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Racconto n° 3934
Autore: Aedocieco Altri racconti di Aedocieco
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Elle est écrit dans le ciel
Sono nato in un segno d'aria. Sono attratto dal Bello in assoluto e la sua ricerca mi spinge avanti su questi sentieri di rovi, a mani e piedi nudi. Una bilancia che misura la consistenzadei suoi simili. Con l'asta graduata prende nota e soppesa.
E soppesando, soppesando sono caduto in trappola. In verità nessuno me l'ha tesa. Anzi, forse la trappola era quella che io avevo ben aperta, a tagliola. Ed ora mi si è stretta intorno al petto e mi sega e mi distrugge fino a giungermi al cuore. Quando sarà arrivata a segarmi l'arteria sarà finita. Già ora sono in stato pre-comatoso. In deliquio ogni giorno di più. Vaneggio, ho la febbre, anche se l'apparenza è calma, quasi tranquilla.
Nel silenzio delle mie stanze, quando resto con me stesso avverto la - mancanza - . Non so stare senza sentirla parlare e un tremore interno mi assilla. Mi sono stregato da solo. Affatturato, si dice.
Credevo di saperle tutte; di essere forte; invece mi ritrovo debole come un bimbo di tre anni:
vorrei dirle che non posso fare ameno di amarla: la desidero, desidero poggiarle il capo sul petto, sentirla respirare, vederla camminare, sollevare le anche nel passo alternante. Vorrei guardarla sempre. Averla dinanzi, sentirla sotto la mia pelle, vestirmi di lei. Guardarla con i suoi occhi, toccarla con le sue mani, sentire i suoi sentimenti, provare i suoi dolori, gioire della sua gioia e baciarla ... baciarle le labbra con le mie, questa volta. La bocca dischiusa. Quel tenero gioiello che le adorna il viso.
Sentirla chiamare dolcemente il mio nome, ricambiare con la luminosa effervescenza del suo. Il rincorrersi di due esseri che non sono più divisi ma l'uno è la prosecuzione dell'altro. E intanto scoprirsi indissolubilmente uniti e soffrine tanto da starne male. Vicini eppure non abbastanza, tanto da sentirla a cento, a mille chilometri di distanza. Avvinghiarsi fino a farsi male. Sanguinare entrambi. Bagnarsi nel lago rosso cupo che sgorga da due cuori che si feriscono a morte nel tentativo di inglobarsi l'uno nell'altro, mentre battono all'unisono con otto ventricoli. Il primo nel secondo, nel terzo, nel quarto fino all'ultimo, fino a colmarsi, a riempirsi a scoppiare in un indescrivibile colpo apoplettico che lascia senza vita, senza fiato, senza più pensieri.
Il mondo è lontano. Gira come una trottola impazzita e noi... insieme nello spazio infinito, nella notte perenne che ci prende e ci veste dei nostri corpi nudi alla luce delle stelle che brillano equamente distanti da noi e dal globo che luce. E stupiti guardiamo in quelle stelle, riconoscendo noi stessi e ci chiamiamo, giocando con i nostri arti, con la nostra materica forma, con i nostri complementari sessi, fonte e ragione del nostro esistere.
Finché sarà possibile procedere in questo fantastico viaggio che abbiamo intrapreso e che ci conduce illudendoci della nostra ragione di vita andremo avanti, prendendoci e lasciandoci nel modo affannoso di sempre. Eppure con te vorrei danzare sulle note del Carnaval di Schubert nell'alternante passo del Wals noble: un due tre quattro, un due tre quattro per otto volte e poi au contraire per otto ancora e continuare fino allo sfinimento dei sensi, fino a scordare di esistere, fino ad amarci nello smemorare dell'eterno. Sarà possibile o è solo nel mio mondo che si avverano i sogni?


Dei immortali, proteggete due miseri oranti che commisero la colpa di troppo amarsi.

Aedocieco

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