatto con una donna, di un semplice contatto di corpi e di parti in un luogo affollato, come può esserlo un vagone di una lercia metropolitana, è esperienza per pochi che a viverla ci si deve considerare fortunati. Questo pensa Erik Covengard mentre, come ogni mattina, si accinge per l'ennesima volta a varcare la soglia del vagone per tuffarsi nel mare dei sessi femminili. L'aria è come sempre pesante e gelata. Una nebbia opprimente copre il cielo fino agli strati più bassi dell'atmosfera, fino al livello dell'umanità in movimento. Erik raggiunge a piedi la vicina stazione della metro e ci si infila dentro assaporando il piacere del tepore che viene dal sottosuolo. Raggiunta la banchina della linea blu, attende con eccitazione l'arrivo del primo convoglio. La banchina è colma di persone ed Erik rotea a destra e a sinistra la testa per scorgere qualche donna interessante. In una mano regge la valigetta ventiquattrore che solitamente accompagna le sue giornate all'ufficio contabilità della ditta per cui lavora ormai da dodici anni. Il vestito gli dà un'apparenza di uomo importante ed Erik è consapevole che solo grazie all'apparenza può far colpo su donne di ogni estrazione sociale, ricche e povere, giovani e meno giovani, belle o meno belle. In fondo, non può fare altrimenti: ciò che la natura non è stata capace o non ha voluto donargli, Erik se lo deve conquistare con l'unico mezzo alternativo a disposizione: la finzione. Non è certo un tipo bello lui, ma ha dalla sua la calma rassicurante della persona che ispira fiducia.
Con calma, Erik sale sul vagone, lo stesso che ha imboccato una giovane ragazza che deve avere sui venticinque anni. La giovane donna indossa collant trasparenti sotto una minigonna nera. Si intravedono appena le gambe, coperte come sono da un lungo cappotto color verde mare. Erik nota i seni abbondanti che si protendono orgogliosi da un maglioncino verde chiaro e una camicette bianca dal collo alto. La ragazza è carina, alta e slanciata, i lunghi capelli biondi si muovono liberi e non sembrano rovinati dalla fottuta umidità della città. Il viso arrossato dall'aria gelida è ben proporzionato e gli occhi marroni spandono una debole luce sufficientemente arrapante. Mentre la metropolitana si muove dirigendosi nel buio della galleria in direzione della prossima stazione di fermata, Erik si muove abilmente verso la ragazza, tenendosi in equilibrio nonostante i movimenti convulsi e disarticolati del vagone. La sua speranza e che la donna rimanga a bordo il tempo necessario a far si che il gioco del contatto possa compiersi in tutta la sua durata, orgasmo compreso. Mentre si avvicina alla donna, Erik sente prepotente montare un'erezione. Subito il ricordo va alle donne che, grazie a lui e con lui, hanno potuto assaporare la gioia dell'orgasmo mentre con il suo pene eretto si sfregava con libidinosa riservatezza contro una coscia, una gamba, articolando danze erotiche con la mano che, non occupata ad agguantare la maniglia di sostegno durante il movimento isterico del treno, guizzava impazzita alla ricerca di una piega tra le gonne, di un varco lungo gli inguini, di un passaggio nelle retrovie di camicette e magliette.
Ora Erik è dietro la ragazza, ne sente il profumo inebriante dei capelli, l'odore pastoso del sudore che filtra attraverso il collo cinto da una collanina d'argento. Lei ne percepisce la concupiscenza e si svolta a guardare quell'uomo brutto ma innocuo che da dietro sembra avvinghiarla e toccarla. Impulsivamente sorride tra sé al pensiero di essere desiderata. E' un'orgogliosa soddisfazione per il proprio ego sempre alla ricerca di conferme. Il treno prosegue la sua corsa mentre Erik spinge il bacino contro le terga della ragazza, mandando in avanti il suo membro ormai indurito e pieno di energia. Eserciti di ormoni guidano la carica del cazzo alla conquista del tesoro di carne, sangue e umori che si cela dietro tessuti vaporosi. La giovane donna si volta a guardare e nel suo sguardo c'è la complicità perversa che tante volte Erik ha colto nel fissare intensamente le donne contro le quali si sfrega. Il contatto dura venti minuti. Erik sfrega i pantaloni contro la gonna della donna, avanguardie guidate da ben altri protagonisti di quell'amplesso così strano e penetrante. Un culo arroventato e un pene irrorato di sangue giocano a rincorrersi tastando la loro consistenza fisica pur non potendo entrare in un contatto fisico di pelle. Erik ansima in silenzio, attorniato dai volti stanchi e vuoti degli altri viaggiatori; la ragazza chiude gli occhi e respira profondamente, una mano nascosta dal cappotto che sollecita con calma voracità l'umidità della vulva. Erik quasi appoggia la testa sulle spalle della donna mentre trattiene l'urlo liberatorio dell'eiaculazione. Lei lo guarda con la coda dell'occhio, aspirando il suo piacere e unendolo al suo. I vestiti nascondono il profumo denso e pieno dell'orgasmo della giovane, Erik fissa con eterea vacuità un neon pallido e malsano posizionato sul tetto del vagone mentre sente il caldo sperma spandersi come sciroppo lungo le sue gambe pelose.
Il tempo è scaduto, il treno si arresta alla fermata di Erik. Lui si prepara a scendere dal treno, soddisfatto del piacere ottenuto, consapevole che di quell'incontro rimarrà solo lo stupendo ricordo dell'esserci stato. Anche la ragazza però decide di scendere a quella fermata. Il treno riprende la sua corsa robotica e i due rimangono a guardarsi lungo la banchina invasa dall'aria fetida della galleria. Nessuna parola viene pronunciata, solo gli sguardi immobili comunicano una marea impazzita di pensieri, emozioni, sensazioni, paure e desideri. Erik e la ragazza sanno che il loro incontro e il loro orgasmo potrebbe non appartenere solo al mondo dei ricordi ma anche a quello più pieno e coinvolgente della realtà di una storia di passione da iniziare e vivere fino in fondo. Erik capisce che lei attende un piccolo segnale, un minimo gesto di assenso, una breve parola di accettazione. Cosa vuol dire stare con una donna? Condividere quotidianamente il sapore gagliardo e libero dei corpi che si amano? Può esserci spazio nella vita di Erik per la nudità di due esseri distesi su letti sfatti e ricolmi di profumi? Erik sente su di sé il peso della sua esistenza, delle sue inclinazioni e dei suoi problemi, delle sue aspirazioni, delle sue fobie e delle sue manie; ma non è capace di fare una scelta di liberazione, non è capace di rischiare di sporcare la sua vera faccia nel vero gioco del sesso e dell'amore. Così decide di andarsene, voltando le spalle alla giovane che piangendo guarda il frotteurista allontanarsi ed entrare nel mondo sotterraneo e sconnesso dei suoi pensieri più bui.
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