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Racconto n° 3894
Autore: Nescitgalatea Altri racconti di Nescitgalatea
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Non sono lesbica
- Sono lesbica - lo aveva scritto al centro del foglio e si era fermata al momento di aggiungere il punto interrogativo. Era davvero quella la domanda che si voleva fare?
Cosa provava nei confronti delle donne? Del complesso universo femminile?
- Lesbica - le riempiva la bocca di molte risposte, solo dirlo, avrebbe giustificato tutte quelle tensioni che non riusciva a capire. Paradossalmente pensava che almeno le avrebbe dato un buon alibi per continuare a vivere facendo finta di niente, o ancora meglio con niente per cui fare finta. Non che le occorresse trovare una appartenenza, l'aderenza mistica a un gruppo definito, né tantomeno avesse sentore di un qualsiasi amore in vista. No, non era mai stata affascinata da una donna, non aveva mai provato attrazione per nessuna di esse.
Era per esclusione che si poneva quella domanda o forse per onestà.

Iniziò a guardarsi allo specchio che aveva sistemato sulla scrivania, davanti alla tastiera, così poteva guardarsi e continuare a scrivere.
Cosa stava cercando? La massa di capelli neri a contorno del suo viso. Un ovale regolare da dove risaltavano gli occhi. Avrebbe voluto scrivere pagine intere sui suoi occhi, sulla luce che prendevano o come si modificavano nello sguardo, assottigliando o aprendo l'orizzonte. Li truccava poco, una linea nera sottile sopra la palpebra e il mascara. Ma non era importante. Le sue rughe erano importanti.

Portò le mani sulle guance e tirò la pelle del viso, così si riconosceva ventenne, tendendo con i due medi anche le palpebre leggermente fiacche sopra gli occhi. Eppure sapeva benissimo che a venti anni non era così, non avrebbe nemmeno saputo dire in cosa, ma sapeva di essere completamente diversa. C'era la gioventù che non aveva bisogno di temperamento, che giustificava i gesti stridenti del corpo immaturo. La bellezza era proprio in quella acerbità ostentata nella pelle tirata e fresca, senza ancora una storia che vi avesse lasciato tracce. Gli anni le avevano segnato il corpo, i fianchi una volta stretti e rigorosi erano divenuti profondi e riservati, il rilievo della pancia definito, tradiva le sue gravidanze con le cicatrici dei cesarei, confine insormontabile tra il suo essere donna e poi madre. Perché nella vita di una donna ci sono confini che segnano e lasciano tracce ma non permettono di tornare indietro. Così con le prime mestruazioni, Arianna ricordava perfettamente il giorno in cui era tornata a casa dalla messa domenicale, un giramento di testa la costrinse a fermarsi un momento, ancora intontita riprese a camminare con uno strano calore che le proveniva prima dal petto, poi diffuso per tutto il corpo. Quel malessere passò in fretta tanto che non ci fece più caso finché non andò in bagno e vide una macchia scura sulle sue mutandine. Era - signorina - , tutti felici, anche lei, era così che si entrava di diritto nella comunità delle donne. Ora tutto sarebbe stato diverso. Ora che, ogni mese le veniva confermato il suo essere donna dal rito dei pannolini, ora, poteva anche truccarsi gli occhi e uscire con la borsetta sotto braccio. Tutta la sua vita si stava disponendo per fare in modo che lei potesse diventare madre e chiudere il cerchio per il quale ogni femmina viene al mondo: la procreazione, la continuazione della razza.

Anche fra compagne tutto era cambiato, finché lei non era sviluppata si sentiva fuori dal gruppo se si parlava di assorbenti, ora, tutto diverso, era nel diritto, poteva partecipare ad ogni discussione in merito. Prima fase, primo passaggio.

Arianna ora è donna.

E mai ebbe il dubbio di esserlo, anche quando Alessandra, sua compagna di banco, le lasciava la mano sulla coscia per tutta l'ora della lezione. Le sue mani si muovevano impercettibilmente, i polpastrelli pareva cercassero ogni poro della pelle tanto si soffermavano sul suo calore. A volte portava le dita al naso e poi le diceva ridendo - Che buon odore che hai-, Arianna rispondeva un po' imbarazzata che non lo sentiva, semmai poteva essere il profumo - Arrogance - rubato a suo padre di nascosto (odiava i profumi da femmina, gelsomino e violetta). Allora Alessandra, con l'aria spavalda, scendeva con la mano, più giù fino ad arrivare ai suoi sudori, fra le cosce, glieli spalmava con gusto mentre Arianna, inconsapevole, le schiudeva leggermente, cercando di capire. Allora lo sentiva forte il suo profumo, ancora oggi riusciva a riconoscerlo ogni volta che si sentiva eccitata, era proprio dalla sfumatura del suo odore che capiva subito se un uomo le andava a genio, se il suo corpo lo stava desiderando. Lo capiva prima dall'odore che dai suoi pensieri.

Perché ora le veniva in mente Alessandra, sparita anche nei ricordi da almeno venticinque anni? Un pomeriggio nella sua camera, ripassavano e studiavano per preparare l'esame di maturità. Arianna leggeva e ripeteva, cercando di spiegarle la partita doppia ma Alessandra non smetteva di guardarla, non voleva ascoltarla. Le piantava gli occhi scuri nella bocca ogni volta che Arianna cercava di dire qualcosa e la sua mano era ancora e sempre più dentro fra le gambe. - Che fai?- chiese Arianna imbarazzata mentre cercava di tirarsi indietro - Hai paura?- le rispose Alessandra con una espressione provocante che solo a diciotto anni sa essere così intensa perché viaggia nell'inesplorato, in un mondo tutto da scoprire.
- No, figurati, ma non capisco- aveva balbettato lei senza tirarsi indietro e subito prima che la lingua umida le entrasse in gola, muovendosi come un serpente che si attorcigliava ai suoi denti, le succhiava il palato e il sapore. Tentò di muovere anche la sua, di ficcargliela in bocca, di farle sentire che non aveva paura, ma Alessandra era come un uomo. La prese torcendole un braccio e la leccò dappertutto, nelle orecchie, sul collo, tra gli occhi. - Sei mia- le diceva con la mano sotto la gonna a frugarle la fica. Fu quando sentì il suo dito entrarle dentro che Arianna trovò la forza di reagire e scostarsi con uno scatto. Alessandra non si scompose ma non continuò, prese invece a leccarsi l'indice dicendole che così bagnata non l'aveva trovata mai.
Finì lì e così la loro amicizia. Erano gli ultimi giorni prima della maturità, Arianna non cercò e non diede più occasione per trovarsi da sola con Alessandra e lei comprese. Il giorno degli orali le scrisse sull'ultima pagina di diario: - Con te le parole non servono... tu puoi capire.. Ti amo! -

In quegli anni se l'era domandato molte volte cos'era che poteva capire. Alessandra non fu mai uno snodo nella vita di Arianna, per molti anni nemmeno un ricordo, eppure quella frase la ripensava spesso e quel pomeriggio anche le sue mani le erano tornate in mente con prepotenza; al pensiero di quei momenti una emozione forte la travolse. Alzò gli occhi verso il soffitto e accese una sigaretta. Gli alibi erano la sua specialità. Ma perché allora quell' imbarazzo in ogni contatto con una donna? Se non aveva mai provato attrazione per un corpo femminile, cosa era ora quel dubbio? Provò a immaginare di fare l'amore con una donna ma nulla le stuzzicava la fantasia, nessuna curiosità, semmai un fastidio al pensiero di toccare altri seni che non fossero i suoi, giocare con capezzoli larghi e scuri, grandi come ciliegie, trattenerli in bocca e succhiarli con delicatezza; ascoltare i gemiti di piacere, la voce acuta, non rauca, un sospiro simile al suo, il sapore della pelle dolce, di femmina. Sognò ancora di esplorare quel corpo abbronzato e morbido, liscio. La sua lingua percorreva il ventre contratto fino ai peli, al monte di venere piatto, come disegnato. Appoggiò il naso al clitoride l'odore che emanava era talmente forte da stordirla, continuò ad affondare il viso fra le cosce sode, quel corpo prese a danzare, si sollevava e accasciava accogliendola e scansandola in un ritmo frenetico, la lasciava entrare dentro e poi si allontanava da lei continuando in un richiamo incalzante. Arianna senza spostare il viso si mosse e fu sopra, i due corpi si mossero allo stesso modo come le loro lingue che cercavano fenditure in cui tuffarsi. Si sentì bere, risucchiare in una bocca larga, dalle labbra colorate di rossetto che le restava sulla pelle. Quella bocca aveva artigli, denti grandi e bianchi che le mangiavano la carne, la mordevano fino a farla sanguinare. Fu in quel momento che un calore forte vestì il suo corpo, l'avvolse fino a farle perdere il controllo. Iniziò a spingere con la fica su quella bocca, spingeva e succhiava, come fossero una sola cosa. Leccava umori densi e biancastri, mentre i suoi venivano leccati e risucchiati, ingoiati. C'era la sua voce, il tono netto del suo godere le usciva dalla gola, e c'era un'altra gola che aveva lo stesso identico timbro che le penetrava le orecchie. Poi le mani, delicate, con le unghie appena sopra i polpastrelli che seviziavano altre labbra, le separavano a tirarle, divaricavano il buco per immergersi in un godere all'unisono che fu perdita di coscienza e buio.

Arianna seduta al suo tavolo respirava in affanno, cos'era stato, un sogno? Una visione? Un coinvolgimento totale che non sapeva né poteva giustificare. Era sola, non si stava toccando, semplicemente stava scrivendo.




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