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Racconto n° 3876
Autore: Rossogeranio Altri racconti di Rossogeranio
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Bang bang
Il suo codice sensuale ha sempre sofferto di gravi alterazioni, nelle quali la ragione ha cercato un posto lontano rispetto a quello della mente.

Lei percorre la gamma dell'entusiasmo per discendere al più sottile eccitamento, come succede alle sue amate rive, con le maree che si alzano e abbassano, alternativamente.

...Adesso ce l'ha davanti ed ha voglia di depredarlo, di farlo a pezzi.
Gli strappa gli slip e lo afferra con le mani per i fianchi.
L'uccello balza fuori perpendicolare alla pancia, puntato sul viso.
E' grosso, venato d'azzurro, sorretto da due palle rugose e tese simili a grosse e sproporzionate noci.

Lei sogghigna pensando che sarà una bella lotta, con le unghie e con i denti.

Alza gli occhi un solo istante, per vedere l'altro sguardo sul punto di sciogliersi.
Nella complessa oscurità dilagante, accoglie in bocca quel siluro di ferro e comincia a spingerlo verso la gola buia e umida, in maniera accelerata.

Un sottile fascio di luce guizza istantaneo tra di loro.

E' come ritrovarsi davanti ad una strana sequenza.
Succhia, stringe, deforma; quella grandezza che vorrebbe distruggere pur sapendo che rimarrà intatta e più preziosa di prima.
Lo esplora tra le gambe, tra la selva filamentosa di nascondigli e di misteri.
Vuole entrare nel suo interno dove ci sarà qualcosa di sconosciuto, di stipato nelle quattro pareti del corpo.

Ma non le basta.

Cerca qualcosa che ringhi nel suo cervello per liberare la purità che c'è dentro; il candore disfatto che pulsa dietro ai ricordi e ai pensieri.

Si sposta al lato del letto ed affonda la mano nella borsetta.
Estrae una pistola.

Lui rimane immobile, impalato sulle ginocchia in preda ad una smania incontenibile.
Restano i cinque sensi che come un amplificatore gigantesco galleggiano nella camera.
Si percepisce il latrare della pelle increspata e formicolante; l'impronta della paura.
La testa si fa Luce e crepita come una lucerna impazzita.

Lei è risoluta e gli punta addosso l'arma.

Un duello verticale dove potrebbe non farcela.

Sono soli, loro due.
Nelle ferite e nei segni, dove i sospiri traboccano devastati e trovano condanna.

Unisce l'imboccatura alla punta del cazzo che quasi gliela incastra dentro.
Ha un ruggito nella testa.
Il dito piega sul grilletto vitale, mentre lui contemporaneamente singhiozza.
Al ritmo del battito impazzito e vicinissimo al suo cuore stregato.

Bang bang.

Poi qualcosa si spezza; cede sulla canna corta e schizza rivoli di materia.
Quell'odore pregnante che nasconde dentro di sé concimi di tormento che rinfocolano nell'atmosfera.

Potrebbe chiamarlo il finale con il botto.
Un enorme senso di perdita...


Ogni memoria letteraria è assolutamente priva di reminescenze.
Il ricordo di quanto è accaduto esclude la precisione e la stravaganza con cui si ritorna a scrivere.
Difficile rendersi conto delle immagini che appaiono e scompaiono, galleggiano e affondano; disobbediscono ad ogni logica ed afferrano la penna, senza sapere mai se si potrà conservare qualcosa oppure tutto andrà buttato via, per sempre.

P. non vuole attribuire a G. alcun sentimento né consistenza e se non fosse per quell'arma imbalsamata nel suo armadietto, non avrebbe mai compreso il pessimismo e di come poteva spiegare ovunque le sue ali nere.

Ripensa ancora quando l'aereo sorvolò quell'unica volta sull'aeroporto Falcone e Borsellino, sfidando correnti impetuose che confluivano in uno spazio condannato.

Da quella specola altissima, la Sicilia le parve un sogno; un maestoso interstizio per due stelle opposte.
La volta celeste sulla quale poter amare per qualche settimana, mese o per sempre; quel tempo sufficiente per trovare un motivo per resistere.

Quel giorno il cielo incombeva con le sue enormi pareti grigie e grossi uccelli rigavano i corridoi del vento tracciando minacciose ed imprevedibili smorfie.
Improvvisamente le si profilò davanti il ferale presagio di un'assurda parete di roccia ma questa prospettiva minacciosa durò un attimo.
Di lì a poco le scalette la portarono con i piedi per terra.

Lo vide subito distinguersi tra la gente, in abito scuro, camicia azzurra e cravatta in tinta.
Un uomo di affascinante bellezza: statuario, elegante e distinto.
L'impietosa illuminazione di quel giorno rischiarò le rughe del viso ed alcune ciocche di capelli già grigie.

Era essenzialmente maschio e la stava aspettando; l'esatto contrario di tutti gli uomini vili che erano nati e cresciuti per sfuggire.

L'accolse con un festoso abbraccio, poi si chinò a baciarla sulle labbra.

Dieci minuti dopo erano a bordo dell'ennesimo veicolo blindato, via verso il loro sogno gotico d'Amore.

In quel periodo si cominciavano a percepire le prime sottigliezze dell'autunno; piccoli brividi di frescura e un'opulenta calma nell'aria.

Tutta la scenografia del paesaggio sembrava schivare continuamente il pericolo.
Pizzi aspri ed alture svettanti e ripide, ficus giganteschi ed alberi rizomi.
La linfa circolava incessantemente nel dedalo dei rami che ricadevano stremati verso il suolo, occultando d'arcana sollecitudine magnifici minerali tentacolari.

Il lieve avvizzire del caldo pomeridiano mise in risalto una veduta senza fine.
La singolare retorica degna di una venerazione barbara, dove l'ellisse del sentimento nella gente salvava poche volte dalla regola del gioco.

L'aveva conosciuto al porto del suo paese, qualche tempo prima.
Il padre era stato per lungo tempo un suo devoto e fedele marinaio.

Ricorda ancora quel giorno di fine estate, con l'orizzonte puntellato da sghembe croci a tre pennoni delle vecchie barche incustodite sulla riva.

Seduta al tavolo del solito baretto sul molo, lo marcava stretto nelle manovre di rimessaggio.

L'acronimo alcolico le sembrò squisito quando Lui la notò e le sorrise.
La punta della sua lingua era sempre stata sensibile ai sapori forti e vigorosi e l'avvenimento fu percepito ovunque.

I marinai sorridevano di soppiatto fingendo di ripulire le reti.
La sensazione del buon gusto le assegnò l'idea di aver colto nel segno.

Si fissarono a lungo senza distogliere lo sguardo; parevano rapiti, coniugati nei rispettivi intimi da un'indicibile e profonda esultanza.

Nella cornice languida di quel pomeriggio tinto d'azzurro, si lasciarono andare a chiacchiere e confidenze e così iniziarono questa storia, di cui nessuno poteva prevedere l'epilogo.

- Devo andare a Palermo -
L'affezione patriottica l'aveva allenato e distinto nella lenta epurazione alla paura.

In pochi giorni si ritrovarono separati, anche se Lui profittava di tutte le ore caute e conciliabili con il suo incarico per prendere un aereo e correre da Lei.

Il distacco che s'era profilato li faceva comunque sentire privilegiati; erano felici di consumare un sentimento tra parentesi.

Passeggiavano spesso guardinghi per la notte; come due amanti clandestini a braccetto, invisibili nella calca luccicante delle tenebre.

Quando stavano insieme, c'era sempre una luce calda, accecante.
Fare sesso era come morire e poi rinascere.
Tra di loro c'era quello che ci poteva essere tra due poli opposti: lastre di ghiaccio che sferzavano e vulcani che emettevano lava.
Il furore dardeggiante delle zone di guerra.

- Devi proprio andare? -
Ogni volta Lei gli poneva la stessa domanda e Lui s'inarcava in avanti per allungare le braccia ed allacciarle il vestito.
- Sì devo andare. Perché non vieni con me? -

La voce riempiva la stanza, fischiando e sfrigolandole nella testa come un razzo.
La trama complessa delle iridi dilatate nell'oscurità era il loro gioco e il suo panico.

- Andare a Palermo, stare con lui? -
Ogni volta che si era sentita dire questa frase aveva avvertito il senso del rischio, anche esaltante, appagante, ma staccato da Lei, dalla sua piccola storia.
Quel - stai con me - le suonava come un'investitura, per qualche fine ignoto che non sentiva suo.
Allora sagome cattive accorrevano terrorizzate ai suoi occhi e vedeva solo armi davanti, diatribe, virulenze.
Questo sentore sinistro dava all'unione l'allucinazione sadica della meta imminente.

Solo il presentimento poteva interpretare il linguaggio, quando si parlava di riunire le distanze e le solitudini.
Senza mai dimenticare che le pistole erano degli inseparabili strumenti di lavoro; la loro barriera di fuoco.

Ma ogni volta finiva con un bacio e Lei deglutiva con voglia, senza agonia.
Sentiva l'intestino che pulsava e la verga che si tendeva come artiglieria pronta a sparare e sopprimere la testa, la bocca, il cuore.

E veniva sempre, godeva di qualcosa d'insopportabile che le esplodeva fuori, mentre la gigantesca mano bianca di Lui si apriva piano sotto, per raccoglierla.

- Sì, voglio stare con te - furono le ultime parole prima di riprendere coscienza con il corpo.

C'è un coraggio grandioso in quegli uomini che si lanciano nell'anonimato sotto il sole spietato che impennacchia i mondi che crediamo lontani.
Per prendere consapevolezza di questo ci si deve strappare di dosso la vita; tutta quella modalità necessaria per ritrovare il tempo e il modo dell'equanime reversibilità.

Lei ha aspettato così tanto di fare ritorno da quel luogo lontano dove amava.
Quest'idea ha sempre attraversato tutti i vasi comunicanti e sanguigni.

Ha atteso nella cruda introspezione che le cose tornassero alla normalità, posando ogni volta la guancia su toraci vigorosi, spalle prestanti e capelli argentati.

Tanti progetti, qualcuno da amare, qualcosa da scrivere.

Ammantata da una speciosa fiamma costante e appassionata, la si rivede ancora al vecchio baretto sul porto.
In perfetto squilibrio tra la terra instabile e l'acqua sconcertante, allunga i globi meditabondi oltre i bradisismi discendenti della riva.

Mostra quella malinconia dolcissima di chi dovrà continuare a scegliere, amare.
E finire.

Rossogeranio

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