Flessuosa sulla prua del nostro Stag 32, appoggi il grazioso piedino sul pulpito che recinge la prua e ti appoggi alla sartia del fiocco. Sei stupenda nel tuo atteggiamento. Sei la mia splendida Polena.
La mano alta sul braccio proteso a raggiungere il cavo del triangolo di prua. La pelle luccica, intrisa di olio solare a protezione dei feroci sguardi di quell'assiduo guardone, l'astro, che dall'alto si accanisce a sfibrare il tuo corpo, baciandolo millimetro dopo millimetro. Il novantacinque per cento del tuo essere è ebbro d'amore in quella leggera brezza che ti accarezza e rinsalda, facendo tendere i capezzoli sui turgidi seni di femmina. Agiti i capelli nell'aria smossa dal movimento della barca che va a motore in assenza di vento, mentre il sole aureola il capo, nascondendo alla mia vista i tuoi perfetti lineamenti.
La schiena da silfide gioca sulle anche, ondulate dal moto della barca, scuotendo le polpose natiche che pallide si ornano di uno slippino rosa, sottile come filo interdentale incollato tra la profondità delle due cupole della tua carnale bellezza.
Navighiamo con calma sul mare che scorre lento provocando il leggero schiaffeggiare contro la chiglia dello scafo, quasi che l'acqua salina voglia lamentarsi della forzata divisione delle sue molecole che scorrono via e, invece, vorrebbero restare ad ammirare la freschezza di quel corpo che guizza riflesso in mille spicchi di spuma.
Non ce la faccio più, amore mio, a guardarti soltanto. Siamo al largo e non posso calare l'àncora, la tesa non arriverebbe a toccare il fondale, né posso lasciare l'imbarcazione alla deriva. Troppo pericoloso su questa rotta che non conosco. Scruto un riparo. Un'isola! Una macchia all'orizzonte. Il rapido punto sulla carta riscontra l'esistenza di uno scoglio, un'escrescenza sul mare, un piccolo foruncolo con un'ansa.
In favore di corrente arriveremo presto, anche se a me sembra troppo il tempo per coprire il tragitto. L'occhio misura la distanza fra l'isola, ma soprattutto fra me e te, che giochi a mostrare tutta la tua femminilità, accarezzandoti i capelli e scivolando lungo le tue curve. Lo sai cosa vorrei e lo vuoi anche tu o è solo per civetteria che ciondoli in avanti e indietro le tue preziose mercanzie?
Il sole, il mare, il tuo riflesso, la sagoma della terra che s'avvicina. La tensione del branzino cresce, diventa cernia, tonno, capodoglio. Arriverò prima che mi sfonda le cervella?
Accosto a dritta al piccolo faraglione che ormai è solo il fratello maggiore del sottostante mio personale che si agita nel profondo della mia natura.
Mollo la catena che esce rumorosa dalla cubia. Allasco e cazzo le gomene a prua e a poppa per evitare lo scarrocciare del natante sugli scogli. Mi avvicino a te, che intanto fingi non curanza.
Distendi l'asciugamano di morbida spugna sul pagliolo di legno, protetta dalla tendina parasole. Togli lentamente l'ultima catena che ti cinge i fianchi sottolineando il delta di venere e coprendo soltanto il punto più delicato della tua natura, fra le cosce.
Ti sono al fianco e ammiro la provocante lubricità dell'involucro profumato di sessualità che ti avvolge dal più sottile filo di capelli all'unghia più curata del tuo piedino arcuato. Infilo un braccio sotto la tua testa come una - gassa d'amante - , occhiello del nostro amore, per tenerla ferma mentre - lasco - le mie labbra sulle tue.
Il calore del sole ti rende più appetitosa. Non mi guardi; indolente, giri la testa di lato, ma un sottile sorriso da sfinge ti dipingi sul volto.
Cosa vuoi da me? Avrai quello che pretendi. Chiedimi e l'otterrai. Anche l'anima ti donerò.
Mentre scendo con la lingua a vibrare sul tuo seno, lentamente ti riscuoti. Ti agiti piano. I movimenti, ovattati da questo luce intensa che raggiunge i nostri corpi adagiati sul telo tra lo sciabordio del mare sugli scogli, esaltano i nostri desideri.
Sono fuori dal mio guscio, abbandonato ai piedi come un carapace svuotato, ma che porta memoria ancora del volume che ha contenuto.
E mentre ti gusto, girando e rivoltando la lingua nell'esplorazione di tutti gli anfratti e di tutte le protuberanze che mi si aprono davanti sul delicato, bronzeo busto dorato, marco i tuoi umori, il tuo profumo con i miei. Una scossa mi elettrizza. Avverto un tocco nella parte più intima del mio essere, nella parte più delicata, che invece a te appare la più rilevante, l'enorme porta del piacere.
Il rovente astro della tua mano brucia il mio sesso irretito, accendendolo come un tizzone che arde, contorcendosi tra le fiamme dell'infernale attesa.
Il piacere assale anche te, ma vuoi raggiungerlo pienamente a tuo modo con i tuoi tempi, mentre io sarei già arrivato al porto.
Mi rivolto bocconi al tuo intimo segnale e resto: i gomiti flessi, le braccia rivolte in alto, le mani aperte ai lati in segno di resa, indifeso. alla tua mercé.
Mi sei sopra come un geco, come un'iguana alla ricerca del calore del giorno. Lenta strisci sulla mia pelle, ma attenta! La mia - marticora - si protende. La testa d'uomo al suo vertice appare stravolta dall'eccesso del momento; la pelle è color cinabro per lo sfregamento a cui la costringi; la coda ungulata è pronta ad eiettare tutti gli aculei di cui dispone se la irriterai troppo.
Ma tu ci sai fare. Conosci la tua bestia, il tuo animale da monta. Con la piuma della tua mano lo distendi, lo accarezzi sulle gote, lo blandisci, la spiani, gli soffi sopra come una leccornìa al forno da raffreddare, mentre il mio torace si tormenta dilatandosi per prendere più aria possibile e dare ossigeno al sangue che gli vibra nell'interno e che gira come una trottola mentre il cuore pompa, pompa, pompa. E' una tortura o un giovamento. E' l'eterno dilemma! La gioia si lega alla sofferenza.
Batto i pugni sul pagliolo. Non ne posso più di questa tortura! Rantolo, soffio, sfiato in un grido tremebondo! Non c'è orecchio all'ascolto. Nessuno che venga in mio aiuto. Neanche tu vuoi salvarmi, che ora ti affanni a strusciartelo fra le gambe, vietandogli l'ingresso. L'animale vuole divorare carne umana, la tua, con tre file di denti. Ma tu lo passi dal paradiso all'inferno, dalla vulva all'ano, facendogli assaporare solo l'accenno del vestibolo, ma lasciandolo fuori, senza pietà, nella tensione che ormai non dà tregua.
Di scatto viri la prora ed esegui una perfetta - strambata - , cambiando la posizione delle - mura - della tua imbarcazione, mentre la mia randa è al centro della tua bocca e la tua poppa si apre sulla mia prua mostrando, agli occhi di marinaio, la cambusa aperta fino alle sentine.
Mi è dolce rinfrescarmi la bocca e la gola col tuo nettare profumato, mentre arranco con la randa che tende la vela. A seconda del vento la giri e rigiri nella tua vellutata - grotta - .
Di nuovo mi prende il desiderio di arrivare in banchina e, distratto, abbandono con le labbra la presa del grilletto della tua arma caricata a - sagole - , a lacci, che leghino il tuo amante. La prostata dilava il vibrante organo in mille rigurgiti, provocando infiniti singulti, nello sforzo di trattenere l'esuberanza dell'ancora per poco arrestabile flusso vitale. Ricacciato attende, ma ormai è alla porta.
I tuoi seni, i tuoi fianchi, i tuoi glutei, i tuoi capelli, la tua bocca...! Non avverto più distinzioni fra le parti del tuo magnifico, sensuale, vibrante, partecipe, bruciante, - innestabile - corpo. Non so più quello che dico, completamente preso dalla materia della forma. Assorbito, risucchiato, plasmato, intrecciato, divorato dal tuo sesso che si apre su di me, che mi coinvolge. Tempesta del mio cuore, procella infernale, tsumani improvviso che ti alzi e mi sommergi, mi affoghi, mi sbatti sugli scogli. Morbidi scogli di carne! E io rimbalzo, flutto in avanti e indietro, mi dimeno, non voglio perire, ma soltanto finire nel porto della tua calma. Ma ora no! Voglio ancora godere! Godere di te, di me, della nostra perdizione, su questa dondolante alcova sul mare, che ci stranisce, che ci fa dimenticare di essere sulla terra.
Il cielo si avvicina, sospeso su di noi..., appare e scompare fra i tuoi occhi, fra i miei.
La bocca vorace dell'ecteroctopus femmina, del polpo gigante, della piovra, si apre e io infilo rapido la dura esca per trarla a bordo. Subito mi trasformo in polpo maschio; mi avvinghio con mille bracci, diecimila ventosa a stringere le sue e il modificato tentancolo raggiunge il suo delicato apparato genitale. Lo sento permearsi nelle mie membra; due carni che si uniscono. Il bacio diventa strappo. Sussultiamo entrambi per la forza con cui ci incarniamo l'uno nell'altro, ma senza indietreggiare di un millimetro.
Avanziamo entrambi nel nostro affanno come degli incrociatori, dei rompighiaccio. Il nostro ansito, il nostro rantolo diventa grido, urlo sovrumano che atterrisce la natura che intorno si fa silenziosa, affacciata a guardare i nostri ceppi contorti.
L'aria salina, lo iodio ci stordiscono. Ci fanno dimenticare dove siamo.
Balliamo entrambi in un ultimo condiviso gemito, in un prolungato singhiozzo, in un pianto dirotto che ci dilava, abbandonando la sacca lacrimare e sgorgando a fiotti nel tuo bacino, nella tua laguna. E io dono e tu accogli. E io semino e tu conservi nella tua terra feconda. Io innaffio e tu bevi, umettando le labbra, giocando con le perle che gocciolano sulla bocca.
Tu terra, io mare. Sconvolta dal violento flusso ritrai di un millimetro l'anca, per poi aprirti. Aderisci profondamente al canale seminale, cercando di non lasciare nulla di quel liquido sacro. E io esplodo nella tua carne divenuta mia. Mi svuoto di tutto me stesso.
La mente, intorpidita dall'eccessivo piacere, resta inespressa, non più presente, mentre il midollo è già fuggito dalla rapida uscita.
Disossato, appoggiato come una anareobica vescica su di te non posso fare altro che ansimare per riprendere fiato. Mentre tu mi accarezzi la schiena, i glutei, i fianchi, la testa, giocando con i miei capelli, inanellandoli, baciandomi sulla fronte, sugli occhi immemori della mia presenza.
Smemoro nella danza della barca che dondola cullandomi tra le tue braccia, i tuoi morbidi seni, il tuo capiente bacino, le tue delicate gambe. Io bimbo, tu cuna. Io essenza, tu spirito. La calura silenziosa mi abbraccia donandomi la pace dei sensi.
Domani salperemo, alzando nuovamente la nostra vela e correremo a prendere il largo. Io al timone, tu a prora, mia splendida Polena.
Crisalide